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PIOPPI CONTRO LA PLASTICA


I pioppi sono dei “mangiaplastica”: le loro radici sono infatti in grado di assorbire e accumulare i principali composti inquinanti, gli ftalati, eliminandoli dall’ambiente. Lo dimostra una ricerca tutta italiana pubblicata sulla rivista Environmental Science and Pollution Research e guidata Francesca Vannucchi, dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Lo studio pone le basi anche per approfondire il meccanismo con cui queste sostanze tossiche vengono degradate all’interno dei tessuti vegetali.

Gli ftalati sono microinquinanti dagli effetti decisamente negativi sul funzionamento degli ecosistemi e sulla salute umana. Si tratta di una famiglia di composti chimici usati nell’industria delle materie plastiche, in particolare nel Pvc, per migliorarne flessibilità e modellabilità, ma trovano impiego anche in profumi, pesticidi, smalti per unghie e vernici.

La ricerca, cui ha collaborato anche l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Pisa, ha dimostrato che il pioppo della specie Populus alba Villafranca, potrebbe essere il candidato adatto per ridurre gli impatti negativi dovuti alla persistenza di questi composti nell’ambiente: le sue radici, infatti riescono ad assorbire e immagazzinare gli ftalati, confermando la grande tolleranza di questa pianta alle sostanze inquinanti. Ulteriori studi saranno necessari per capire come i composti vengono poi smaltiti e utilizzati all’interno dei tessuti vegetali.

 

da Repubblica.it

IL BURN OUT DEL PERSONALE SANITARIO


«È tardi. Arriva la mia ultima paziente. Dai suoi esami emergono cattive notizie. Il tumore è cresciuto. So come comportarmi in questi casi. Parlo piano, utilizzo le parole “giuste”. Lei crolla, gli occhi le si riempiono di lacrime. Arriva l’infermiere specializzata, le prende la mano. In questo vortice di emozioni, io non provo niente. Non piango, non sono triste. Spiego con calma quali dovranno essere i passaggi successivi, sperando disperatamente che lei non colga il vuoto che c’è dietro le mie parole».

Inizia così la lettera che la dottoressa Eileen Parkes, del reparto di oncologia dell’ospedale di Belfast, ha inviato al Guardian per denunciare un problema forse poco conosciuto, ma che colpisce molti medici e professionisti sanitari: il burnout, che causa «un’attenuazione delle emozioni, un sentimento di distacco», lo descrive la dottoressa. «Lo riconosco in me stessa e nel black humour dei miei colleghi. O in quella collega che si lamenta ad alta voce chiedendosi a quante persone ha rovinato la giornata», prosegue.

«Qual è la parte più difficile del mio lavoro? Chiedere scusa, ogni giorno, per cose su cui non ho alcun controllo. Scusi, la sua TAC è stata rimandata. Mi dispiace se l’antidolorifico non ha ancora fatto effetto. Scusi, il suo trattamento è stato cancellato. Scusi ma questa è la data disponibile più vicina. Mi scusi per averla fatta aspettare, quando ogni singolo minuto prezioso è contato e scorre via troppo velocemente per permetterci di far bene in un sistema sovraccaricato».

Un ruolo importante, secondo la dottoressa Parkes, quello giocato dal sistema sanitario in questa partita: «L’austerity ha contributo a creare questo sistema raffazzonato, questa apparente assistenza sanitaria. Il tempo da dedicare a pazienti con bisogni complessi è minimo. E se lo dilatiamo risultiamo inefficienti. Se proviamo a riorganizzare gli appuntamenti il management ci chiede perché sprechiamo così tanto tempo. L’umanità è rimossa, negata ai pazienti e prosciugata nei medici».

«Non sono ancora chiare le conseguenze di questa situazione – spiega la dottoressa -. Sicuramente il burnout è associato all’aumento della possibilità di commettere errori a livello medico. Ma ciò che è certo è che i pazienti ne soffrono per l’assenza di connessione, per non sentirsi compresi, ascoltati, o presi a cuore. E se si perde la fiducia del paziente a causa di appuntamenti ravvicinati ed un personale sanitario stressato, il costo del burnout è inestimabile».

«Anche i medici, oltre ai pazienti, sono trattati come numeri – continua -. Vengono spostati da A a B, ogni minuto della loro giornata lavorativa può essere messo in discussione, ci si aspetta che lavorino oltre le loro possibilità. La vita al di fuori del lavoro non ha alcun valore e il numero di suicidi dei medici è aumentato: la cultura e il sistema non sono riusciti a valorizzare il lavoro del medico».

«Quale risposta viene offerta? Flessibilità. Curare i medici e fare in modo che imparino a gestire il carico di lavoro. Non è ammissibile che quel carico di lavoro non sia gestibile. Non è il sistema ad essere criticato, ma sono i problemi caratteriali dei camici bianchi ad essere ritenuti la causa di questa epidemia di burnout. Continueremo a camminare sul filo, in perfetto equilibrio. Occhi fissi in avanti, piedi ben attaccati alla corda. Finchè la pressione aumenta, perché un collega ci scarica il suo lavoro, perché prendiamo velocemente una decisione che poi si rivela sbagliata, o perché un paziente scoppia a piangere alla fine di una giornata particolarmente intensa. Allora iniziamo a dondolare, le gambe vacillano, ma poi riusciamo a riconquistare l’equilibrio, e continuiamo a camminare. La pressione non diminuisce. La corda si fa più stretta. E si muove sempre di più, e richiede sempre più sforzo. Ogni tanto qualcuno cade, troppo esausto per continuare. Ma la colpa non è della corda – conclude la dottoressa Parkes -. È dell’incapacità di restare in equilibrio».

da sanitaonformazione

COME PROTEGGERSI DAI MICROINQUINANTI ALLA GUIDA

Gli inquinanti atmosferici tossici come l’anidride carbonica e l’ossido di azoto non sono presenti solo nell’aria esterna: anche  all ‘interno delle nostre auto possiamo inalare micro inquinanti che possono nuocere alla nostra salute.

Esistono modalità preesistenti per filtrare l’aria della cabina della tua auto, in particolare con le impostazioni sul cruscotto della tua auto. La velocità della ventola, la modalità di ventilazione e le opzioni di ricircolo dell’aria in cabina possono proteggere la salute respiratoria, ma in questo caso non filtrano molte delle particelle più piccole e pericolose presenti nell’aria.

Una ricerca dell’Università della California, Riverside, sta studiando quali metodi potrebbero  filtrare al meglio l’aria della cabina e proteggere la salute respiratoria.

I filtri abitacolo sono stati originariamente progettati per rimuovere grandi particelle come polline e polvere dall’aria della tua auto. Di conseguenza, non sono funzionali a filtrare le particelle submicrometriche più piccole dalle emissioni dei veicoli come l’anidride carbonica (espirata dai passeggeri) e l’ossido di azoto (dalle emissioni dei veicoli). Questi gas, se inalati, possono provocare differenti  effetti negativi sulla salute

Altri fattori che possono influenzare o esacerbare il rischio di inquinanti nell’abitacolo sono il traffico intenso, la velocità della ventola di ventilazione, le sostanze inquinanti nell’aria esterna e il numero di passeggeri nell’auto.

I conducenti nelle città  più trafficate corrono un rischio particolarmente elevato di esposizione a microinquinanti . Nel corso di un lungo viaggio in auto, la cabina della tua auto può accumulare livelli di particolato e gas.

L’articolo sullo studio dell’Università della California spiega come questi particolati penetrino nella cabina della tua auto. Descrive la cabina dell’auto come una “scatola con piccoli fori per lo scambio di gas”. Ciò significa che la cabina “alla fine sarà ventilata o equilibrata, con l’aria esterna”. Questo può richiedere da un minuto a un’ora.

Inoltre, le auto si differenziano per la capacità di filtrare gli inquinanti atmosferici e mantenere la qualità dell’aria nella cabina pulita. Tuttavia, non esisteva un metodo o un indice di prova standard per quantificare queste tossine, fino ad ora.

Heejung Jung, professore di ingegneria meccanica per UC Riverside, studia come l’inquinamento esterno penetri all’interno delle auto e identifica i modi per migliorare la qualità dell’aria in cabina. Jung ha lavorato con la società di consulenza Emissions Analytics per sviluppare un metodo di prova standard per la qualità dell’aria nelle auto.

Il primo passo dello standard verso l’approvazione dell’agenzia di regolamentazione è stato nel corso di un seminario del Comitato europeo di normalizzazione nel novembre del 2019. Durante questo seminario, il team ha testato 100 veicoli e sta usando i dati per costruire un database che aiuterà i futuri conducenti a proteggere la loro salute respiratoria includendo la qualità dell’aria in cabina è un fattore identificabile che gli acquirenti possono considerare quando acquistano un’auto.

Il sistema più semplice per ridurre  il particolato nella cabina della tua auto è quello di chiudere i finestrini e scegliere l’impostazione di ricircolo del sistema di ventilazione dell’auto. Il ricircolo e una bassa ventilazione rimuovono la maggior parte delle nanoparticelle ultrafine  .

Tuttavia, questa impostazione contribuisce a una maggiore inalazione  di anidride  carbonica, un normale sottoprodotto della respirazione umana. Poche auto hanno la tecnologia per ridurre l’anidride carbonica.

Il gruppo di Jung ha studiato i modi per inclinare le alette di ricircolo in una certa direzione per controllare lo scambio tra aria di ricircolo e aria fresca. Questo metodo ha lo scopo di ridurre l’esposizione all’anidride carbonica e gestire i livelli di particolato.

Questo metodo, noto come “ricircolo d’aria frazionata”, è un’opzione praticabile per le case automobilistiche per migliorare i sistemi di filtrazione dell’aria che minimizzerebbero il particolato, l’anidride carbonica e l’ossido di azoto.

Tuttavia, fino a quando tale sistema non sarà incorporano nei  nuovi modelli di auto, i conducenti possono esclusivamente sperimentare questo metodo da soli. I conducenti possono regolare le modalità in base alla velocità con cui guidano, al numero di passeggeri, alla tenuta dei finestrini dell’auto e all’efficienza del sistema di filtraggio dell’aria della cabina dell’auto.  Jung e Emissions Analytics stanno preparando un database per dare indicazioni su oltre 2.000 modelli di auto.

“Quando  ti imbatti in una strada congestionata con molti camion di fronte a te, scegli la modalità di ricircolo e regola la velocità della ventola. Il ricircolo completo con una bassa  velocità della ventola  non deve essere utilizzato per più di qualche minuto poiché l’anidride carbonica si accumula rapidamente all’interno della cabina “, ha dichiarato Jung.

Se è necessario mantenere attiva la modalità di ricircolo per più di qualche minuto, Jung consiglia di aumentare la velocità della ventola di ventilazione. Una velocità della ventola più elevata, sebbene rumorosa, può comportare un po ‘più di ventilazione rispetto alla bassa velocità. I produttori possono anche incorporare il ricircolo frazionario nei loro progetti di ventilazione.

“Questo principio si applica a tutti gli ambienti chiusi come aeroplani, autobus, treni, metropolitane ed edifici”, ha detto Jung. “Siamo in grado di ridurre significativamente l’esposizione agli inquinanti atmosferici in alcuni ambienti in cui le persone trascorrono più tempo con i sistemi di circolazione dell’aria che includono il ricircolo frazionario”.

da ohsonline liberamente tradotto ed adattato  da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

Disturbi muscoloscheletrici legati al lavoro: prevalenza, costi e dati demografici nell’UE

Da European Agency for Safety and health at work

I disturbi muscoloscheletrici legati al lavoro (DMS) rimangono il problema di salute legato al lavoro più comune nell’Unione europea e possono essere colpiti i lavoratori in tutti i settori e le professioni. Oltre agli effetti sui lavoratori stessi, comportano costi elevati per le imprese e la società. Quest’ultimo rapporto, a seguito delle precedenti ricerche dell’Agenzia, mira a fornire una panoramica aggiornata dell’attuale situazione europea in materia di MSD e una visione dettagliata delle cause e delle circostanze alla base degli MSD legati al lavoro.

La presente relazione riunisce e analizza i dati esistenti relativi agli MSD dalle principali indagini e dati amministrativi dell’UE. Questi dati sono completati e arricchiti con dati provenienti da fonti nazionali.

La relazione mira a fornire una base di prove fondata a sostegno dei responsabili politici, dei ricercatori e della comunità della sicurezza e della salute sul lavoro a livello dell’UE e nazionale nel loro compito di prevenire i DMS connessi al lavoro.

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DIGITALIZZAZIONE E LAVORO

Quali sono gli effetti della digitalizzazione sulla salute e sicurezza sul luogo di lavoro?

 

L’immenso potenziale delle tecnologie digitali sta cambiando il luogo di lavoro; ma quali sono le ripercussioni per la salute e la sicurezza dei lavoratori? La nostra nuova brochure fornisce una panoramica dei nostri lavori in corso sulla digitalizzazione – tra cui un recente progetto di previsione – e il suo impatto sulla salute e sicurezza sul lavoro (SSL).

L’opuscolo mette in evidenza come si potrebbe ridurre al minimo il potenziale negativo delle conseguenze della digitalizzazione in materia di SSL. Inoltre, mostra come si possono utilizzare le tecnologie digitali per migliorare la prevenzione sul luogo di lavoro.

Per saperne di più sull’effetto della digitalizzazione sulla SSL, leggi il nostro opuscolo

Leggi le versioni linguistiche della Sintesi – Prospettive in merito ai rischi nuovi ed emergenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro correlati alla digitalizzazione nel periodo fino al 2025

Visita la nostra sezione sulla digitalizzazione per saperne di più circa il nostro progetto di previsione

Leggi la relazione «La natura mutevole del lavoro e delle competenze nell’era digitale », pubblicata dai servizi per la scienza e le conoscenze della Commissione europea.

da OSHA.europa.eu

COMPARTO LEGNO: I DATI INAIL SUGLI INFORTUNI NEGLI ULTIMI CINQUE ANNI

Il periodico curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto dedica un articolato approfondimento a uno dei principali settori di attività del sistema manifatturiero italiano, con il 14,5% delle imprese, l’8,6% degli addetti e il 4,7% del fatturato

Legno e arredo, nel nuovo numero di Dati Inail l’identikit di una filiera ad alto rischio

ROMA – Frese, seghe elettriche, troncatrici, presse, piallatrici… È sufficiente fare l’elenco dei macchinari che un operatore del settore del legno utilizza quotidianamente per comprendere come in questo tipo di attività il rischio di subire un infortunio sul lavoro sia sempre in agguato. A scriverlo è l’ultimo numero del mensile Dati Inail, curato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto e dedicato alla filiera del legno-arredo, che in Italia rappresenta uno degli ambiti produttivi di maggiore consistenza del sistema manifatturiero, con il 14,5% del totale delle imprese, l’8,6% degli addetti e il 4,7% del fatturato, secondo per rischio di infortunio solo a quello della metallurgia.

Trenta casi mortali nel quinquennio 2014-2018. Gli infortuni sul lavoro denunciati nel solo settore del legno (taglio e fabbricazione di prodotti) nel 2018 hanno fatto segnare un lieve aumento (+0,7%) rispetto all’anno precedente, ma sono comunque in calo dell’8,7% rispetto alle denunce presentate nel 2014. Concentrando l’analisi sui casi riconosciuti dall’Inail, il decremento è ancora più rilevante. I 2.927 infortuni accertati nel 2018, infatti, sono in diminuzione del 4,3% rispetto ai 3.060 del 2017 e del 16,2% rispetto ai 3.493 del 2014. Nel quinquennio 2014-2018 i casi mortali riconosciuti sono stati 30.

Più infortuni nelle regioni settentrionali. Il 93,7% degli infortuni accertati si è verificato in occasione di lavoro e solo il restante 6,3% in itinere, nel tragitto di andata e ritorno tra la casa e il luogo di lavoro. A livello territoriale, i casi di infortunio si concentrano soprattutto al Nord e, in particolare, nel Nord-Est, con il 42,5% degli infortuni totali. Più di otto infortunati su 10 sono di nazionalità italiana, seguiti dai lavoratori provenienti da Marocco (2,7%), Romania e Albania (2,6% per entrambe).

In quasi un incidente su due sono le mani a subire lesioni. Le parti del corpo che subiscono principalmente le lesioni provocate dagli infortuni sono le mani (quasi il 47% dei casi totali), mentre la tipologia delle lesioni comprende ferite (38,9% dei casi), contusioni (20,3%) e lussazioni (15,9%). In più della metà dei casi l’infortunio è stato causato da un movimento scoordinato o dalla perdita di controllo di un utensile, mentre gli incidenti causati dal contatto con un agente materiale tagliente sono pari al 21,7%.

Il picco avviene nella seconda ora del turno di lavoro. Tra i giorni lavorativi, l’inizio della settimana risulta essere più a rischio. Tra il lunedì e il mercoledì, infatti, si è registrata una percentuale costante di infortuni del 20%, che scende al 18% il giovedì e il venerdì, con un residuo 4% il sabato. Gli infortuni si sono verificati in prevalenza all’inizio del turno lavorativo, con il picco nella seconda ora di lavoro (14,6%).

Ogni anno accertate 170 malattie professionali. Dall’analisi dei dati relativi alle malattie professionali nell’industria del legno – che comprende attività che vanno dal taglio e piallatura alla fabbricazione di porte, finestre, imballaggi e pavimentazione in parquet – emerge che le patologie di origine lavorativa riconosciute ogni anno dall’Inail sono circa 170. In sei casi su 10 si tratta di tratta di malattie osteomuscolari e del tessuto connettivo, in particolare i disturbi dei tessuti molli, favorite dall’utilizzo di strumentazioni spesso di tipo artigianale e manuale. Seguono con il 20% dei casi le patologie dell’orecchio, per il rumore prodotto dalle macchine, e quelle del sistema nervoso (14%). I tumori, pari al 3%, sono quasi esclusivamente quelli maligni dell’apparato respiratorio, causati dalle polveri inalate durante le operazioni di taglio del legname.

  • Dicembre 2019Argomenti
    La filiera legno-arredo – Bando isi 2019: un nuovo asse per il legno – Legno, un’attività ad alto rischio – Le malattie professionali nell’industria del legno – L’industria del legno nelle nuove tariffe dei premi
    (.pdf – 826 kb)

OPUSCOLO INAIL PER LE VITTIME DELL’ AMIANTO

Istituito nel 2008 per garantire una prestazione aggiuntiva ai lavoratori che percepiscono una rendita per patologie asbesto-correlate e ai loro eredi, dal 2015 prevede anche una misura assistenziale una tantum per i malati di mesotelioma non professionale causato da esposizione familiare o ambientale

Amianto, online il nuovo opuscolo sul Fondo Inail per le vittime

ROMA – È online sul sito dell’Inail l’edizione aggiornata dell’opuscolo dedicato al Fondo per le vittime dell’amianto. Istituito nel 2008 per garantire una prestazione aggiuntiva ai lavoratori che percepiscono una rendita per malattie asbesto-correlate o, in caso di morte, ai loro eredi, il Fondo dispone per il triennio 2018-2020 di una dotazione pari a 49 milioni di euro all’anno, di cui 27 milioni a carico del bilancio dell’Istituto. A partire dal 2015, inoltre, i suoi benefici sono stati estesi anche ai malati di mesotelioma non professionale, per esposizione familiare o ambientale, e ai loro superstiti, attraverso l’erogazione di una prestazione assistenziale una tantum pari a 5.600 euro.

In 10 anni la platea dei beneficiari è cresciuta del 40%. Nel periodo compreso tra il 2008 e il 2018, i beneficiari della prestazione aggiuntiva – tra titolari di rendita per malattia professionale asbesto-correlata e superstiti – sono aumentati di oltre il 40%, passando da 14.089 a 19.781. In particolare, a fronte della graduale riduzione dei tecnopatici, negli ultimi anni è aumentato sensibilmente il numero dei superstiti destinatari del contributo, che sono passati dagli 8.111 del 2008 ai 14.141 del 2018. La prestazione aggiuntiva prevista per ciascun anno è liquidata d’ufficio dall’Inail, mediante il versamento di due acconti e un conguaglio.

La prestazione una tantum è erogata su istanza dell’interessato o dei superstiti. La prestazione una tantum di 5.600 euro riservata ai malati di mesotelioma non professionale è invece erogata su istanza dell’interessato o dei suoi eredi. Come precisato nell’opuscolo, la domanda di accesso alla prestazione deve contenere l’indicazione dei periodi di residenza in Italia e la documentazione sanitaria con l’indicazione dell’epoca della prima diagnosi, per consentire la valutazione della compatibilità dei periodi di esposizione alle fibre di amianto con l’insorgenza della patologia. In caso di richiesta da parte degli eredi, la domanda deve essere presentata entro 90 giorni dalla data del decesso. I moduli necessari sono reperibili sul sito Inail.

A gestirlo è un Comitato formato da rappresentanti di istituzioni, parti sociali e associazioni. La gestione del Fondo spetta a un Comitato amministratore nominato con decreto del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, che dura in carica tre anni ed è composto da 16 membri, in rappresentanza delle istituzioni, delle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni delle vittime dell’amianto più rappresentative nelle regioni con una maggiore incidenza di malattie asbesto-correlate.

Dalla prevenzione alla ricerca l’impegno dell’Istituto è a 360 gradi. Oltre alle prestazioni erogate attraverso il Fondo, il ruolo dell’Inail nella lotta all’amianto comprende la gestione delle problematiche negli ambiti della prevenzione, l’accertamento dell’esposizione qualificata, il sostegno economico ai piani di bonifica delle imprese e il controllo della situazione delle discariche, con politiche strategiche strutturali a breve, medio e lungo termine, che comprendono anche una costante attività di ricerca scientifica.

La sorveglianza epidemiologica è affidata al Renam. A questi ambiti di intervento si aggiunge la sorveglianza epidemiologica degli effetti sulla salute dell’esposizione a fibre aerodisperse di amianto, attraverso il Registro nazionale dei mesoteliomi (Renam), istituito presso il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (Dimeila) e articolato in un network territoriale costituito dai centri operativi regionali (Cor), i cui rapporti periodici sono pubblicati sul sito dell’Istituto. Come emerge dall’ultimo aggiornamento semestrale degli open data Inail, nel 2018 i casi di lavoratori affetti da patologie di origine professionale ai quali è stata riconosciuta una malattia asbesto-correlata sono stati 1.457, di cui 462 mortali.

Fonte :INAIL

CELLULARI E TUMORI : PER LA CORTE D ‘APPELLO ESISTE UN NESSO

Da la Stampa

TORINO. «Nuoce gravemente alla salute. A meno che non venga utilizzato correttamente». È questa l’etichetta che Roberto Romeo vorrebbe apporre sulle scatole dei cellulari.  Dipendente di Telecom Italia, ha passato la sua vita con il telefonino appiccicato all’orecchio. Anche per 4 o 5 ore al giorno. Poi si è ammalato. Ha scoperto di avere un neurinoma dell’acustico, tumore benigno, ma invalidante.

Il nesso
Tra le giornate passate al cellulare e il tumore al cervello c’è un nesso. Ad affermarlo è la Corte d’Appello di Torino che ha confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Ivrea con cui, nell’aprile 2017, i giudici avevano condannato l’Inail a corrispondere a Romeo una rendita vitalizia da malattia professionale. «Una sentenza storica, come lo era stata quella di Ivrea, la prima al mondo a confermare il nesso causa-effetto tra il tumore al cervello e l’uso del cellulare – spiegano gli avvocati Stefano Bertone e Renato Ambrosio dello studio Ambrosio&Commodo di Torino, che hanno seguito la vicenda – La nostra è una battaglia di sensibilizzazione sul tema. Manca informazione, eppure è una questione che interessa la salute dei cittadini».

Il rischio
Basta usare il cellulare 30 minuti al giorno per otto anni per essere a rischio. «Le persone – aggiungono gli avvocati – devono conoscere le possibili conseguenze di un utilizzo prolungato del telefonino, così da poter analizzare con consapevolezza il loro rapporto, e quello dei loro figli, con i cellulari e altri strumenti dannosi per la salute».

La Codacons, che commenta la sentenza della Corte d’Appello, chiede di inserire sulle confezioni dei telefoni cellulari indicazioni sulla pericolosità per la salute umana, come viene fatto sui pacchetti di sigarette. «Ancora una volta – afferma il presidente Carlo Rienzi – viene confermata la pericolosità dei cellulari per la salute umana. Dallo Iarc all’Oms, passando per i recenti studi condotti dal National Toxicology Program degli Stati Uniti (NTP) e dall’Istituto Ramazzini, tutti gli enti di ricerca affermano senza ombra di dubbio come l’esposizione alle onde elettromagnetiche prodotte dai telefonini sia potenzialmente cancerogena». «I cittadini – conclude Rienzi – hanno ora il diritto di essere informati riguardo i rischi che corrono, e per tale motivo non basta avviare campagne informative: serve apporre sulle confezioni dei telefonini avvisi circa i rischi per la salute, al di pari di quanto già avviene con i pacchetti di sigarette».

Il parere dell’Istituto Superiore della Sanità
L’uso prolungato dei telefoni cellulari, su un arco di 10 anni, non è associato all’incremento del rischio di tumori maligni (glioma) o benigni (meningioma, neuroma acustico, tumori delle ghiandole salivari). E’ quanto è emerso dall’ultimo Rapporto Istisan “Esposizione a radiofrequenze e tumori” curato da Istituto superiore di sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea, pubblicato lo scorso agosto che arriva ad una conclusione differente rispetto a quello della Corte d’Appello di Torino secondo cui l’uso prolungato del telefono cellulare può causare tumori alla testa.

I dati attuali, tuttavia, si precisa nello studio, «non consentono valutazioni accurate del rischio dei tumori intracranici e mancano dati sugli effetti a lungo termine dell’uso del cellulare iniziato durante l’infanzia». Si tratta del più recente studio pubblicato sul tema, ma le ricerche in merito all’eventuale nesso tra telefonini e tumori sono in corso da oltre 20 anni.

TROPPE ORE DI LAVORO FAVORISCONO L’IPERTENSIONE ARTERIOSA

un recente studio dell’American Heart Association ha misurato i valori pressori  di dipendenti che  lavorano più di 49 ore settimanali confrontandolo con quelli che  lavorano  meno di 35 ore settimanali. I risultati suggeriscono un problema di ipertensione più grande del previsto.

09 gennaio 2020
L’ipertensione è incredibilmente comune e potrebbero esserci più fattori misconosciuti e legati al lavoro  più di quanto previsto dai medici. Gli impiegati che trascorrono lunghe ore di lavoro hanno maggiori probabilità di avere la pressione alta,

Circa la metà degli americani di età superiore ai 18 anni soffre di ipertensione   Si stima che la pressione alta sia la causa primaria  di 82.000 morti all’anno. Circa il 15-30 percento degli adulti americani presenta  poi una  ipertensione “mascherata” difficile da diagnosticare perché con valori normali durante le visite sanitarie ma elevate in altre condizioni di stress.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Hypertension dell’American Heart Association ha analizzato i dati di oltre 3.5000 impiegati in tre istituzioni pubbliche in Quebec, in Canada, secondo Science Daily. Lo studio ha confrontato la pressione sanguigna dei dipendenti che lavoravano 49 o più ore alla settimana con quelli che lavoravano 35 ore o meno.

I ricercatori hanno trovato i seguenti risultati:

Lavorare 49 o più ore era correlato al 70 percento di probabilità in più di avere una ipertensione mascherata e al 66 percento di ipertensione clinica
Lavorare tra le 41 e le 48 ore settimanali era correlato  invece a minor rischio ( 54% ipertensione mascherata e 42% ipertensione clinica )
I risultati hanno tenuto conto di variabili quali stress lavorativo, età, sesso, livello di istruzione, occupazione, stato di fumo, indice di massa corporea e altri fattori di rischio
L’elevata pressione sanguigna è notoriamente legata a maggior rischio di malattie cardiovascolari. Come i rischi associati all’ipertensione, lo studio dimostra che ci sono anche molti fattori che contribuiscono all’ipertensione, come il fumo, il sovrappeso, la mancanza di attività fisica, troppo sale o alcool nella dieta, stress, età avanzata e cause genetiche  . I ricercatori ammettono che ci sono probabilmente altri fattori al di fuori delle lunghe ore di lavoro che contribuiscono alle letture dei partecipanti.

“Le associazioni osservate [nello studio] hanno spiegato la tensione del lavoro, un fattore di stress del lavoro definito come una combinazione di elevate esigenze di lavoro e bassa autorità decisionale. Tuttavia, altri fattori di stress correlati potrebbero avere un impatto “, ha dichiarato l’autore principale dello studio principale Xavier Trudel. “La ricerca futura potrebbe esaminare se le responsabilità familiari – come il numero di figli di un lavoratore, i doveri familiari e il ruolo di assistenza all’infanzia – potrebbero interagire con le circostanze di lavoro per spiegare la pressione alta.”

Inoltre, studiare la pressione sanguigna richiede tempo. Nel caso di questo studio quinquennale, i ricercatori hanno condotto tre cicli di test – nel primo anno nel terzo e nel quinto. Lo studio ha richiesto ai partecipanti di utilizzare monitor indossabili per controllare la pressione sanguigna a riposo  più volte al giorno: tre volte in una mattina, quindi per il resto della giornata ogni 15 minuti. Ogni monitor ha raccolto un minimo di 20 misure aggiuntive per un giorno. Le letture medie a riposo pari o superiori a 140/90 mmHg e le letture medie di lavoro pari o superiori a 135/85 mmHg sono state considerate elevate.

Complessivamente, circa il 19% dei partecipanti ha sofferto di ipertensione, tra cui quelli che stavano già assumendo farmaci per pressione alta. Oltre il 13 percento dei lavoratori aveva l’ipertensione mascherata e non riceve cure per l’ipertensione. Inoltre, la correlazione tra lunghe ore lavorative e ipertensione arteriosa sembrava essere la stessa per gli uomini che per le donne.

I ricercatori riconoscono i limiti dello studio, in particolare il fatto che i dati non tengono conto delle letture della pressione sanguigna degli operai, dei turni di lavoro o delle posizioni con esigenze fisiche più elevate. Altre limitazioni includono la misurazione dello studio della pressione arteriosa solo durante le ore diurne e l’omissione di ore lavorate al di fuori del lavoro principale dei partecipanti.

Miss Ma mentre ci sono molti fattori che possono contribuire all’ipertensione, lo studio serve a sensibilizzare le persone sugli effetti del lavoro per lunghe ore e sulle conseguenze sulla salute che ne derivano. Non solo lavorare per lunghe ore può comportare un rischio maggiore di ipertensione, ma può anche significare una ipertensione mascherata difficile da rilevare clinicamente

“Le persone dovrebbero essere consapevoli del fatto che lunghe ore di lavoro potrebbero influenzare la loro salute del cuore e, se stanno lavorando per lunghe ore, dovrebbero chiedere ai loro medici di controllare la loro pressione sanguigna nel tempo con un   Holter pressorio, ha detto Trudel. “

da Oshonline.com liberamente tradotto e adattato da dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro

GDPR workshop

Ancora imprese ed enti pubblici sono impreparati ad accogliere le novità del maggio 2018, con il nuovo regolamento sulla protezione dei dati personali. Questo articolo contiene tutte le informazioni e i link alle risorse utili per potersi destreggiare nella rivoluzione.

partire dal 25 maggio 2018 è direttamente applicabile in tutti gli Stati membri il Regolamento Ue 2016/679, noto come GDPR (General Data Protection Regulation)  relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali.

Il GDPR nasce da precise esigenze, come indicato dalla stessa Commissione Ue, di certezza giuridica, armonizzazione e maggiore semplicità delle norme riguardanti il trasferimento di dati personali dall’Ue verso altre parti del mondo.Si tratta poi di una risposta, necessarie e urgente, alle sfide poste dagli sviluppi tecnologici (a inizio ottobre il WP29 ha adottato tre fondamentali provvedimenti che avranno importanti ricadute su punti essenziali del GDPR proprio sul tema dell’innovazione tecnologica) e dai nuovi modelli di crescita economica, tenendo conto delle esigenze di tutela dei dati personali sempre più avvertite dai cittadini Ue. A preoccupare sono, però, le disposizioni di ratio sostanzialmente opposte che hanno attribuito agli Stati membri la possibilità di legiferare in autonomia al fine di “precisare” le norme contenute nel GDPR. In qualche modo si è “tradita” l’iniziale visione dell’Ue e potrebbero sorgere contrasti tra il Regolamento e le leggi nazionali adottate per allinearsi alle nuove indicazioni.

TECO MILANO dedica un incontro di approfondimento, e confronto ad uno dei temi che ancora oggi le organizzazioni non conoscono nel dettaglio e del quale troppo poco ne percepiscono l’importanza: IL GDPR.

Il regolamento generale sulla protezione dei dati, noto anche come GDPR è diventato operativo il 25 maggio 2018, ha richiesto alle aziende un cambiamento nell’approccio alla gestione dei dati, nella sicurezza dei software e nella formazione del personale.

E’ necessario attuare misure tecniche e procedurali per proteggere le componenti dei sistemi informatici e per garantire la riservatezza delle informazioni, evitandone gli usi illeciti, la divulgazione, la modifica e la distruzione.

Parliamo insieme, GDPR dalla teoria alla pratica, il 13 Febbraio 2020 presso la nostra sede di Via Pompeo Neri 13, a Milano dalle 16.00 alle 18.00, il work shop è gratuito, al temine sarà servito un aperitivo, tutti i dettagli nella locandina allegata.

Per informazioni e prenotazioni contattate Teco Milano:   

tel. 02 4895 8304 – mail info@tecomilano.it , entro il 10 Febbraio 2020.