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Cinque soluzioni di sicurezza informatica indispensabili per proteggere la tua azienda dagli hacker

“La questione non sta nel sapere se si verrà hackerati, ma quando”. Sono le parole del CEO di Verizon, Lowell C. Macadam, e nessuno lo sa meglio di lui. Soltanto quattro mesi dopo avere acquistato Yahoo!, la sua società ha scoperto che la sicurezza di tutti i suoi clienti, e parliamo di tre miliardi di account, era stata violata con un singolo attacco nel 2013.

Nonostante incidenti sconcertanti come questo avvengano sempre più spesso, la ricerca mostra che molte aziende sono sempre tristemente impreparate agli attacchi informatici. Un’indagine governativa condotta nel Regno Unito ha rilevato che il 68% dei consigli di amministrazione societari non ha ricevuto alcuna formazione per affrontare una violazione della sicurezza.

Un problema potrebbe essere rappresentato dal fatto che i dirigenti sono riluttanti a investire in tecnologie costose, senza sapere che proprio queste rappresentano una difesa efficace. Dopo tutto, se i giganti della tecnologia come Yahoo! non sono in grado di tenere lontani gli hacker, che possibilità hanno le medie imprese?

Certo è che alcuni tipi di difesa non sono economici. Abbonamenti annuali a sofisticati sistemi di monitoraggio come ProtectWise, che registra tutto il traffico di rete e consente di riavvolgerlo e riprodurlo per un’analisi di sicurezza proprio come un sistema TVCC virtuale, possono partire da un prezzo base di decine di migliaia di euro.

Tuttavia, la buona notizia è che molti attacchi informatici sono facilmente prevenibili con semplici contromisure. Il prolifico attacco ransomware WannaCry di quest’anno, ad esempio, ha sfruttato una debolezza del vecchio software Microsoft, per il quale la società aveva già fornito una patch di sicurezza.

Il mercato offre comunque numerose altre soluzioni economiche. Eccone cinque che ogni azienda dovrebbe prendere in considerazione:

1. Software antivirus

Un software di rilevamento e gestione delle minacce può essere indubbiamente costoso, ma sono comunque molte le opzioni disponibili per le piccole imprese con scarse risorse. Grandi aziende come Kaspersky, McAfee e Symantec forniscono soluzioni per piccole aziende che coprono da 20 a 25 dispositivi, con una quota di abbonamento annuale a partire da 130 euro. I servizi disponibili includono prevenzione della perdita di dati e backup automatici, antivirus e spyware, firewall e protezione della privacy.

Il prodotto offerto è pari al prezzo pagato, per cui è importante considerare il costo dei propri sistemi di difesa rispetto al potenziale prezzo da pagare in caso di attacco. Ad esempio, il prodotto Endpoint Advanced basato su cloud di Kaspersky costa 850 euro all’anno per 10 utenti. Tuttavia, se si considerano i risultati di un recente sondaggio del Ministero britannico per i mezzi di informazione digitali, la cultura, i media e lo sport, che ha mostrato che il costo medio degli attacchi informatici è stato di circa 1.800 euro per tutte le società, fino a raggiungere i 22.000 euro per quelle di grandi dimensioni, 850 euro potrebbero non sembrare una cifra così elevata.

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2. Formazione del personale e servizi di informazione gratuiti

Prima ancora di pensare di investire in un software di rilevamento delle minacce, è bene ricordare che la maggior parte dei rischi per la sicurezza non viene da bande di criminali o governi stranieri ostili, bensì dall’interno. La negligenza di un dipendente, come quella di dimenticarsi un laptop sul treno, o atti dolosi compiuti da membri del personale, hanno causato due terzi delle violazioni informatiche di dati analizzate quest’anno da Willis Tower Watson. Solo il 18% è stato causato direttamente da una minaccia esterna, mentre i casi di corruzione hanno rappresentato solo il 2%.

StaySafeOnline.org è una risorsa online gratuita che offre alle aziende informazioni su come tutelarsi, incluse alcune tecniche di formazione del personale. Anche Social-Engineer.com offre ai manager alcuni consigli gratuiti, spesso tramite podcast di discussioni tra panel di esperti in materia di sicurezza, oltre a vendere sofisticati moduli di formazione del personale che simulano attacchi reali.

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3. Performance Web e servizi di sicurezza

Qualsiasi azienda con un sito Web che non abbia installato un booster delle performance come Cloudflare o Incapsula dovrebbe probabilmente pensare di farlo subito. Questi servizi “freemium”, ossia gratuiti con upgrade a pagamento, formano una sorta di scudo del sito Web e bloccano i malintenzionati che potrebbero manometterne i contenuti o paralizzarlo.

Cloudflare offre tre livelli oltre alla versione gratuita: pro, business ed enterprise. Tuttavia, l’installazione della versione gratuita è già un ottimo punto di partenza, soprattutto da quando il mese scorso l’azienda ha celebrato il suo settimo anniversario offrendo la protezione gratuita dagli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service), in cui gli hacker bloccano i siti Web inondandoli di traffico.

Altre funzionalità offerte da questi servizi includono la possibilità per gli utenti di bloccare indirizzi IP o bot ostili specifici tramite un CAPTCHA, ossia un prompt che consente al visitatore di digitare le lettere contenute in immagini distorte, illeggibili dalle macchine, prima di accedere a un sito Web.

4. Servizi di protezione contro il furto d’identità

Un malintenzionato finge di essere un funzionario di una società di alto livello e inganna l’utente, convincendolo a depositare del denaro sul proprio conto. Eventi simili, tecnicamente noti come BEC (business e-mail compromise), stanno aumentando a un tasso allarmante. Secondo l’FBI, le perdite causate da truffe simili sono aumentate del 1.300% tra il 2015 e il 2017.

Anche gli attacchi stanno diventando sempre più sofisticati, man mano che i criminali si spingono oltre la semplice creazione di account contraffatti per hackerare le reti di e-mail aziendali. Un metodo economico per affrontare il problema consiste nell’introdurre protocolli di messaggistica rigidi, ad esempio imponendo al personale di rispondere al CEO in una nuova e-mail, piuttosto che limitarsi a rispondere direttamente.

Tuttavia, per le aziende che vogliono difese più rigorose, società come Experian e Lifelock offrono servizi di monitoraggio del credito e servizi di allerta per circa 130 euro all’anno, oltre a piani di intervento d’emergenza in caso di furto dei dati del cliente.

5. Applicazioni per smartphone convenienti e intelligenti

Con così tanti dati cruciali archiviati oggi su dispositivi mobili è fondamentale tenerli al sicuro. Fortunatamente, l’universo delle app ora è pieno di nuove soluzioni.

I gestori di password come 1Password possono migliorare notevolmente la sicurezza ricordando password impossibili da indovinare, per cui non vi è alcun rischio di creare una catena di violazioni della sicurezza riutilizzando le stesse per più accessi. 1Password consente anche di generare password per l’utente.

Poi ci sono soluzioni come Signal, che possono fornire una crittografia end-to-end per tutte le comunicazioni, in modo da poter proteggere le conversazioni più delicate da occhi e orecchie indiscreti.

Ultimo ma non meno importante è Keeply, che consente ai dipendenti di memorizzare le proprie informazioni sensibili come password e foto in una sezione separata del proprio smartphone, Offre anche una funzionalità “face lock-down”, per cui l’app si chiude quando il telefono viene posizionato a faccia in giù, e una funzione “falso PIN”, che fa apparire le app vuote agli utenti indesiderati.

 
da regus.it

QUATTRO MODI PER EVITARE IL BURN OUT AL LAVORO

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce il burnout come una patologia occupazionale” caratterizzata dallo stress sul luogo di lavoro cronico e non gestito. Le persone sono stressate dal lavoro, stressate nella vita e stressate in generale, e non sono in grado di far fronte a questa situazione esistenziale .

L’OMS caratterizza il burnout  su tre livelli emotivi:

  • sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico
  • Distacco dal proprio lavoro o sentimenti di negativismo o cinismo legati al proprio lavoro; e
  • ridotta efficacia professionale

Un articolo della Harvard Business Review delinea le tre componenti del burnout, identificate dalla psicologa della ricerca Christina Maslach e da numerosi collaboratori. I tre sintomi del burnout sono:

  1. L’esaurimento è il sintomo centrale del burnout. Comprende affaticamento fisico, cognitivo ed emotivo che rende difficile lavorare in modo efficace e sentirsi positivi riguardo al lavoro svolto. Ciò può derivare da esigenze lavorative che richiedono di essere “sempre attivi” o da compiti con un’intensa pressione temporale, soprattutto se ti senti come se manchi il controllo della situazione.
  2. Il cinismo , chiamato anche depersonalizzazione, rappresenta un’erosione dell’impegno. È fondamentalmente un modo per distanziarti psicologicamente dal tuo lavoro. Invece di sentirti investito in incarichi, progetti, colleghi, clienti e altri collaboratori, ti senti distaccato e negativo.
  3. L’inefficacia si riferisce a sentimenti di incompetenza e mancanza di risultati e produttività. Di solito è una sorta di sottoprodotto di sentirsi esausti e cinici perché sei a corto di carburante e hai perso la connessione al lavoro.

Ma come si fa a “gestire” lo stress? Potrebbe sembrare un’iimpresa difficile affrontare qualcosa con così tante variabili. Bene, la soluzione è in realtà abbastanza semplice: trasforma i tuoi hobby e divertenti in una routine e pensa diversamente.

Un articolo di Thrive Global di Tyce Escalante delinea alcuni modi efficaci per evitare il burnout. Secondo Fahed Essa, fondatore di Dala Wellness , il burnout è un problema serio perché può influire sul benessere emotivo, fisico e mentale di una persona. Ecco alcuni modi per affrontare lo stress:

Struttura
Gli esseri umani sono creature abituali e quelle abitudini non sono sempre salutari. Essa raccomanda di trovare qualcosa di strutturato per affrontare lo stress. Per lo studioso , si tratta di far spazio ai propri hobby .. puó essere darsi da fare in cucina oppure dedicarsi al bricolage o altro. Si tratta davvero di trovare qualcosa che da piacere  al di fuori del lavoro in modo che  uno possa rilassarsi regolarmente e allenare il suo corpo a guardare avanti a quel rilassamento.

Meditazione
La meditazione permette di mantenere la chiarezza mentale e migliorare la concentrazione, e ha dimostrato di ridurre i sintomi in una serie di disturbi, tra cui ansia e depressione.

Non  è necessario devi meditare  a lungo Nella maggior parte dei casi bastano solo 10 minuti di meditazione al giorno per ricaricare la mente .  L ‘equilibrium dei  livelli ormonali, i parametri cardiovascolari  migliorano e le funzioni cognitive vengono rigenerate. Di conseguenza, la tua energia aumenta e puoi interagire più facilmente con gli altri e con il tuo lavoro.  Ecco alcuni suggerimenti  per chi si dedica allo yoga e alla meditazione

suggerimenti di mediazione

Commedia e umorismo
Anche ridere permette di alleviare le tensioni. Quando ridiamo, ci sentiamo bene e questo può essere particolarmente importante quando lo stress ha un impatto fisico sul nostro fisico  (ad esempio provoca caduta  di capelli, aumento di peso, abitudini nervose, ecc.).

Le risate riducono anche gli ormoni dello stress e aumentano le cellule immunitarie e gli anticorpi , migliorando così Il nostro sistema immunitario .

Salute e fitness L’ esercizio fisico regolare ha tantissimi benefici fisici, mentali ed emotivi. L’esercizio fisico può aiutare ad alleviare lo stress e creare un senso di benessere. Ti aiuterà anche a migliorare i livelli di energia e la produttività durante il giorno e ti aiuterà anche a ottenere un sonno profondo .

Meglio non allenarti da solo e non fare un ironman. Fai una passeggiata con un amico. Invita i colleghi  di ufficio a fare una sfida . Vai con un collega a un corso di allenamento per renderlo meno snervante.

Gestire lo stress per evitare il burnout significa  apportare cambiamenti attivi alle routine , alla mentalità e alle connessioni mentali . L’articolo di Harvard Business Review dice che dovresti:

  • Dai la priorità alla cura di te stesso : lavora sodo per reintegrare la tua energia fisica ed emotiva dando la priorità alle buone abitudini del sonno, all’alimentazione, all’esercizio fisico, au contatti sociali e alle abitudini. Ciò può includere la meditazione e il godimento della natura.Anche annotare le ore che trascorri ogni giorno in attività specifiche può aiutarti a identificare quanto tempo stai trascorrendo facendo attività sane o malsane.
  • Cambia prospettiva : parte del problema dello stress ha origine dal luogo di lavoro, ovviamente. Cerca di identificare quali parti della tua situazione e vita lavorativa sono veramente fisse e quali puoi cambiare. Modificare la prospettiva può aiutarti ad affrontare più situazioni con un atteggiamento positivo, ottenere un maggiore controllo sulla tua lista di cose da fare o frenare il cinismo. Hai bisogno di rapporti di lavoro più positivi con le persone? Quasi nulla è stato risolto completamente e ci sono modi in cui puoi cambiare la tua situazione. Devi solo provare.
  • Cerca contatto : se ti circondi di persone che ti supportano ed evitano il cinismo e l’inefficienza, il tuo stress probabilmente diminuirà. Trova coach e tutor che possano aiutarti a identificare e attivare relazioni positive e opportunità di apprendimento.

Il burnout, sebbene non sia una condizione medica, è tuttavia una realtà diffusa e problematica per molte persone. Ci sono così tanti fattori che contribuiscono, ma comprendere la scomposizione dello stress legato al lavoro, le sue cause e le sue correzioni può aiutarti a rimodellare la tua vita in modo da rimanere felice e in salute.

Liberamente tradotto da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

UN RIMEDIO ANTICO CONTRO I MICOBATTERI

L’aceto come medicinale era conosciuto già nei tempi antichi. Divenuto famoso intorno al 1630, in seguito alla tremenda peste di Tolosa che fece morire migliaia di persone. Questo, tuttavia, non disturbò assolutamente la “carriera” di quattro noti ladri che riuscivano a entrare indisturbati nelle case della povera gente. Una volta arrestati, sembra che le forze dell’ordine più che al bottino fossero interessate a capire come avevano fatto costoro a sfuggire al contagio. Scoprirono che erano riusciti ad evitarlo grazie all’utilizzo di aceto ed erbe aromatiche che si passavano su polsi e fronte prima di entrare in contatto con la gente malata.
A oggi, nessuno sa se si tratta di leggenda o verità. Tuttavia, in base a un recente studio, la storia potrebbe avere un fondo di attendibilità.


Il suggerimento proviene da un team internazionale di ricercatori provenienti da Venezuela, Francia e Stati Uniti, i quali ritengono che l’acido acetico ucciderebbe con facilità i micobatteri, compresi quelli farmaco-resistenti come il Mycobacterium tuberculosis che causa la temuta tubercolosi.
Per tale motivo ritengono che l’aceto potrebbe divenire un disinfettante poco costoso, privo di effetti collaterali e utile contro la tubercolosi resistente ai farmaci e altre malattie causate da micobatteri (per esempio la zoonosi).Gli scienziati hanno testato altre sostanze ritenute attive contro questo genere di batteri, tuttavia alcune come per esempio la candeggina sono riconosciute essere tossiche per l’uomo. E poi anche la disinfezione di alcuni strumenti diventa eccessivamente costosa se eseguita con disinfettanti industriali.

«I micobatteri sono noti per causare la tubercolosi e la lebbra, ma micobatteri che non appartengono alla tubercolosi sono comuni nell’ambiente, anche nell’acqua di rubinetto e sono resistenti ai disinfettanti – sottolinea il dott. Howard Takiff, autore senior dello studio e responsabile del Laboratorio di Genetica Molecolare presso l’Istituto Venezuelano di Investigazione Scientifica (IVIC) a Caracas – Quando si contaminano i siti di intervento chirurgico o quelli in cui vengono eseguite procedure cosmetiche, questi causano gravi infezioni. Sono intrinsecamente resistenti alla maggior parte degli antibiotici, richiedono mesi di terapia e possono lasciare cicatrici deformanti».«Molte procedure cosmetiche vengono eseguite al di fuori di ambienti ospedalieri nei Paesi in via di sviluppo, dove disinfettanti efficaci non sono disponibili. Questi batteri sono patogeni emergenti. Come si fa a sbarazzarsi di loro?», aggiunge Takiff.
Fortunatamente, mentre il ricercatore stava cercando una possibile risposta, una sua borsista post dottorato, Claudia Cortesia, durante alcune sue ricerche aveva notato la capacità dell’aceto di resistere ai micobatteri. Stava testando un farmaco che doveva essere prima sciolto in acido acetico, quando si è accorta che otteneva lo stesso identico risultato senza usare il farmaco. L’acido acetico, infatti, aveva ucciso da solo i micobatteri.

«Dopo la prima osservazione di Claudia, abbiamo testato le concentrazioni minime e tempi di esposizione che possono uccidere i diversi micobatteri», ha spiegato Takiff.
Siccome il laboratorio Venezuelano non è attivo anche come clinica TBC, alcuni collaboratori come Catherine Vilchèze e William Jacobs dell’Albert Einstein College of Medicine di New York, hanno testato ceppi di TBC e hanno scoperto che l’esposizione a una soluzione al 6% di acido acetico per 30 minuti uccide efficacemente il batterio della tubercolosi. Compresi i ceppi resistenti a quasi tutti gli antibiotici conosciuti.

Per comprendere meglio, basti sapere che la presenza di acido acetico al 6% è leggermente superiore a quella dell’aceto da supermercato che, di norma, è al 4-5%. La riduzione a dosaggi relativamente bassi ha portato, in soli 30 minuti, a ridurre il numero di micobatteri della tubercolosi da 100 milioni a livelli non rilevabili.
Takiff ha eseguito test per un anno nel laboratorio di Laurent Kremer presso l’Università di Montpellier in Francia. Durante le sue ricerche ha esaminato anche il temuto M. abscessus, presente soprattutto nell’acqua e in grado di causare malattie croniche polmonari, infezioni post-traumatiche e malattie cutanee, nei pazienti più deboli.

Si tratta, al giorno d’oggi, uno dei micobatteri più difficili da debellare. Takiff ha scoperto che in questo caso la soluzione deve essere aumentata fino al 10% di acido acetico, per trenta minuti di tempo. Il ricercatore ha anche voluto testare la sua efficacia in caso di condizioni biologiche meno igieniche, che si verificano in reali condizioni cliniche. Per far questo ha aggiunto globuli rossi e albumina. L’acido acetico, anche in questo caso, è riuscito a superare benissimo il test.
«C’è un reale bisogno di disinfettanti meno tossici e meno costosi che possano eliminare la tubercolosi e micobatteri non TB, specialmente nei Paesi poveri di risorse», dichiara Takiff.

Secondo i suoi studi, dosi più elevate (al 25% per esempio) divengono solo irritanti, per cui non sono necessarie. Inoltre, sono sufficienti solo 100 dollari per acquistare una quantità tale di acido acetico utile a disinfettare 20 litri di culture di TB o campioni clinici.
«Per ora questa è semplicemente un’osservazione interessante. L’aceto è stato utilizzato per migliaia di anni come disinfettante comune e ci limitiamo ad aver esteso studi del XX secolo sull’acido acetico. Se potrebbe essere utile in clinica o nei laboratori di micobatteriologia per sterilizzare attrezzature mediche o per la disinfezione di culture o campioni clinici, resta da stabilire».

La ricerca è stata pubblicato su mBio, un giornale online ad accesso gratuito pubblicato dall’American Society for Microbiology.

da la stampa
Per maggiori info: http://mbio.asm.org.

CORONAVIRUS : IN QUARANTENA ANCHE LE BANCONOTE

La Cina ripulirà e metterà «in quarantena» le banconote, per limitare la diffusione dell’epidemia di coronavirus. Lo ha annunciato ieri,

sabato 15 febbraio, il vicegovernatore della banca centrale cinese Fan Yifei. Per la bisogna saranno usati raggi ultravioletti o alte temperature. Così “purificati”, i bigliettoni saranno poi sigillati e isolati per sette o quattordici giorni prima di essere rimessi in circolazione. «Dobbiamo preservare la sicurezza e la salute degli utenti di denaro contante», ha affermato Fan Yifei, aggiungendo che i trasferimenti bancari tra le province sono stati sospesi. Ad ogni buon conto, per paura del contagio, i cinesi usano per gli acquisti sempre meno contante preferendo il proprio smartphone.


da libero.it

DISABILITY MANAGEMENT ,LAVORO E CSR

I benefici direttamente legati alle persone con disabilità fanno riferimento a una migliore qualità della vita e del reddito, una maggiore fiducia in se stessi, un ampliamento delle relazioni sociali e un senso di comunità (Lindsay et al., 2018).


A questi benefici non è, però, associata un’adeguata consapevolezza e una conseguente azione da parte delle imprese. I motivi di questa mancanza sono legati al poco spazio dedicato alle politiche sulla disabilità che rientrano nel più generale contesto del diversity management e alle scarse indicazioni in proposito fornite da linee guida e standard internazionali.

Politiche di CSR per la disabilità

A livello internazionale, linee guida come “Enterprise 2020 Manifesto for Action” dell’UE, “ISO 26000” e la strategia “Crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” delle Nazioni Unite, nonché iniziative come il “Global Compact” sempre dell’ONU e “Global Reporting Initiative” indicano come l’impiego delle persone con disabilità sia una delle principali preoccupazioni delle imprese.
Negli ultimi anni, da quando cioè organismi internazionali come l’ONU hanno iniziato a considerare le persone con disabilità alla pari delle altre, come un importante gruppo tra le diversità, con particolare enfasi sul diritto al lavoro, tali preoccupazioni sono in crescita nelle imprese, che sempre più le includono nelle strategie di CSR.

Però, misure come queste finora hanno dato esiti molto scarsi.
Il problema principale è che per essere attuate in modo corretto, non è sufficiente indicare le misure come obbligatorie, ma è necessario descriverle esplicitamente.

l’impiego delle persone con disabilità non dipende da norme e direttive, ma può essere promosso solo dalle aziende stesse, nelle quali deve essere inteso come un processo standardizzato con l’obiettivo di promuovere l’occupazione alle stesse condizioni di altri dipendenti.
Presupposto dell’inclusione è un clima organizzativo diversity friendly.

Impiego e riabilitazione professionale

Un esempio concreto di quanto stiamo dicendo è offerto da un recente lavoro (Miethlich, 2018), nel quale vengono prese in esame le misure di riabilitazione professionale e di impiego, intese come strategie di CSR.(responsabilità sociale d ‘impresa)

La strategia di impiego delle persone con disabilità non è presa in considerazione in modo esplicito, ma come parte delle più generali strategie della non discriminazione, delle pari opportunità, dell’occupazione di gruppi vulnerabili e/o della diversità.

Per esempio, le esigenze individuali come l’adattamento dei luoghi di lavoro o l’accessibilità non vengono ulteriormente affrontate. Solo le Norme Fondamentali del Lavoro dell’OIL si occupano esplicitamente dell’occupazione delle persone con disabilità e di eventuali condizioni o lavori aggiuntivi ad esse associati. La SA 8000 si riferisce con una semplice raccomandazione a questo standard.

La riabilitazione professionale è un processo che può durare alcuni mesi, costituita da interventi di carattere medico e non, che si svolgono in parallelo con il rientro al lavoro, con la finalità di consentire al lavoratore vittima di infortunio o malattia, il ritorno al lavoro con crescente recupero.

L’implementazione della riabilitazione professionale può avvenire, per esempio, mediante l’avvio proattivo e il coordinamento del processo di riabilitazione, l’adattamento dei luoghi di lavoro e delle attività lavorative e l’istituzione di un dipartimento specializzato all’interno dell’azienda.


La promozione della riabilitazione professionale offre un valore aggiunto per la responsabilità sociale di un’azienda. Questo impegno è al servizio della società,genera anche un vero “valore condiviso”, rende espliciti i valori a favore della disabilità sul luogo di lavoro, per cui a trarne beneficio saranno sia l’azienda che la comunità di appartenenza.

Nel complesso, l’impiego e la riabilitazione professionale delle persone con disabilità sono importanti preoccupazioni sociali che le aziende devono affrontare come parte della loro strategia di CSR.

Risultato immagini per CSR

In conclusione

Le misure specifiche a supporto delle persone con disabilità, come l’impiego e la riabilitazione professionale, non sono, dunque, una preoccupazione dei quadri, delle linee guida e e degli standard CSR.
Maggiori sforzi saranno necessari, anche da parte degli organismi internazionali oltre che delle stesse aziende, per implementare misure efficaci e dettagliate per le politiche di disability management all’interno della CSR.

da lablavoro.com

 

PERFLUOROSULFONATI E AUMENTO DELLA CARIE


Sostanze chimiche largamente impiegate specie in passato per prodotti sia industriali sia di largo consumo e diffuse nell’ambiente – i ‘perfluorosulfonati’ (PFAS) – che spesso contaminano anche le acque che beviamo, potrebbero aumentare il rischio di carie nei bambini.   Lo suggerisce uno studio di Constance Wiener e Christopher Waters West Virginia University pubblicato sul Journal of Public Health Dentistry.

Associate a diversi problemi di salute tra cui il colesterolo alto, queste sostanze chimiche sono particolarmente resistenti alla degradazione, pertanto i composti PFAS presentano un’elevata persistenza ambientale e capacità di bioaccumulo, con effetti tossici sull’uomo di varia natura. I PFAS fanno parte della famiglia di sostanze definite come “interferenti endocrini” in quanto in grado di alterare gli equilibri ormonali.

Young woman at the dentist


Nello studio gli esperti hanno misurato la concentrazione di queste sostanze 
nel sangue di 629 bambini di 3-11 anni ed anno osservato lo stato di salute dei loro denti, tenendo conto anche di una serie di fattori noti per influire sul rischio di carie, come l’igiene orale e l’alimentazione.  È emerso che i bambini con concentrazioni ematiche maggiori di acido perfluorodecanoico erano più a rischio di presentare carie. È possibile che questa sostanza ostacoli il corretto sviluppo dello smalto dentale, esponendo i denti dei bambini all’attacco dei batteri che causano le carie.  “È interessante notare come in questo campione quasi il 50% dei piccoli coinvolti presentava carie o otturazioni – sottolinea all’ANSA Luca Landi, presidente della Società Italiana di Parodontologia e Implantologoa: un dato che deve far riflettere sulla necessità di intensificare i programmi di prevenzione e di diffusione delle informazioni. Conoscere ciò che si beve o ciò che si mangia – conclude Landi – è fondamentale anche per prevenire i problemi della bocca, e questa informazione deve essere parte integrante di qualunque sistema di prevenzione”.

 

Da dottnet.it fonte: Journal of Public Health Dentistry, ansa

L’I-CLOUD SIKURO ELOGIATO DA FORBES

Una breve panoramica sul sull’iCloud SIKURO segnalato anche da “Forbes”, prestigiosa rivista statunitense di economia.

Troppo spesso avvengono incidenti sul posto di lavoro. Ogni volta gli infortuni o le drammatiche morti bianche pongono l’attenzione sull’importanza di evitare il rischio che si possano verificare.


Le nuove tecnologie possono avere un ruolo strategico per favorire la prevenzione e da queste premesse è nato “Sikuro
, uno strumento di condivisione e gestione (in cloud) della documentazione e di tutti gli adempimenti che l’impresa deve fare per garantire la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. A idearlo Walter Licini, 32enne bergamasco con un’esperienza ultradecennale nel mondo dell’edilizia, che spiega: “L’idea è nata dall’esigenza di condividere e avere sempre a disposizione la documentazione relativa alla sicurezza grazie alle opportunità offerte dall’innovazione tecnologica. Alla base c’è il concetto del cantiere 4.0 che punta sui vantaggi della digitalizzazione: ridurre il tempo di gestione della documentazione, migliorare la propria sicurezza e avere la certezza che tutto sia in ordine e aggiornato”.


La documentazione viene gestita utilizzando un nome utente e una password e il portale permette di condividere e archiviare i documenti, di gestire gli accessi, le autorizzazioni e le scadenze. Al tempo stesso è in grado di estrapolare i verbali di controllo e stampare i badge ma anche inoltrare comunicazioni e verbali a tutte le imprese. Inoltre, consente di monitorare gli accessi dei lavoratori in cantiere tracciando gli orari d’ingresso e di uscita garantendo la sicurezza dei lavoratori e la loro incolumità in caso di emergenza.

Sikuro

“Sikuro”, che è sul mercato da poco più di 2 anni, ha già al suo attivo 2mila imprese, 3.500 utenti, 900 cantieri e 45mila lavoratori che ogni mattina effettuano il loro ingresso nei cantieri distribuiti praticamente su tutto il territorio italiano.

Si è diffuso grazie alla sua praticità, frutto dell’esperienza di chi l’ha inventata. Licini evidenzia: “Quando chiedo ai nostri clienti cosa apprezzano di Sikuro la prima cosa che tutti riconoscono è che si tratta di una piattaforma sviluppata da chi che conosce fino in fondo il mondo della sicurezza e il cantiere”.

Non è tutto: Sikuro avrà nuovi importanti sviluppi. Licini afferma: “Entro un paio di mesi il portale verrà integralmente tradotto in inglese, francese e spagnolo in modo da soddisfare anche le richieste dall’estero. Stiamo anche completando lo sviluppo del nuovo gestionale Cantieri in cloud per la gestione di direzione lavori, progettazione, qualità e ambiente e, nel frattempo, verranno rilasciate altre due app Sikuro ti trovo, per la tracciabilità delle attrezzature, e Sikuro audit, l’app di auditing che oggi è in fase di test. Infine, nel 2020 diventerà realtà il progetto Sikuro Industries che gestirà la sicurezza all’interno dell’industria perché se oggi Sikuro può già essere usato anche nelle industrie: questo nuovo software sarà ad hoc per rispondere a specifiche esigenze di sicurezza delle imprese”.

Per avere ulteriori informazioni accedere al sito www.sikuro.it

da bergamonews

TROPPO OZONO AUMENTA IL RISCHIO DI MORTE


Essere esposti anche per un periodo ristretto di tempo (nell’arco di un solo giorno) ad elevati livelli di ozono nell’ambiente potrebbe aumentare il rischio di morte. Lo rivela uno studio pubblicato sul British Medical Journal, condotto su oltre 400 città in 20 paesi del mondo. Il lavoro stima che oltre 6.000 morti l’anno potrebbero essere evitati in queste città se venissero adottati standard di qualità dell’aria più stringenti. Lo studio è stato condotto da un team internazionale di ricercatori e coordinato da esperti dell’Istituto di Medicina Preventiva e Sociale di Berna ed ha analizzato 45.165.171 decessi nelle 406 città coinvolte. In questi centri urbani i livelli di inquinamento, di polveri sottili, di ozono, nonché l’umidità e altri parametri, sono stati valutati nel tempo. Èemerso che in media un aumento della concentrazione di ozono ambientale di 10 microgrammi per metro cubo di aria da un giorno all’altro si associa a un aumento dello 0,18% del rischio di morte, suggerendo l’esistenza di un potenziale nesso diretto di causa ed effetto tra livelli di ozono ambientale e mortalità.

Ciò si traduce in 6.262 decessi in più ogni anno nelle 406 città che potrebbero forse essere evitati se i paesi interessati avessero adottato standard di qualità dell’aria almeno pari a quelli raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Salute (Oms), che suggerisce di non superare concentrazioni di ozono di 100 microgrammi/metro cubo negli ambienti urbani e suburbani.

Da dottnet.it

fonte: British Medical Journal

CORONAVIRUS E RESISTENZA SULLE SUPERFICI

Può resistere sulle superfici fino a nove giorni, ma può essere debellato dalla candeggina; i tempi di incubazione potrebbero essere più lunghi del previsto, fino a 24 giorni, dieci in più rispetto a quanto si ritenga attualmente: i numeri e i dati sul coronavirus 2019-nCoV si inseguono pubblicati da fonte ufficiali, come riviste scientifiche e siti istituzionali, e da fonti che non hanno ancora affrontato l’esame della comunità scientifica. L’unico dato certo è che ad oggi non ci sono elementi che descrivano chiaramente il comportamento del nuovo coronavirus.

Il fatto che il coronavirus possa rimanere infettivo fino a nove giorni sulle superfici degli oggetti a temperature ambiente lo indica un articolo del Journal of Hospital Infection e si basa sul confronto con il comportamento dei due coronavirus emersi anni fa: quello responsabile della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) che risale al 2002-2003 e quello della Mers (Middle East Respiratory Syndrome) del 2015, entrambi parenti stretti del 2019-nCoV. Gli stessi autori della ricerca, dell’università tedesca di Greifswald, rilevano che una buona pulizia è in grado di debellare il virus. Lo conferma anche l’epidemiologo Gianni Rezza, dell’Istituto Superiore di Sanità, per il quale i disinfettanti a base di alcol (etanolo) sono efficaci al 75%, mentre quelli a base di cloro all’1% sono in grado di disinfettare le superfici distruggendo il virus.

Nuovi dati e nuovi dubbi anche sui tempi di incubazione: il medico cinese Zhong Nanshan, che scoprì il virus della Sars, ha scritto in un articolo che non ancora superato la revisione scientifica che il periodo di incubazione del coronavirus potrebbe estendersi fino a 24 giorni, 10 in più di quanto indicato fino ad ora. Nulla di certo, ma al momento è un’ipotesi che fa discutere e che potrebbe avere serie implicazioni sui tempi di quarantena. Dubbi dalla Cina anche su uno dei test più comuni per la diagnosi del coronavirus: il test Nat (nucleic acid test) per la ricerca del materiale genetico del virus darebbe troppi falsi negativi, ha detto il direttore dell’Accademia cinese delle Scienze mediche, Wang Chen.

Il problema non riguarda l’Italia, dove nei test si esegue sempre una procedura di controllo basata sul confronto con la sequenza sintetica del genoma del virus messa a punto nell’Università di Padova, ha rilevato uno dei ricercatori che ha ottenuto la sequenza, Andrea Crisanti.

Mancano certezze e si lavora incessantemente per avere dati attendibili in una situazione in costante evoluzione, al punto che «quanto era accaduto appena due settimane fa sembra vecchio di due anni», come ha rilevato Alessandro Vespignani, della Fondazione Isi di Torino e della Northeastern University di Boston. Le risposte più importanti riguardano il tasso di contagio, ossia quante persone può contagiare una persone che ha l’infezione, e quello di letalità, vale a dire la percentuale di persone che muoiono a causa del virus. Se i valori oscillanti finora attribuiti a questi due aspetti fossero sostituiti da una cifra certa, così come dovrebbe accadere per il tempo di incubazione, diventerebbe possibile elaborare modelli capaci di descrivere l’andamento dell’epidemia.

Da il messaggero

CORONAVIRUS :COME USARE LE MASCHERINE

  1. Da world health organization

Novel Coronavirus (2019-nCoV) consigli per il pubblico: quando e come usare le maschere

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Quando usare una maschera

  • Se sei sano, devi solo indossare una mascherina se ti stai prendendo cura di una persona con sospetta infezione 2019-nCoV.
  • Indossa una maschera se tossisci o starnutisci.
  • Le maschere sono efficaci solo se utilizzate in combinazione con una frequente pulizia delle mani con strofinamento delle mani con soluzione a  base alcolica o sapone e acqua.
  • Se indossi una maschera, devi sapere come usarla e smaltirla correttamente.

Come indossare, usare, togliere e smaltire una maschera

  • Prima di indossare una maschera, pulire le mani con un detergente a base di alcool o sapone e acqua.
  • Coprire la bocca e il naso con la maschera e assicurarsi che non vi siano spazi tra il viso e la maschera.
  • Evitare di toccare la maschera mentre la si utilizza; se lo fai, pulisci le mani con un detergente a base di alcool o acqua e sapone.
  • Sostituire la maschera con una nuova non appena è umida e non riutilizzare le maschere monouso.
  • Per rimuovere la maschera: rimuoverla da dietro (non toccare la parte anteriore della maschera); scartare immediatamente in un contenitore chiuso; pulire le mani con strofinaccio a base di alcool o acqua e sapone.