In occasione della settimana della dislessia (7-13 ottobre 2019) pubblichiamo un articolo apparso sulla rivista WIRED.
Si dice dislessia ma spesso si vuole dire DSA, cioè Disturbi Specifici di Apprendimento che nella dislessia hanno il disturbo più noto e diffuso, ma che comprendono anche disgrafia, discalculia e disortografia. Il tema è sempre più sentito, tanto che sia Micron che IBM hanno manifestato la disponibilità a intraprendere il percorso sperimentale proposto da DSA Progress for Work, ideato dal manager Enzo Cavagnoli, per ricevere una sorta di certificazione «dyslexia friendly», ottenuto attraverso un processo selettivo progettato dalla società di selezione del personale Axia.
Il progetto ha coinvolto diverse competenze e riflessioni. Monica Forbice, recruitment manager IBM Italia, ammette che prima di intraprendere il percorso associava i termini dislessia e altre forme di DSA a un concetto di disabilità e che si è dovuta ricredere dopo alcuni incontri sul tema: “Riteniamo che le caratteristiche dei dislessici e delle persone con DSA – spiega in un Report di Fondazione Dislessia – e in particolare la creatività, l’attitudine all’innovazione, l’abilità di adottare punti di vista non convenzionali, le eccellenti capacità interpersonali e la grande determinazione, incontrino le nostre esigenze di rinnovamento per meglio affrontare e precorrere le sfide del nuovo mondo del lavoro.”
Il rischio di cadere nella trappola opposta che da deficit si passi culturalmente a un pregiudizio di genialità diffusa è alto e viene attentamente monitorato. Negli ultimi anni, partendo dalla pubblicazione del libro Il dono della dislessia di Ronald D. Davis, la progressiva confidenza da parte di diversi manager sulle proprie difficoltà scolastiche ha messo però in luce che quelli che in un sistema formativo standard sono considerati disturbi d’apprendimento, potrebbero rappresentare opportunità in contesti depurati da quelli che rappresentano ostacoli per quelle specifiche caratteristiche neurobiologiche.
Fra i nomi dei manager e degli imprenditori che hanno trovato spinta nella loro carriera anche grazie a quello che era un ostacolo sui banchi (se non altro per la tenacia e la creatività necessaria per raggiungere obiettivi per altri scontati) compaiono quelli di Richard Branson, leader di Virgin, che ha condotto la campagna Like a Dislexic, Ingvar Kamprad di Ikea, Ted Turner, fondatore di Cnn, Henry Ford di Ford Motor Company, a Don Winkler, che nel 2000 era amministratore delegato di Ford Credit. L’ex ceo di Cisco, John Chambers, secondo un noto articolo della rivista Fortune del 2002, legge da destra a sinistra e dal basso in alto, in maniera speculare; nell’intervista sostiene di affrontare i problemi in modo diverso, visualizzando lo scenario complessivo e avendo invece difficoltà con processi più analitici e sequenziali.
Secondo il presidente della Fondazione Dislessia Bovard, “i dislessici possono avere notevoli talenti nell’elaborazione visiva e spaziale; sono intuitivi e innovativi, sviluppano modalità creative di gestione delle difficoltà e di risoluzione dei problemi; hanno eccellenti capacità di osservazione; sono abili nell’adottare punti di vista non convenzionali; sviluppano ottime relazioni umane e possono eccellere in lavori che coinvolgono la gestione del personale. Dimostrano spesso elevate ambizioni e una forte motivazione”.
Tutte qualità che avevano fatto anche ipotizzare a uno studio inglese di qualche anno fa le potenziali occupazioni in cui un dislessico poteva avere successo: disegnatore, progettista meccanico e automation engineer, direttore delle risorse umane, digital media manager marketing manager, manager del territorio. In realtà, una delle grandi capacità di chi è accompagnato durante la scuola da DSA è di uscire dalle categorie e dalle etichette, anche perché all’interno di uno stesso disturbo esistono sfumature e caratteristiche diverse, sia in termini di potenzialità che di difficoltà.
L’entusiasmo a volte virale, ha addirittura portato alcune startup a pubblicare offerte di lavoro dedicate ai dislessici, con conseguente sanzione per disparità di trattamento. Il discorso dei disturbi specifici d’apprendimento si potrebbero, in effetti, inserire nell’ambito del Diversity Management: come una donna in una cultura in cui è chiamata a farsi carico degli impegni familiari dovrà avere spazio per equilibrare i suoi impegni o pretendere che cambi la cultura, un lavoratore DSA che vive in un ambiente cognitivo e organizzativo costruito su misura da una maggioranza con caratteristiche bioneurologiche standard, può pretendere il diritto di usare le proprie energie non per affrontare ostacoli ma per costruire progresso (per sé e per gli altri). C’è poi tutto il tema del lavoro che cambia. Se il lavoro legato alle procedure potrà essere presumibilmente affrontato da un robot, i lavori collegati a un pensiero divergente rimarranno fra i punti di forza delle risorse umane.
In Italia il 22 marzo è stata depositata una proposta di legge per valorizzare l’inserimento dei DSA in azienda, attraverso una revisione dei processi di selezione (pensiamo ad esempio all’assurdità di un’analisi grafologica applicata a un disgrafico o la richiesta di leggere un testo in inglese per un dislessico) e alla creazione di una figura dedicata, in modo che sfugga dall’ambito della disabilità e venga invece costruito un potenziamento delle abilità. Il testo che ha guidato la costruzione della proposta di legge è il report di Fondazione Dislessia su lavoro e Welfare. La questione di un’innovazione nei processi di selezione si deve porre se ci si vuole collegare senza pregiudizi al mondo della scuola: Il 4% della popolazione studentesca che si affaccia ogni anno al mondo del lavoro (composta ogni anno da circa 300 mila persone) risulta essere caratterizzato da DSA, quindi circa 12 mila candidati potrebbero non vedere valorizzate le loro potenzialità con metodi di selezione non adeguati.
In realtà la dispersione di potenziali interessanti esiste già alla soglia dell’università, dove non venivano estesi i diritti presenti a scuola. Anche sul fronte della proposta di legge, però, la paura dell’Associazione Italiana Dislessia è di un assistenzialismo che non gioverebbe a nessuno, posizione ribadita in una nota alla proposta di legge.
Già nelle scuole la mancata conoscenza approfondita delle diverse caratteristiche e un appiattimento del cosiddetto pdp (piano didattico personalizzato) hanno portato a non valorizzare le potenzialità e a vedere le facilitazioni come scappatoia all’impegno, che invece è sicuramente stato un elemento fondamentale nel successo dei grandi nomi ora collegati alla dislessia. Il prossimo fronte di intervento, anche culturale, trascurato quando si parla solo di DSA, potrebbe essere quello dell’ A.D.H.D, cioè dell’iperattività (caratteristica accusata di essere medicalizzata invece che compresa).
Opportunità (inclusione, riconoscimento sociale e rigenerazione di talento) e rischi (creazione di “categorie protette”, distrazione di fondi welfare, moda culturale) ci sono tutti. La serietà nella costruzione dei processi di selezione, formazione e Diversity Management farà la differenza.