Lampade che purificano l’aria in classe, per eliminare batteri e virus. Il Sars Covid-19 sopra tutti. Mercoledì, è stato presentato al plesso di piazza Bacone dell’Ics Stoppani il progetto “Apollo”. Grazie a un accordo della direzione scolastica, retta da Antonio Re, con “Ensto Italia”, in tutte le aule delle scuole elementari e medie sono state installate speciali lampade che, oltre a illuminare, sanificano l’aria. Così non c’è più necessità di un ricambio frequente dell’aria (come consigliato dalle norme anti coronavirus) e le finestre possono rimanere chiuse durante le lezioni. Le lampade sfruttano il principio della fotocatalisi
La ventola di cui sono dotate fa passare l’aria attraverso dei filtri realizzati con nanomateriali (tra cui titanio e argento), che abbattono virus e batteri (tra questi sia il virus H1N1, altri patogeni, allergeni, particolato, formaldeide e altri gas volatili nocivi). Ogni apparecchio è in grado di sanificare 60 metri cubi d’aria, senza rilasciare sostanze chimiche o immettere raggi UV nei locali. In occasione della presentazione del progetto, mercoledì il virologo Fabrizio Pregliasco, tenuto una lectio magistralis ai giovanissimi alunni. L’impianto alla Stoppani è il secondo esempio di come le scuole pubbliche si attrezzino di dispositivi tecnologici per combattere il Covid. Il primo istituto a dotarsi di filtri antivirus, a settembre, è stato lo Schiaparelli-Gramsci (liceo linguistico e itis con indirizzo amministrazione, finanza e marketing e liceo sportivo).
A Mantova, invece, nelle aule di nidi e nelle materne comunali, è in corso l’installazione di 215 lampade con raggi ultravioletti germicidi, che si attivano di notte
Covid-19 può sopravvivere per 4 giorni sul vetro, per 7 giorni sulla plastica e sull’acciaio inossidabile. Sulla stoffa può restare solo per due giorni e sulla carta, invece, solo tre ore.
A dirlo è uno studio dell’Indian Istitute of Technology di Mumbai, in India, pubblicato sulla rivista scientifica Physics of Fluids, secondo il quale sarebbe opportuno che i luoghi pubblici come parchi, centri commerciali, ristoranti o sale d’attesa, possano avere coperture fatte di stoffa per ridurre il rischio di diffusione della malattia. Sia nelle superfici impermeabili sia per quelle porose, si legge nella ricerca, il 99,9% del contenuto di liquido delle droplet (le goccioline dell’espettorato che potrebbero portare Sars-Cov-2), evapora entro i primi minuti. Dopo questo stato iniziale, un sottile film liquido residuo rimane sulle superfici solide esposte, dove il virus può ancora sopravvivere. Gli studiosi hanno notato che l’evaporazione di questo sottile film residuo è più veloce sulle superfici porose rispetto a quelle impermeabili. “Sulla base del nostro studio, consigliamo di rivestire i mobili di ospedali e uffici realizzati con materiale impermeabile, come vetro, acciaio inossidabile o legno laminato, con materiale poroso, come un panno, per ridurre il rischio di infezione al tatto“, spiega l’autore della ricerca, Sanghamitro Chatterjee.
17 giugno in Corea del Sud si è verificata un’epidemia di Coronavirus associata alla trasmissione di goccioline a lunga distanza. Il fatto ha dato lo spunto al dottor Lee Ju-hyung per portare avanti una ricerca sul campo molto particolare. Ogni volta che Ju-hyung andava al ristorante, tirava fuori un piccolo anemometro per controllare il flusso d’aria.
Una precauzione che ha preso dopo un precedente esperimento in cui lui e i suoi colleghi avevano ricreato le condizioni in un ristorante a Jeonju, città nel sud-ovest della Corea del Sud, dove i clienti hanno contratto il Coronavirus da un visitatore fuori città. Tra loro c’era uno studente delle superiori che è stato infettato dopo 5 minuti di esposizione da più di 6 metri di distanza.
L’indagine epidemiologica è stata implementata sulla base di interviste personali e raccolta di dati su immagini a circuito chiuso e dati sulla posizione dei telefoni cellulari. Per la ricerca dei contatti è stato utilizzato il sistema di supporto alle indagini epidemiche sviluppato dalla Korea Disease Control and Prevention Agency.
Nel ristorante considerato sono stati studiati la direzione e la velocità del flusso d’aria, le distanze tra i tavoli e il movimento dei clienti. In questo focolaio sono stati identificati 3 casi in totale e la velocità massima del flusso d’aria di 1,2 metri al secondo è stata misurata tra l’infettore e l’infezione in un ristorante dotato di condizionatori d’aria a soffitto.
Il caso indice è stato infettato a 6,5 metri di distanza dall’infettore e dopo appena 5 minuti di esposizione, senza alcun contatto diretto o indiretto. La ricerca ha portato dunque a dimostrare che la trasmissione di goccioline può avvenire a una distanza superiore a 2 metri se c’è un flusso d’aria diretto da una persona infetta.
Contagio possibile a 6 metri ed entro 5 minuti di esposizione, senza contatto
Le conclusioni, pubblicati sul Journal of Korean Medical Science, hanno sollevato preoccupazioni sul fatto che lo standard ampiamente accettato di 2 metri di distanza sociale al chiuso potrebbe non essere abbastanza per garantire la sicurezza delle persone.
Non solo non si può sapere quando finirà la pandemia (anche se qualche ipotesi è possibile tracciarla), ma non sarebbe dunque nemmeno confermata la regola che il contagio avviene dopo 15 minuti di contatto entro 2 metri. Le linee guida sulla quarantena e sulle indagini epidemiologiche, affermano gli autori della ricerca, dovrebbero essere aggiornate per accogliere questi fattori per il controllo e la prevenzione del Covid.
Uno studio molto importante quello coreano, perché ha evidenziato come il precisissimo sistema di tracciamento dei contatti, a volte considerato anche eccessivo dalla popolazione, in Corea del Sud abbia in realtà consentito ai ricercatori di monitorare da vicino come il virus si muove attraverso le persone.
Variante inglese più letale mentre la brasiliana e la sudafricana riducono l’effetto dei vaccini: è questo il contenuto principale di un documento scientifico internazionale
Cosa dice il documento
L’allarme è stato lanciato dal consigliere del ministro della Salute, Walter Ricciardi: l’idea di tenere chiusi gli impianti sciistici e proporre un lockdown “breve e mirato” non sono soltanto che la punta dell’iceberg del vero problema. Nelle prossime ore, infatti, verrà visionato un nuovo documento scientifico che è stato prodotto da una task force internazionale di esperti voluta dai leader di grandi Paesi occidentali: dal nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alla Cancelleria tedesca Angela Merkel ed al presidente francese Emmanuel Macron per arrivare al primo ministro britannico Boris Johnson, solo per citare i più importanti. Come viene riportato dal quotidiano LaStampa, in questo rapporto visionato dallo stato Ricciardi viene analizzato l’impatto delle varianti del virus in circolazione, ed i risultati sono molto preoccupanti.
Variante inglese più letale
Dalle notizie che arrivano dal Regno Unito, la variante inglese non provocherebbe soltanto un aumento della contagiosità del 50%, come si era detto finora, ma sarebbe più letale del virus originale del 20 e 30% in più: questa notizia, se confermata, cambierebbe tutto lo scenario dal momento che l’inglese diventerà prevalente anche in Italia (adesso 1 caso su 5 è inglese). “Nell’arco di 5 o 6 settimane potrebbe sostituire completamente o quasi l’altro ceppo virale attualmente circolante”, aveva spiegato tre giorni fa il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.
Ma le brutte notizie non sono finite: sul documento si parla anche di variante brasiliana e sudafricana: la prima non creerebbe immunità rischiando di ridurre drasticamente l’impatto dei vaccini, la sudafricana annullerebbe quasi del tutto l’efficacia del vaccino italo-inglese di AstraZeneca, quello su cui l’Italia ha puntato maggiormente, riducendo l’efficacia addirittura al 10-20%. Praticamente nulla. E riecheggiano le parole pronunciate dalla Merkel qualche giorno fa quando aveva detto che “le varianti sono un pericolo reale, minacciano i successi raggiunti, con conseguenze catastrofiche”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche Ricciardi che ha proposto al ministro Speranza un “lockdown breve e mirato, tornare a testare e tracciare, vaccinare a tutto spiano”, ha dichiarato in un’intervista al Messaggero.
Quali prospettive?
Alla luce di questo documento e del suo contenuto vanno ripensate le contromisure prima che sia troppo tardi. Le ipotesi in campo sono molteplici ma questa volta l’intenzione è quella di prevenire: smetterla di chiudere di volta in volta in base all’aumento dei casi ma programmare chiusure ad hoc con largo anticipo, fermandosi per alcune settimane e poi ripartire. Ovviamente è una strada nettamente in salita, il nuovo governo si troverà a prendere decisioni non facili e sicuramente impopolari. Oggi, comunque, ne sapremo di più dopo la riunione del Comitato tecnico-scientifico che discuterà sul documento in questione, valuterà l’attuale situazione epidemiologica per poi tirare le somme. La preoccupazione maggiore, in questa fase, viene dalla riapertura delle scuole in presenza: si tornerà alla Dad (Didattica a distanza) o si deciderà per altro? Come si tenterà di fermare la variante inglese? Domande, per il momento, senza risposta.
L’uso corretto della mascherina può davvero fare una grande differenza, secondo uno studio pubblicato mercoledì dai Centers for Disease Control and Prevention.
Dopo diversi test di laboratorio , il CDC ha scoperto che indossare una maschera di tessuto a tre strati su una maschera medica o chirurgica a tre strati bloccava il 92,5% delle particelle dalla tosse.
Era molto più efficace di una singola maschera. Una maschera chirurgica da sola ha bloccato le particelle provocate dalla tosse del 42% e una maschera in tessuto le ha bloccate del 44,3%.
Ovviamente meglio ancora sarebbe indossare maschere N95, che vengono utilizzate principalmente negli ospedali e sono certificate e che filtrano il 95% delle piccole particelle.
“l ‘uso di mascherine è uno dei nostri mezzi più potenti non solo per l’epidemia e i suoi effetti sulla salute umana e l’economia, ma anche per rallentare l’evoluzione virale”, ha detto. “Stiamo esaminando tutti i modi in cui possiamo migliorare le nostre misure di prevenzione”.
Non è noto se le prestazioni delle maschere singole o doppie siano diverse rispetto alle nuove varianti, ha detto il dottor Brooks. “È lo stesso virus, quindi le misure dovrebbero funzionare”, ha detto. “Quello che non sappiamo è quanto efficacemente funzioneranno”.
Negli esperimenti di laboratorio, la doppia maschera era anche più protettiva contro gli aerosol dalla respirazione. Ha bloccato l’83% degli aerosol emessi durante 15 minuti di respirazione tranquilla da una sagoma della testa non protetta da mascherina in una piccola stanza. La protezione era del 96,4% quando l’altra persona nella stanza indossava anche una doppia mascherina o una maschera singola aderente.
Il CDC ha anche testato l’efficacia di una maschera medica o chirurgica che si adattava meglio annodando i cappi per le orecchie e piegando i lati vicino al viso. Indossare quella maschera ha bloccato il 64,5% degli aerosol emessi dall’altra forma della testa, che era non mascherata, e il 95,9% delle particelle quando la forma della testa era mascherata.
Liberamente tradotto ed adattato da Dott. Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro.
Pubblichiamo il link ad un approfondimento della Fondazione Studi del Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro che passa in rassegna gli incentivi contenuti dapprima nel decreto Rilancio e poi incrementati dalla legge di Bilancio 2021 con ulteriori agevolazioni per la cessione dei vaccini Covid-19 e con l’implementazione dei criteri di individuazione dei dispositivi di protezione individuale detraibili ai fini delle imposte dirette.
Covid-19: le agevolazioni fiscali per vaccini e dispositivi di protezione individuale
Con il presente opuscolo si ritiene di poter fornire agli operatori agricoli del settore agro-zootecnico strumenti utili alla gestione della sicurezza e della tutela della salute, nel rispetto della normativa vigente, quali misure di prevenzione e protezione edeguate ed efficaci per mitigare l’esposizione e la diffusione del virus SARS-CoV-2 (igiene sul luogo di lavoro, misure di protezione individuale, gestione corretta delle attrezzature di lavoro).
Esiste una classifica dei lavori che fanno bene alla salute. Quali sono i requisiti dei quali si tiene conto quando si sceglie un lavoro?
Nella maggior parte dei casi, le persone considerano tre aspetti fondamentali: attività quotidiana, luogo e salario. Sono veramente poche le persone che, invece, guardano le ricadute del lavoro da un altro punto di vista: cioè quali sono le conseguenze che questa scelta potrebbe avere sulla propria salute.
Ad ogni professione, infatti, possono corrispondere dei rischi per il proprio fisico, che possono variare: dallo spendere ore di fronte a uno schermo, al lavorare in luoghi pericolosi, e tanti altri. Uno studio è stato condotto da Lenstore, frutto di un sondaggio alla popolazione, per determinare quali sono le conseguenze del lavoro sulla salute fisica e mentale delle persone.
Lo studio muove da un dato preoccupante: quasi la metà degli italiani (47%) ha dichiarato di essere preoccupata che la propria salute fisica e mentale sia compromessa sul lavoro, aldilà del luogo fisico dove lo svolge.
Il risultato dell’indagine ha tradotto una classifica di 10 lavori che, secondo le risultanze, tutelano di più la salute. Si è partiti da una selezione accurata da una lista madre di 968 mestieri.
Alla base della ricerca c’è il rendere evidente quanto ci sia realmente una stretta connessione tra salute e lavoro, alla luce anche del periodo “particolare” causa Covid-19 che la popolazione mondiale sta vivendo.
Dunque ecco la classifica dei primi 10 lavori che “fanno bene alla salute”:
Contabili
Programmatori
Manager Informatici
Marketing Managers
Avvocati
Fisici
Maestri/ e di Scuola Media
Rivenditori al dettaglio
Architetti
Ricercatori medici
L’altra faccia della medaglia, sono i lavori più pericolosi per la salute dei lavoratori. Su tale classifica ha avuto un impatto decisamente rilavante il Covid-19.
Anestetisti
Veterinari
Poliziotti
Lavoratore su una piattaforma petrolifera
Assistenti di volo
Ispettori doganali
Dentisti
Pompieri
Paramedici e tecnici di emergenza medica
Si capisce come molti siano considerati lavori a rischio per le attività in ambienti pericolosi, ma anche per le esposizioni maggiori ai potenziali contagi da Coronavirus
Dolori muscolari, pulsazioni e pressione irregolari, e soprattutto uno stato di profonda stanchezza. Questi sintomi sono tipici di chi soffre del cosiddetto ‘long Covid’, che non riesce a guarire, ma ricordano molto quelli di un’altra patologia, la sindrome da fatica cronica, tanto che molti ricercatori, a partire dal direttore del Niaid Anthony Fauci, stanno suggerendo un legame tra i due fenomeni. L’ultimo studio in ordine di tempo a ipotizzare una connessione è stato pubblicato su Frontiers in Medicine da alcuni ricercatori del Karolinska Institue e dell’università di Uppsala, e afferma che alcuni pazienti rimangono più a lungo in terapia intensiva perché si scatenano gli stessi meccanismi biologici alla base della malattia. In particolare, spiegano gli autori, la sindrome post Covid in chi è stato in terapia intensiva sarebbe causata dalla soppressione di un ormone prodotto dalla ghiandola pituitaria, da un ‘circolo vizioso’ tra infiammazione e stress ossidativo delle cellule e da una bassa funzionalità di un ormone della tiroide, problemi già osservati in chi ha la fatica cronica. “Date le similarità – concludono gli autori – una collaborazione attiva tra i ricercatori esperti nelle cure in terapia intensiva e nella fatica cronica potrebbe portare a esiti migliori in entrambe le situazioni”.
Il legame tra il Covid e la stanchezza cronica è ipotizzato da diversi ricercatori, soprattutto per quello che riguarda il cosiddetto ‘long Covid’, il fenomeno per cui i pazienti continuano ad avere sintomi, fra cui proprio la fatica cronica è uno dei più diffusi, per molti mesi dopo la malattia. Negli Usa il National Institute of Health, riporta il sito Medscape, sta per far partire due ricerche specifiche sui pazienti post Covid sul tema, e anche in Canada e in Gran Bretagna si stanno studiando pazienti con Covid cronico, soprattutto per capire i meccanismi comuni alle due patologie. Il problema della stanchezza si era presentato anche in alcuni pazienti che avevano avuto la Sars, spiega l’oncologo Umberto Tirelli, ex primario dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Aviano e direttore della Clinica Tirelli Medical Groupm specializzata nella fatica cronica, e in generale buona parte dei pazienti la sindrome si scatena dopo un’infezione. “Anche Anthony Fauci, Direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha speculato che molti pazienti hanno sviluppato una condizione molto simile a quella che si chiama Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Fatica Cronica (Me/Cfs). Questa patologia – spiega l’esperto – si può sviluppare anche dopo altre malattie infettive, per esempio la mononucleosi, la malattia di Lyme, l’influenza, ed è stata osservata anche in pazienti che avevano avuto la Sars. Negli Usa si stima vi siano circa 2 milioni di persone affette da Me/Cfs secondo la National Academy of Medicine, in Italia circa 500mila persone. Effettivamente in questo momento, anche presso la nostra Clinica abbiamo un numero consistente di pazienti affetti da fatica cronica post Covid, a cui applichiamo gli stessi protocolli usati per la fatica cronica”.
Il cuore, dunque, è vittima in modo diretto del Covid-19. Le malattie cardiovascolari rappresentano infatti una complicanza dell’infezione da Sars-Cov-2 ma anche un fattore di rischio, tanto che 7 decessi Covid su 10 riguardano persone che soffrono di ipertensione, come detto. Inoltre, nei contagiati in caso di arresto cardiaco la probabilità di decesso è molto maggiore rispetto a chi non è infetto. Ma gli effetti della pandemia colpiscono il cuore anche in modo indiretto, ritardando diagnosi e cura dell’infarto e aumentando il carico di stress. Aiutare a informarsi è l’obiettivo la Campagna per il Tuo cuore 2021, promossa dalla Fondazione per il Tuo cuore dell’Associazione Cardiologi Ospedalieri (Anmco), che nella settimana di San Valentino metterà 500 cardiologi a disposizione dei cittadini. Ogni anno in Italia 240.000 persone muoiono per malattie cardiovascolari e chi ne soffre è, oggi, tra le principali vittime del Covid-19. “Secondo un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, su 59.394 pazienti Covid deceduti in Italia – spiega Michele Gulizia, presidente di Fondazione per il Tuo cuore e direttore della Cardiologia dell’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania – il 70% presentava ipertensione arteriosa, il 25% cardiopatia ischemica e altrettanti la fibrillazione atriale, il 20% scompenso cardiaco”. Tra le complicanze dovute al Sars-CoV-2 vi è l’aumento della coagulazione del sangue causata dalla reazione infiammatoria dell’organismo: “Questa – aggiunge Gulizia – rappresenta un rischio anche in chi non soffre di cuore, perché può provocare trombi che possono impedire l’afflusso di sangue al muscolo cardiaco”.
Sick woman sleeping on the table during work at home office. Directly above shot
Il Covid-19, però, minaccia chi soffre di malattie cardiovascolari anche in modo indiretto. “A causa della pandemia – prosegue Gulizia – si è registrata una riduzione dei ricoveri per infarto pari al 48% e la mortalità è passata dal 4,1 al 13,7%. Dati allarmanti confermati da diversi studi che hanno rilevato una elevata mortalità, pari al 35%, per eventi cardiovascolari avvenuti al proprio domicilio”. Uno dei problemi è quindi che si va meno in ospedale per paura del contagio, ma non solo. Una nuova ricerca svedese pubblicata sull’European Heart Journal, ha osservato che i contagiati da Sars-CoV-2 che erano stati colpiti da un arresto cardiaco avevano una probabilità molto maggiore di morire rispetto a coloro che ne sono stati colpiti ma non erano infetti. Un’altra insidia Covid-correlata per il cuore, sottolinea l’esperto, “deriva dallo stress accumulato con l’emergenza coronavirus e si sta manifestando con una maggiore incidenza di sindromi di Takotsubo, una cardiomiopatia più diffusa nelle donne e simile all’infarto ma in cui le coronarie non mostrano restringimenti significativi”.
Uno studio della Cleveland Clinic pubblicato su Jama Network Open, infatti, ha mostrato che il numero di pazienti con sintomi di cardiomiopatia da stress tra marzo e aprile è salito all’8% a fronte dell’1,7% del periodo pre pandemia. La prevenzione è quindi l’arma più importante, come ricorda il progetto “Cardiologie Aperte”.
Non mancano nel piano pandemico diversi riferimenti alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare, nell’Appendice al documento, dove vengono fornite indicazioni di continuità aziendale, indicazioni per gli Operatori Sanitari e del personale non sanitario (Forze di Polizia).
Piano pandemico e continuità aziendale
Nel Piano antinfluenzale si prende atto che una pandemia può verificare fenomeni di assenteismo dei lavoratori a causa di malattie personali, assistenza a conviventi malati o timore di ammalarsi, e ciò può potenzialmente perturbare la continuità operativa. Pertanto, è necessario che le aziende si preparino tempestivamente ad adottare piani di preparazione tenendo conto delle loro dimensioni, della loro specifica importanza economica e assumendosi le responsabilità delle strategie da adottare.
In questo contesto, il datore di lavoro deve garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori attraverso misure quali organizzare risorse, strutture e procedure di lavoro, fornire raccomandazioni per le procedure da adottare all’interno dell’azienda.
Piano pandemico: le misure da porre in atto
Il Piano suggerisce alcune Misure da porre in atto:
la protezione della salute dei lavoratori al fine di ridurre il rischio di contagio tra i dipendenti e garantire la continuità delle attività aziendali;
la pianificazione delle risorse per consentire il lavoro in sicurezza e lo sviluppo di competenze specifiche affinché tutti siano preparati al meglio a svolgere i loro compiti in caso di pandemia.
Piano pandemico: pre-organizzazione
Prima dell’arrivo di una pandemia di influenza è necessario identificare il grado di esposizione del personale e verificare la disponibilità a svolgere l’attività lavorativa mediante soluzioni organizzative alternative, per far fronte a un tasso di assenze elevato. Nel Piano si sottolinea che
è indispensabile evidenziare le attività essenziali per l’azienda, i processi e i prodotti più importanti (prioritarizzazione/ posteriorizzazione).
è utile stimare il fabbisogno di materiale dal punto di vista delle misure igieniche come disinfettanti e mascherine protettive e di altre misure fisiche di protezione e provvedere al loro approvvigionamento;
è importante istruire il personale in merito ai compiti, alle responsabilità e competenze nell’ambito delle misure aziendali di gestione delle crisi.
devono essere stabiliti mezzi e canali di informazione che siano noti a tutto il personale prima dell’arrivo di una pandemia per aumentare le conoscenze specifiche sulla pandemia e sulle relative misure da adottare, creando un team di collaboratori formati ed esperti nella gestione della pandemia che definiscano e adottano le procedure aziendali in caso di pandemia.
si rende necessaria la riorganizzazione dei processi di lavoro (es. garanzia delle sostituzioni, reclutamento di personale supplementare, trasferimento di personale, rinuncia alle attività non urgenti e non assolutamente necessarie, adozione di smart-working)
l’accesso a risorse per l’adozione di misure che contribuiscono a contenere il rischio di contagio.
Cosa deve fare il lavoratore?
In base alle indicazioni generali offerte dal Piano, l lavoratore deve:
essere istruito sulle misure di comportamento personale da adottare: indossare mascherine chirurgiche o mascherine FFP secondo la valutazione dei rischi;
lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o in assenza con soluzioni idroalcoliche, in particolare dopo aver starnutito, tossito o essersi soffiati il naso;
starnutire o tossire in un fazzoletto di carta o nella piega del gomito; mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 m (cosiddetto distanziamento fisico);
identificare e comunicare precocemente eventuali sintomi influenzali; adottare le misure di protezione individuali per impedire la trasmissione della malattia.
Misure organizzative per le aziende
L’azienda deve quindi mettere in atto misure organizzative:
sospendere tutte le attività aziendali che prevedono assembramento di persone;
adottare misure sulla base degli aspetti epidemiologici della pandemia (teleconferenze, telelavoro, modifiche degli spazi di lavoro, installazione di barriere di protezione impermeabili tra i clienti e il personale);
provvedere alla disinfezione delle superfici contaminate con detergenti normalmente reperibili in commercio con una formulazione attiva nei confronti del patogeno responsabile della pandemia; programmare sanificazioni ordinarie e/o straordinarie degli ambienti; garantire la permanenza in sicurezza dei lavoratori presso la struttura e contestualmente limitare l’esposizione al rischio di contagio; in fase di organizzazione dei processi di lavoro, tenere conto della situazione familiare dei collaboratori e dei possibili obblighi di assistenza che ne possono derivare (p. es. cura di familiari malati, custodia di figli in età prescolastica e scolastica in caso di chiusura di asili o scuole ecc.)
Misure per gli Operatori Sanitari
Nel Piano si sottolinea che l’adesione a programmi di salute e sicurezza sul lavoro possono limitare la trasmissione e la circolazione dei virus influenzali pandemici e quindi mantenere i servizi sanitari attivi. Essenziale dunque:
Identificare gli OS che hanno fornito assistenza ai pazienti con infezione da influenza pandemica (casi confermati o probabili) o che si sono ripresi dall’influenza pandemica (casi confermati o probabili)
Avere un sistema per monitorare l’assenteismo sul lavoro per motivi di salute, specialmente negli OS che forniscono assistenza diretta ai pazienti critici ai fini di garantire la continuità assistenziale.
Scoraggiare il presenzialismo in presenza di malattia negli OS.
Garantire una continua formazione al personale sanitario sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare e rafforzare le campagne di vaccinazione.
Prevedere per il personale ospedaliero e territoriale azioni volte al miglioramento dell’organizzazione del lavoro e strategie per incrementare una corretta comunicazione e percezione del rischio, prevedendo formazione sulle procedure di risk management.
In caso di pandemia valutare la possibilità di verificare la presenza di sintomi specifici negli OS che forniscono assistenza a pazienti affetti da influenza pandemica prima del turno lavorativo.
Predisporre per gli OS un sistema di sorveglianza delle malattie simil-influenzali raccogliendo informazioni specifiche per ogni setting al fine di migliorare, ove ce ne fosse bisogno, le procedure e i dispositivi di protezione adottati, e incoraggiare gli OS a segnalare loro eventuali stati febbrili.
Personale non sanitario (Forze di Polizia) le indicazioni del Piano pandemico
Gli interventi di prevenzione e protezione sono indispensabili soprattutto nei primi mesi di pandemia, quando ancora non è disponibile il vaccino si spiega nel Documento. Per ridurre la diffusione e la trasmissione delle infezioni occorre attuare idonee procedure di lavoro e avere a disposizione dei lavoratori idonei DPI. Occorre, poi, che ogni Amministrazione istituisca a livello centrale una struttura di gestione dell’emergenza pandemica, cui sia preposto un Dirigente medico per ogni singolo Ente, con il compito di assicurare il coordinamento delle attività di prevenzione a livello periferico e di mantenere il collegamento con il Ministero della Salute.
Inoltre, opportuno:
Istituire una “Unità di crisi” da parte di ogni Amministrazione delle Forze di polizia x Individuare le misure di contenimento del rischio infettivo e monitorarne la loro efficacia.
Avviare le pratiche di approvvigionamento dei DPI durante la fase inter-pandemica, con la possibilità di averne una riserva. x Predisporre i criteri per l’assegnazione al personale di appropriati DPI.
Provvedere all’attività di formazione/informazione nei confronti degli operatori, anche attraverso i medici competenti, sull’adozione di corrette procedure igienico-sanitarie e sulle pratiche di lavoro sicure e sull’utilizzo di DPI.
Non appena il vaccino sia disponibile, garantirne la fornitura e distribuzione ai presidi sanitari delle Forze di polizia.
Fare in modo che le ASL/ASP stabiliscano anticipatamente un’intesa e un piano di comunicazione con le strutture sanitarie delle Forze di polizia presenti nel territorio di competenza e abbiano una stima preventiva del fabbisogno di vaccini per il personale preposto alla sicurezza e all’emergenza.
Fare in modo che, al momento della pandemia, i medici delle strutture sanitarie delle Forze di polizia possano operare coordinandosi con i Dipartimenti di prevenzione a livello territoriale.
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