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VACCINAZIONE COVID E FORZA DELLA SUA IMMUNITA’

dal corriere.it

I vaccini ci proteggono anche dalle varianti del coronavirus? Ha senso prolungare l’intervallo tra la prima e la seconda dose per «proteggere» più persone o, addirittura, come proposto da alcuni,limitarsi a una sola iniezione ? I timori e i dubbi sull’efficacia dei vaccini anti-Covid sono legittimi di fronte alla situazione mondiale della pandemia.

Per quanto riguarda le varianti ( oggi preoccupa soprattutto la variante brasiliana) gli esperti non escludono che alcune mutazioni possano sfuggire agli anticorpi indotti dai vaccini oggi esistenti, ma sottolineano anche che i vaccini a base di Rna messaggero possono essere modificati con facilità in base a nuove esigenze. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha chiesto uno sforzo globale per sequenziare e condividere più genomi del virus, in modo da tracciare le mutazioni.

La variante inglese B.1.1.7 si sta diffondendo rapidamente nel Regno Unito, Irlanda, Danimarca. C’è poi la 501Y.V2, identificata in Sudafrica: in laboratorio alcune delle sue mutazioni, indicate con le sigle E484K e K417N, hanno mostrato di ridurre l’impatto degli anticorpi monoclonali e del plasma dei convalescenti. La variante P.1 identificata a Manaus in Brasile sembra avere mutazioni simili ed è già stata identificata in Giappone. Non sappiamo però come questi nuovi ceppi stiano influendo sul corso della pandemia. In Gran Bretagna è stato creato il consorzio G2P-UK per studiare gli effetti delle mutazioni emergenti. Finora Sars-CoV-2 non sembra essere diventato “resistente” ai vaccini, ma secondo l’Oms è urgente mettere in campo una sorveglianza efficiente per rilevare le varianti e vaccinare in fretta quante più persone possibile.

Un caso paradigmatico è quello di Israele, dove sono già stati somministrati quasi 2,5 milioni di dosi di vaccini (28% della popolazione). Una campagna massiccia, cui è stato affiancato un lockdown per potenziarne i risultati. I primi dati sembrano positivi. Clalit HMO, la più grande organizzazione di servizi sanitari israeliana, ha confrontato due gruppi: 200 mila vaccinati e 200 mila non vaccinati di pari età e profili di salute. Fino al dodicesimo giorno dall’inoculazione del primo gruppo, non c’era differenza nei tassi di infezione. Il 13esimo giorno, scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, è successo qualcosa: il gruppo vaccinato ha mostrato un calo del 33% nel numero di persone infette, rispetto al gruppo non vaccinato. Nei giorni seguenti la differenza è rimasta, con un intervallo variabile tra il 20 e il 40%.
Israele rappresenta un «esperimento scientifico» anche sotto un altro aspetto: la possibilità di ritardare la seconda dose secondo la schedula prevista negli studi clinici. Un grosso azzardo, secondo molti esperti, perché la piena efficacia del vaccino si raggiunge solo a una settimana di distanza dalla seconda dose. Lo conferma una notizia riportata dal Times of Israel, secondo cui all’inizio di gennaio, tra i circa un milione di vaccinati, a circa 240 è stato diagnosticato il virus giorni dopo l’iniezione. Escluso che il vaccino possa essere in sé causa di infezione (dato che non contiene parti del virus), si tratta di una conferma della necessità di continuare a proteggersi dopo la prima dose, perché il corpo impiega tempo per produrre anticorpi efficaci.

Finora gli studi sul vaccino Pfizer hanno dimostrato che la protezione comincia a svilupparsi 8-10 giorni dopo la prima iniezione e solo al 50% di efficacia. Ecco perché la seconda dose, somministrata 21 giorni dopo la prima, è fondamentale: rafforza la risposta del sistema immunitario, portando l’efficacia al 95% e garantendo l’immunità. Un livello che viene raggiunto una settimana dopo la seconda dose, 28 giorni dopo la prima. Ecco perché chiunque si infetti pochi giorni prima di ricevere il vaccino o del raggiungimento della piena efficacia è ancora in pericolo di sviluppare sintomi. Un altro punto importante è che gli studi non hanno ancora determinato se il vaccino blocchi l’infezione e quindi la trasmissione: la mucosa nasale potrebbe comunque ospitare particelle virali in moltiplicazione (senza danneggiare il portatore, protetto dagli anticorpi) e non è escluso che, espellendole attraverso naso e bocca, il vaccinato possa trasmettere il contagio ad altri.

Ecco perché, di fronte a queste incertezze (che si chiariranno nei prossimi mesi con ulteriori studi), è importante seguire le regole. «Pensiamo sia bene rispettare il termine di intervallo di tre settimane fra prima e seconda dose – ha detto il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri -. Inoltre se ci si vaccina con Pfizer è consigliabile che la dose di richiamo la si faccia con lo stesso vaccino”. «È importante che la schedula vaccinale venga mantenuta e chi ha ricevuto la prima dose abbia la possibilità di avere la seconda nei tempi che sono stati dettati dall’approvazione – conferma a Sky Tg24 Marco Cavaleri, responsabile Strategia vaccini dell’Agenzia europea per i medicinali -. Andrebbe fatta a tre settimane, è ragionevole darla anche qualche giorno dopo ma è importante che avvenga in tempi il più vicini possibile a tre settimane. Più si aspetta e più c’è il rischio che il soggetto non venga protetto”. Con una strategia vaccinale che preveda l’uso per tutti di una prima dose ritardando il richiamo, «rischiamo di vaccinare il doppio e non proteggere nessuno – aggiunge Carlo Signorelli, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano -. Sono molto contrario a dilazionare le dosi di vaccino, facendo la prima dose e rimandando la seconda. Sarei molto rigoroso, invece, sulle indicazioni previste. Non ci sono dati che ci possano confortare su altre strategie. Se poi ci saranno altre evidenze le analizzeremo».

Clelia Di Serio è professore di Statistica medica presso la facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano. Ritiene che i dati possano aiutarci a comprendere meglio i meccanismi di diffusione della pandemia e gli effetti delle cure, ma solo se usati correttamente. E che l’efficacia dei vaccini dimostrata negli studi clinici non sia un numero su cui si può «trattare». «Bisogna essere particolarmente attenti dopo aver ricevuto la prima dose perché psicologicamente possiamo sentirci protetti, ma non è così – afferma -, ci sono stati infatti casi di infezioni, dovuti semplicemente al fatto che, come previsto, l’efficacia si raggiunge una settimana dopo la seconda dose. L’effetto di “falsa sicurezza” potrebbe essere devastante per la ripresa della circolazione del virus. Chi si vaccina dovrebbe sentirsi “protetto” solo dopo le due iniezioni, ma anche allora non è certo se sia protetto anche chi ci è vicino e non è vaccinato. Il compito del richiamo è quello di amplificare la risposta iniziale, non sappiamo che cosa possa succedere se ritardiamo questo passaggio. Il rischio, anzi, è che anche la seconda dose possa diventare inutile se trascorre troppo tempo, dato che potrebbe calare lo stimolo a produrre anticorpi. È fondamentale che Paesi, Regioni, Asl tengano da parte le scorte per somministrare le seconde dosi”.

Basandosi sull’analisi di quanto accaduto finora e sulle caratteristiche dei coronavirus, per Clelia Di Serio non bisogna fare confusione: il raggiungimento di un’eventuale immunità di gregge non è certo possa considerarsi l’obiettivo di questo vaccino nel medio periodo (come confermato dall’Oms). Innanzitutto non sappiamo quanto e per quanto a lungo il vaccino ci protegga da una reinfezione e dalla trasmissione e poi non sappiamo come e quanto velocemente il virus muterà e se i vaccini riusciranno ad adattarsi con la stessa rapidità. Il vaccino avrà sicuramente un effetto molto importante sull’abbassamento della curva dei decessi, delle infezioni e sul tasso di letalità, soprattutto se andrà a coprire le fasce fragili. “Sars-CoV-2, a differenza della prima Sars, provoca moltissime infezioni asintomatiche, ecco perché è difficile pensare di liberarcene definitivamente. Dovremo probabilmente imparare a conviverci – finché sarà endemico – e con il tempo stiamo diventando sempre più capaci di diagnosticarlo rapidamente, e curarlo. Per ora quello che possiamo e dobbiamo fare è continuare a seguire le regole di prevenzione (mascherina, distanziamento e igiene delle mani), anche dopo essere stati vaccinati. Si tratta dei primi vaccini a base di mRna che vengono sperimentati a livello di massa, non ne abbiamo avuti altri prima di questa pandemia, ecco perché serve molta prudenza. Ed è necessario che proceda parallelamente anche la ricerca di nuove terapie efficaci, per curare chi si ammala».

LE NUOVE NORME DI RADIOPROTEZIONE

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n.101 del 31 luglio 2020 che costituisce il nuovo testo sulla radioprotezione in Italia.

A distanza di 6 anni e mezzo dalla direttiva 2013/59/Euratom, l’Italia si dota di un provvedimento di recepimento che costituisce lo strumento normativo per l’atteso riordino della materia.

Clicca qui per scaricare il decreto legislativo in formato pdf.

DECRETO LEGISLATIVO 31 luglio 2020 n. 101:
Quali sono le principali novità in materia di radioprotezione?

TITOLO XI PROTEZIONE DEI LAVORATORI

L’articolo 109 (Obblighi dei datori di lavoro, dirigenti e preposti) dettaglia il contenuto della relazione (già oggi prevista), redatta dall’esperto di radioprotezione e dettaglia le informazioni che a tal fine il datore di lavoro deve rendere all’Esperto in Radioprotezione. Il comma 4, stabilisce, in conformità con la disciplina generale di tutela di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che la relazione redatta dall’Esperto in Radioprotezione costituisce il documento di cui all’articolo 28, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per gli aspetti relativi ai rischi di esposizione alle radiazioni ionizzanti ed è munita di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e dal medico autorizzato.

VALORI LIMITE LAVORATORI ESPOSTI (art. 146)

Una importante novità introdotta dal Decreto è rappresentata dalla riduzione consistente dei valori limite di esposizione per i lavoratori classificati esposti a radiazioni ionizzanti. In particolare risulta ridotto di più di sette volte il limite di dose equivalente al cristallino. Il limite fissato dal D.lgvo 230/95 di 150 millisievert /anno è stato ridotto a 20 millisievert/anno.

SORVEGLIANZA SANITARIA

L’articolo 134 “Sorveglianza sanitaria”, introduce novità rispetto al corrispondente articolo del D.lgvo 230/95 e smi nella parte in cui prevede che la sorveglianza di tutti i lavoratori esposti è affidata al medico autorizzato e non più suddivisa tra il medico competente per i lavoratori esposti di categoria B e il medico autorizzato per i lavoratori esposti di categoria A. Infatti, al comma 1, viene stabilito l’obbligo del datore di lavoro di provvedere ad assicurare mediante uno o più medici autorizzati la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti e degli apprendisti e studenti in conformità alle norme del presente Titolo. Tale sorveglianza è basata sui principi che disciplinano la medicina del lavoro. Al comma 2, viene introdotto un periodo transitorio per consentire ai medici competenti di adeguarsi alla nuova previsione. Infatti, si prevede che i medici competenti di cui all’art. 25 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 che alla data di entrata in vigore della presente disposizione già svolgono l’attività di sorveglianza sanitaria sui lavoratori classificati esposti di categoria B possono continuare a svolgere tale attività anche senza l’abilitazione di cui all’articolo 138 per il termine di 24 mesi.

ESPOSIZIONE ALLE SORGENTI NATURALI DI RADIAZIONI IONIZZANTI

Il decreto legislativo 101/2020 di recepimento della direttiva 59/2013/Euratom introduce nel sistema regolatorio di radioprotezione moltissime novità per quanto concerne la protezione dall’esposizione dalle sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti, approfondendo il quadro regolatorio che era stato introdotto con il decreto legislativo 241/2000.
La protezione delle radiazioni ionizzanti da sorgenti naturali è oggetto del Titolo IV e affronta vari aspetti radioprotezionistici:
– Protezione dall’esposizione al radon negli ambienti di vita: questa per l’Italia è una importante NOVITA’ (nel D.Lgs 230/95 e smi tale argomento era esplicitamente dichiarato fuori dal campo di applicazione)
– Protezione dall’esposizione al radon negli ambienti di lavoro: sono contenute importanti modifiche rispetto al quadro normativo precedente.
– Protezione dei lavoratori e dei degli individui della popolazione dall’esposizione ai radionuclidi naturali presenti nelle materie e nei residui di “industrie NORM” (acronimo di Naturally Occurring Radioactive Material: indentifica quei materiali abitualmente non considerati radioattivi ma che possono contenere elevate concentrazioni di radionuclidi naturali per cui sono considerati di interesse dal punto di vista della protezione dei lavoratori e del pubblico).
– Protezione dalle radiazioni gamma emesse da nuclidi contenuti nei materiali da costruzione
– Protezione del personale navigante dall’esposizione alla radiazione cosmica, ecc.

Warning sign caution ionizing radiation Hazardous areas

Andiamo nel dettaglio, focalizzandoci sugli elementi principali: prima di tutto, in accordo con quanto raccomandato dall’ICRP 103, per le situazioni di esposizione esistenti (come la protezione dal radon negli ambienti di vita e di lavoro e la protezione dell’esposizione gamma dovuta ai materiali da costruzione) lo strumento operativo per la radioprotezione è il “livello di riferimento” al posto del “livello di azione”. Il “livello di riferimento” è definito come un valore di dose o di concentrazione di attività in aria (nel caso del radon) da intendere non come “soglia”, ma come un valore al di sopra del quale non è opportuno che si verifichi l’esposizione (attenzione: non è un limite!), quindi è prioritario adottare interventi protettivi. Tuttavia tali interventi si richiede che siano apportati anche al di sotto di tale livello, in osservanza del principio di ottimizzazione.

PROTEZIONE DAL RADON NEI LUOGHI DI LAVORO

Per quanto riguarda la protezione dal radon negli ambienti di vita e di lavoro, inquadrate come situazioni di esposizione esistenti, è fissato lo stesso livello di riferimento (pari ad una concentrazione media annua di 300 Bq/m3 ): questo certamente faciliterà l’attuazione della norma, delineando un quadro radioprotezionistico più omogeneo. Inoltre, per le abitazioni, come si vede dalla tabella 1, a quelle costruite dopo il 31/12/2024 si applicherà un livello di riferimento inferiore, pari a 200 Bq/m3.
Tabella1. Livelli di riferimento concentrazione media annua 
Le norme relative alla protezione dal radon nei luoghi di lavoro si applicano alle attività lavorative svolte in ambienti sotterranei, negli stabilimenti termali, nei luoghi di lavoro seminterrati e al piano terra se ubicati in aree prioritarie (opportunamente definite nell’art.11), oppure se svolte in “specifici luoghi di lavoro” da individuare nell’ambito di quanto previsto dal Piano di Azionale Nazionale Radon.
Nei luoghi di lavoro sopra citati è richiesta la misurazione della concentrazione di radon in aria media annua e nel caso superi il livello di riferimento, si richiede l’adozione di “misure correttive” volte a ridurre i livelli medi di radon indoor. Un’altra novità, al riguardo è l’istituzione della figura dell’ “esperto in interventi di risanamento radon”, un professionista che abbia il titolo di ingegnere o architetto o geometra e formazione specifica sull’argomento attestata mediante la frequentazione di corsi di formazione o aggiornamento universitari dedicati, della durata di 60 ore, su progettazione, attuazione, gestione e controllo degli interventi correttivi per la riduzione della concentrazione del Radon negli ambienti.
Nei casi in cui le misure correttive non siano sufficientemente efficaci da ridurre la concentrazione media annua di radon indoor sotto 300 Bq/m3 , si prevede una valutazione dell’esposizione o della dose efficace dei lavoratori e qualora risulti superiore al valore di 6 mSv/anno (o il corrispondente valore di esposizione al radon), tale situazione è da intendersi come una situazione di esposizione pianificata. Ovviamente tali adempimenti, sinteticamente descritti, vanno inquadrati nell’ambito degli obblighi previsti dal D.Lgs 81/08 e smi, quindi ad esempio le relazioni delle misurazioni di radon vanno a corredo del documento di valutazione dei rischi. E’ da notare che anche il fattore convenzionale di conversione utile alla stima della dose efficace da radon è stato aggiornato, alla luce della raccomandazione ICRP137.
L’adozione di un Piano d’Azione Nazionale Radon è un’altra innovazione importante perché aiuterà a definire:
– specifiche attività lavorative per le quali il rischio di esposizione al lavoro deve essere oggetto di attenzione
– strumenti metodologici necessari all’assolvimento degli obblighi previsti dalla legge,
– strumenti tecnici operativi (linee guida e procedure),
– strategie e criteri attraverso i quali le regioni potranno individuare le aree prioritarie, tenuto conto che un primo criterio di identificazione è già presente nel decreto. Il decreto infatti indica che le Regioni e le provincie autonome, laddove sono disponibili dati di concentrazione del radon (o normalizzati) al piano terra, definiscono “aree prioritarie” quelle in cui in almeno il 15% degli edifici si supera il valore di riferimento;
– misure per rendere le politiche sul radon compatibili e coerenti con quelle sul risparmio energetico o sulla Indoor Air Quality (IAQ) e con le politiche sul fumo di tabacco.

LA VALUTAZIONE DEL RADON: TEMPISTICHE, INTERVENTI, CADENZA

La prima valutazione della concentrazione media annua di attività del Radon deve essere effettuata entro 24 mesi dall’inizio dell’attività o dalla definizione delle aree a rischio o dalla identificazione delle specifiche tipologie nel Piano nazionale. Il documento che viene redatto a seguito della valutazione è parte integrante del Documento di Valutazione del Rischio (articolo 17 del D.lgs. del 9 aprile 2008, n. 81).
Cadenza delle misure:
• Ogni volta che vengono fatti degli interventi strutturali a livello di attacco a terra, o di isolamento termico
• Ogni 8 anni, se il valore di concentrazione è inferiore a 300 Bq m-3
Se viene superato il livello di riferimento di 300 Bq m-3, entro due anni vengono adottate misure correttive per abbassare il livello sotto il valore di riferimento. L’efficacia delle misure viene valutata tramite una nuova valutazione della concentrazione. In particolare:
• A seguito di esito positivo (minore di 300 Bq m-3) le misurazioni vengono ripetute ogni 4 anni.
• Se la concentrazione risultasse ancora superiore è necessario effettuare la valutazione delle dosi efficaci annue, tramite esperto di radioprotezione che rilascia apposita relazione (il livello di riferimento questo caso è 6 mSv annui).

CHI EFFETTUA LE MISURE (ART. 155)

Le misurazioni della concentrazione media annua di attività di radon in aria sono effettuati da servizi di dosimetria riconosciuti.
La determinazione della dose o dei ratei di dose, e delle altre grandezze tramite le quali possono essere valutati le dosi e i ratei di dose nonché delle attività e concentrazioni di attività, volumetriche o superficiali, di radionuclidi deve essere effettuata con mezzi di misura, adeguati ai diversi tipi e qualità di radiazione, che siano muniti di certificati di taratura secondo la normativa vigente. I soggetti che svolgono attività di servizio di dosimetria individuale e quelli di cui agli articoli 17, comma 6, 19, comma 4, e 22, comma 6, devono essere riconosciuti idonei nell’ambito delle norme di buona tecnica da istituti previamente abilitati; nel procedimento di riconoscimento si tiene conto dei tipi di apparecchi di misura e delle metodiche impiegate. Con uno o più decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell’interno e della salute, sentiti l’ISIN, l’Istituto di metrologia primaria delle radiazioni ionizzanti e l’INAIL sono disciplinate le modalità per l’abilitazione dei predetti istituti, tenendo anche conto delle decisioni, delle raccomandazioni e degli orientamenti tecnici forniti dalla Commissione europea o da organismi internazionali.
Sono considerati istituti abilitati l’ISIN e l’INAIL.
I servizi di dosimetria devono possedere requisiti minimi previsti dall’art. 22 .
I contenuti della relazione tecnica e le modalità di effettuazione delle misure sono dettagliati nell’Allegato II

PROTEZIONE DALL’ESPOSIZIONE GAMMA DOVUTA AI MATERIALI DA COSTRUZIONE

Questo aspetto è di nuova introduzione nel sistema regolatorio italiano. Questa norma si riferisce ad alcune tipologie di materiali da costruzione presenti sul mercato quindi NON ai materiali già in opera: i materiali da costruzione che rientrano nel campo di applicazione della legge sono elencati nell’allegato II e di seguito riportati:

1. Materiali naturali

a) Alum-shale (cemento contenente scisti alluminosi).

b) Materiali da costruzione o additivi di origine naturale ignea tra cui:

• granitoidi (quali graniti, sienite e ortogneiss);

• porfidi;

• tufo;

• pozzolana;

• lava.

• derivati dalle sabbie zirconifere

 

2. Materiali che incorporano residui dalle industrie che lavorano materiali radioattivi naturali tra cui:

a. ceneri volanti;

b. fosfogesso;

c. scorie di fosforo;

d. scorie di stagno;

e. scorie di rame;

f. fanghi rossi (residui della produzione dell’alluminio);

g. residui della produzione di acciaio.

Questa normativa va ad integrare il Regolamento UE 305/2011 sui prodotti da costruzione in relazione alla marcatura CE e va ad integrare quanto previsto per la stesura della dichiarazione di prestazione: questi adempimenti coinvolgono il fabbricante, il mandatario, il distributore e l’importatore.

 

Per tale situazione di esposizione esistente, il nuovo decreto fissa un livello di riferimento pari ad 1 mSv/anno.

 

Per questi materiali che rientrano nell’elenco di cui all’allegato II, è necessario effettuare una misura delle concentrazioni di attività di Ra-226, Th-232 e K-40. Tali valori di concentrazione di attività sono necessari alla stima dell’ “Indice di concentrazione di attività – Indice I”. (foglio di calcolo per Indice di concentrazione di attività – Indice I disponibile sul Portale Agenti Fisici -sezione Radiazioni Ionizzanti naturali – metodiche di valutazione del rischio)

 

Se il valore dell’indice di concentrazione di attività è pari o minore di 1, il materiale in esame può essere utilizzato come materiale strutturale (quindi in grandi quantità) senza che il livello di riferimento sia superato.

 

Se il valore dell’indice I risulta superiore a 1, è necessaria una valutazione accurata del possibile contributo in termini di dose efficace, tenuto conto delle caratteristiche del materiale in termini di spessore e densità. Nei casi in cui il materiale è suscettibile di dare una dose>1 mSv/anno, tale materiale non può essere utilizzato per l’edilizia civile (materiale strutturale di abitazioni e di edifici a elevato fattore di occupazione) ma per scopi diversi, che vanno previsti che nei codici e nei regolamenti edilizi.

 

PROTEZIONE DALL’ESPOSIZIONE GAMMA DOVUTA AI MATERIALI CONTENENTI RADIOISOTOPI DI ORIGINE NATURALE (NORM)

Il Capo II del Titolo IV disciplina le “Pratiche che comportano l’impiego di materiali contenenti radionuclidi di origine naturale”, le cosiddette “industrie NORM. Nell’ambito del Titolo IV questa è forse tra le parti che hanno subito il cambiamento più importante rispetto alla normativa precedente.

Innanzitutto, queste sono già classificate come “pratiche”, mentre prima erano “attività lavorative” che entravano nel sistema di radioprotezione solo se sussistevano determinate condizioni (superamento del livello di azione).

In altri termini le attività che ricadono nell’ambito di applicazione della norma hanno l’obbligo – entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto (entro il 27 agosto 2021) o dall’inizio della pratica, di provvedere alle misurazioni delle concentrazioni di attività dei materiali presenti nel ciclo produttivo e nei residui di lavorazione, avvalendosi di organismi riconosciuti. Nel caso in cui i risultati delle misurazioni siano superiori ai livelli di esenzione è necessaria la nomina di un Esperto in Radioprotezione che procederà all’attuazione degli adempimenti di radioprotezione prescritte per la tutela dei lavoratori (art. 22).

 

L’articolo 22 prevede esplicitamente che la relazione tecnica contenente gli esiti delle valutazioni effettuate dall’Esperto in Radioprotezione siano parte integrante della valutazione dei rischi ai sensi del D.lgvo 81/08.

 

I settori industriali ai quali si applicano le nuove norme sono più numerosi rispetto al passato; ad esempio, i cementifici, la geotermia, gli impianti per la filtrazione delle acque di falda ecc. sono settori prima non coinvolti dalla normativa di radioprotezione. Nell’ambito dei settori industriali di cui all’allegato II (vedi Tabella II-1) , si considerano le attività che comportano:

a) l’uso o lo stoccaggio di materiali che contengono radionuclidi di origine naturale;

b) la produzione di residui o di effluenti che contengono radionuclidi di origine naturale.

 

Come sempre nel caso delle pratiche, gli strumenti di radioprotezione sono i livelli di esenzione, i livelli di allontanamento e il limite di dose. In questo caso i livelli di esenzione e di allontanamento hanno gli stessi valori: essi sono stati definiti per i lavoratori e per gli individui della popolazione sia in termini di concentrazione di attività, sia in termini di dose efficace nell’allegato II.

 

Si prevede che l’esercente di tali pratiche provveda alla misurazione della concentrazione di attività sui materiali presenti nel ciclo produttivo, sui residui ed eventualmente effluenti. Nel caso in cui tali valori di concentrazione risultino inferiori ai livelli di esenzione in termini di concentrazione di attività, la pratica si può considerare “esente” dagli obblighi di notifica ed “uscire” dal sistema di radioprotezione, con la sola richiesta di ripetere tali misurazioni radiometriche con cadenza triennale.

 

Nel caso i suddetti valori siano superiori livelli di esenzione in termini di concentrazione di attività, è necessario valutare la dose efficace ai lavoratori e all’individuo rappresentativo: se dalle valutazioni risultano non superati i livelli di esenzione in termini di dose al lavoratore e all’individuo rappresentativo, la pratica ha una nuova opportunità per considerarsi “esente” dagli obblighi di notifica ed “uscire” dal sistema di radioprotezione, con la sola richiesta di ripetere tali valutazioni con cadenza triennale.

 

In caso di superamento dei livelli di esenzione in termini di dose al lavoratore e all’individuo rappresentativo si applica quanto previsto ai titoli XI e XII inerenti rispettivamente la protezione dei lavoratori e la protezione della popolazione.

 

Tabella II-1 Settori industriali “NORM”

 

L’adozione di misure correttive e la ripetizione dello schema sopra descritto può determinare nuove condizioni.

Un aspetto molto importante è l’allontanamento dei residui prodotti da industrie NORM, per i quali è stata quindi introdotta una classificazione (altra novità molto importante) tra “esenti” (se il contenuto radiologico è inferiore ai livelli generali di allontanamento, intesi quindi con livelli di non rilevanza radiologica) e non “esenti”.

I residui “esenti” sono fuori dal campo di applicazione del sistema di radioprotezione e necessitano di autorizzazione per essere gestiti, smaltiti nell’ambiente, riciclati o riutilizzati nel rispetto della disciplina generale delle emissioni in atmosfera o della gestione dei rifiuti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

I residui “non esenti” vanno smaltiti in discariche autorizzate, in possesso di requisiti descritte nella norma all’articolo 26 e con e secondo le modalità di cui all’allegato VII. La norma è molto complessa e articolata, (anche ricca di molte eccezioni).

 

In questa nota di sintesi è impossibile riportare molti dettagli, per cui si rimanda ad un’attenta lettura dell’intero decreto. Ulteriori dettagli in merito agli organismi di misura, alle autorità a cui la documentazione va trasmessa/notificata, alle figure professionali che supportano l’esercente nell’assolvimento degli obblighi e ulteriori approfondimenti saranno a breve disponibili sul Portale Agenti Fisici.

 

 

A cura di

Iole Pinto (Azienda USL Toscana Sud Est- Laboratorio Sanità Pubblica – Siena)

Rosabianca Trevisi (INAIL Settore Ricerca – DiMEILA) da puntosicuro

INFEZIONE COVID: IMMUNITÀ PER 5 MESI

Da Dottnet.it

La maggior parte delle persone contagiate dal Covid-19 e poi guarite resta protetta per almeno 5 mesi successivi dal rischio di ammalarsi nuovamente. E’ quanto indica uno studio condotto a campione dal Public Health England, organismo pubblico della sanità britannica, che evidenzia peraltro come una percentuale, ancorché minoritaria, non risulti immune dal rischio di essere nuovamente colpita dal virus.   I ricercatori hanno rilevato che l’83% dei guariti dal Covid-19 ha meno possibilità di riammalarsi, un tasso d’immunità medio molto alto grazie alla duratura presenza di anticorpi rilevata nell’organismo, che riducono il rischio di un secondo contagio ma non quello di trasmissione del virus. Lo studio è stato condotto attraverso il monitoraggio di oltre 20mila operatori sanitari, tra giugno e novembre 2020, compreso personale clinico in prima linea: tramite test regolari è stato possibile misurare la quantità di anticorpi residui da un’infezione passata.  La dottoressa Susan Hopkins, responsabile della ricerca, ha dichiarato alla Bbc che i risultati appaiono molto incoraggianti dal momento che l’immunità sembra durare più di quanto alcuni medici e scienziati avevano inizialmente ipotizzato.

SOSPESO PER IL 2021 L’ALLEGATO 3B

Il Ministero della Salute, con circolare del 14 gennaio 2021,  alla luce del carico di lavoro dei medici competenti, della difficoltà della situazione legata alla gestione dell’emergenza COVID-19 e della peculiarità operativa della sorveglianza sanitaria periodica in questa fase pandemica, sospendere l’invio dell’allegato 3B per tutto il 2021.

scarica la circolare in formato pdf: circolare _sospensione allegato 3b art 40

EFFETTI SUL FISICO DI 25 ANNI DI SMART WORKING

Obesi, con la gobba e gli occhi affaticati per il lavoro al computer. Così diventeranno le persone che lavorano da casa secondo l’elaborazione grafica di un modello fatta dalla piattaforma di ricerca del lavoro DirectlyApply. Con l’aiuto di esperti, la società ha creato Susan, smart worker del 2045, per sensibilizzare il pubblico sui problemi per la salute del lavoro da remoto, diventato una prassi per molti con la pandemia.

“Il tuo tragitto quotidiano per andare al lavoro, dal letto alla scrivania, ti può far guadagnare più tempo libero e indipendenza, ma le ripercussioni fisiche per la mente e il corpo sono molte. Ne varrà la pena per il futuro?”, scrivono i responsabili di DirectlyApply.

Vedere Susan fa piuttosto impressione. Molti smart worker che in questi mesi stanno facendo esperienza di una vita con solo cinquanta passi al giorno (quelli dalla camera alla cucina) e con pochissime interazioni sociali si scopriranno già sulla buona strada per diventare molto simili a Susan.

Immagine: DirectyApply

La mancanza di movimento può portare a una postura sbagliata, con la schiena curva e il collo allungato in avanti. La posizione sbagliata può provocare la sindrome del “tech neck”, con la cervicale infiammata e il doppio mento. Lo sguardo sempre fisso sul computer può far venire gli occhi rossi e nel lungo periodo avere effetti negativi sulla vista. In più stringere gli occhi per vedere meglio può far aumentare le rughe. Scrivere sulla tastiera per lungo tempo può portare dolori al polso e alle mani. La scarsa esposizione al sole può causare la mancanza di vitamina D e la conseguente perdita di capelli. Le occhiaie, quelle le conosciamo già tutti. A tutto questo si aggiungono pallore, obesità, stress. I pantaloni del pigiama non sono un problema di salute, ma mostrano la scarsa vita sociale di chi lavora da casa, che non è un fattore irrilevante per il benessere psico fisico.

Immagine: Directy Apply

Sono tutti problemi di cui soffre Susan e di cui finiranno per soffrire molti lavoratori da casa se non adottano alcune buone abitudini. DirectlyApply ne elenca alcune che vi riportiamo qui:

  • Mantenere una routine aiuta a gestire il tempo e a conservare la salute psicologica
  • Coltivare le relazioni social
  • Fare esercizio fisico, in particolare esercizi o discipline come lo yoga, per la postura corretta
  • Separare la vita privata da quella professionale (una, divisione difficile per molti) lavoratori da casa che da quando è cominciata la pandemia lavorano più ore del previsto, non riescono mai a staccare e arrivano sull ‘orlo del burn out).
  • Utilizzare con saggezza il proprio tempo libero
  • Collaborare con i colleghi, anche se a distanza

Da it.mashable.it

Immagine di copertina: DirectlyApply

COVID 19: PIÙ SINTOMI PER I FUMATORI

Da dottnet.it

Chi fuma sigarette presenta un numero di sintomi del Covid-19 più elevato rispetto ai non fumatori e corre un rischio doppio di esser ricoverato. E’ quanto emerge dallo studio pubblicato oggi sulla rivista scientifica Thorax dai ricercatori del King’s College di Londra. I ricercatori hanno analizzato i dati di utenti inglesi dell’app Zoe Covid Symptom Study, di cui l’11% erano fumatori. Durante il periodo di studio (24 marzo e aprile 2020), i fumatori avevano il 14% di probabilità in più, rispetto ai non fumatori, di sviluppare la classica triade di sintomi che suggeriscono la diagnosi di Covid-19: febbre, tosse persistente e mancanza di respiro. I fumatori positivi al Sars-Cov-2 inoltre avevano il 29% di probabilità in più di avere oltre 5 sintomi associati a Covid-19 e il 50% di probabilità in più di averne oltre 10, tra cui perdita dell’olfatto, diarrea, affaticamento, confusione e dolore muscolare. Infine, avevano più del doppio delle probabilità di andare in ospedale.  “Alcune indagini nei mesi passati hanno suggerito un effetto protettivo del fumo sul rischio Covid-19. Tuttavia, gli studi in quest’area possono essere facilmente influenzati da pregiudizi nel campionamento, nella partecipazione e nella risposta.

I nostri risultati mostrano invece chiaramente che i fumatori corrono un rischio maggiore di soffrire di una gamma più ampia di sintomi Covid”, spiega Mario Falchi, ricercatore capo e docente senior al King’s College di Londra. Diminuire il vizio fumo, suggeriscono gli autori, potrebbe anche contribuire a ridurre il carico del sistema sanitario derivante dall’aumento dei ricoveri in ospedale.

C’È ANCHE BURNOUT DA SMART WORKING

Da huffingonpost.it

Pare che l’idillio sia finito. Lavorare da casa non è così bello come poteva sembrare all’inizio. E se prima ai piani alti ci si interrogava se fosse altrettanto produttivo, se il lavoratore facesse comunque il suo dovere anche lontano dall’ufficio, ora la questione è un’altra. Pare che da casa si sia esagerato, tanto da parlare di burnout.

Bloomberg ha fatto i conti: in media la giornata lavorativa dura da una a tre ore in più, si fanno più riunioni e si mandano anche più mail, almeno 8 al giorno fuori dall’orario di lavoro.
Secondo Forbes questo non è positivo neppure per i datori di lavoro: i manager dovrebbero preoccuparsi di alcuni piccoli segnali che si possono vedere nei team anche a distanza, nelle call o nelle chat.
Il primo campanello di allarme riguarda la gestione delle chiamate, delle mail. Chi non riesce mai ad arrivare in tempo al telefono, chi non risponde alle mail o rimanda sempre una consegna è probabilmente sopraffatto dal lavoro, è esausto. Se poi la qualità del lavoro è scesa, se non si accetta di aver fatto un errore e si tende a dare la colpa agli altri, in tutta probabilità si è entrati nella prima fase del burn out. Il passo successivo porta all’ “esaurimento” completo: il silenzio alle riunioni, la mancanza di pazienza, ma anche l’amarezza, la mancanza di orgoglio per i risultati ottenuti.
Un passo che purtroppo hanno fatto in molti. Secondo una ricerca di Monster.com soffrono di burn out due lavoratori su tre, ovvero il 69 per cento dei lavoratori, il 20 per cento in più rispetto ai mesi che hanno preceduto il lockdown.
Tutto nasce dall’incapacità di disconnettersi dal lavoro, di avere orari precisi come quando si andava in ufficio.

David Burkus, psicologo del lavoro e delle organizzazioni, autore di 5 best seller, in un suo recente intervento per Tedx è partito proprio da questo aspetto per spiegare come si possa stare efficacemente alla larga dal burnout.

Il primo e più semplice consiglio è quello di organizzare la giornata secondo orari prestabiliti ed assicurarsi che vengano rispettati anche dagli altri. Non si accende il laptop mentre si guarda un film alla sera, e non si risponde neppure a mail o a messaggi dopo o durante la cena.
Per chiudere la giornata lavorativa Bukus consiglia di inserire un rituale, un’azione da compiere quasi in automatico, ogni sera. Come controllare la lista degli impegni dei prossimi giorni e verificare che ogni lavoro stia procedendo. Dopo di che, meglio cambiare stanza. E anche device. Si potrebbe usare il laptop solo per il lavoro e lo smartphone o il tablet solo per lo svago. Oppure cambiare utente. Così sul pc ci saranno due desk diversi a seconda delle attività e dei momenti della giornata. Infine l’azione più importante, quella che durante il lockdown abbiamo più desiderato: quando hai bisogno di una pausa, di un po’ di energia extra, non affidarti all’ennesima tazza di caffè ma esci. Fuori, in quartiere, al parchetto, poco importa, stare all’aria aperta sarà un’ottima soluzione contro lo stress.
Laurel Farrel, presidente della Remote Work Association e CEO della Distribute Consulting su Forbes suggerisce, quando compaiono i primi sintomi, di parlarne al più presto con il proprio capo e con il resto del team. Potrebbe essere utile anche agli altri ridistribuire gli incarichi, cambiare gli step di approvazione o le modalità di consegna della pratica.

Su come sono cambiate le modalità di lavoro è intervenuta Laura Vanderkam su Fortune: ha segnalato, tramite le testimonianze degli ascoltatori del suo podcast – The New Corner Office, dedicato proprio al lavoro da casa -, che in alcune società si è passati a fare una sorta di appello. Ogni giorno alle 9 in punto una chiamata per verificare che gli impiegati siano effettivamente al lavoro alla loro scrivania da casa. Una situazione che evidentemente ci riporta al punto di partenza, al dubbio che da casa si lavori di meno. Così crescono gli impiegati che non staccano mai, che rispondono al primo squillo, che non dimenticano le mail e che lavorano senza un orario. Sempre la Vanderkam, autrice anche di diversi libri sul tema dell’home working propone una semplice soluzione: prevedere anche una chiamata di saluti a fine giornata, un via libera a tutti fino al giorno dopo. Una chiamata – badate bene all’orario – che arrivi alle 16,45.

I CORSI DI PRIMO SOCCORSO DEVONO PROSEGUIRE IN PRESENZA:LA CIRCOLARE DEL MINISTERO

  1. Fatti salvi i numerosi protocolli redatti per l’esecuzione in sicurezza dei corsi di Primo soccorso, si rammenta la necessità che gli stessi continuino ad essere svolti, soprattutto con la finalità di rispondere agli obblighi normativi previsti principalmente dal decreto legislativo 81/2008”. È quanto precisa il Ministero in una nuova circolare ad hoc.

“Al fine di rispondere ai suindicati obblighi normativi – si legge – , il datore di lavoro, nel formare i propri dipendenti designati per le attività di primo soccorso deve strutturare i più idonei percorsi tra i quali si annovera il corso BLS-D. Pertanto i corsi in oggetto, con le cautele del caso, e con le specifiche di sicurezza anti-contagio fornite dalle summenzionate circolari, devono essere organizzati e svolti anche nella presente fase pandemica, affinché il datore di lavoro possa svolgere a norma di legge la propria sorveglianza in materia di tutela e sicurezza negli ambienti di lavoro”.“I corsi di formazione per il primo soccorso – BLSD – ribadisce la circolare – sono pertanto assimilabili a quelli consentiti dal DPCM 3 dicembre 2020, art. 1, comma 10, lettera s.Ministero specifica inoltre “che la formazione continua del personale sanitario dei sistemi di emergenza territoriale non può essere sospesa o rimandata, per evidenti motivi di mantenimento della capacità operative; per di più, il possesso del titolo rilasciato a fine corso rappresenta per alcuni profili professionali requisito necessario per la presa di servizio. Il rischio da COVID-19 si è andato ad aggiungere ad altri fattori quali le malattie cardiovascolari, che rappresentano ancora la principale causa di morte nel nostro paese, essendo responsabili del 35% di tutti i decessi; per tale motivo si ritiene che la formazione al primo soccorso sia necessaria anche per i soccorritori laici, che rappresentano i “first responder” nelle situazioni di emergenza.

La fase dell’addestramento alle abilità tecniche e manuali della RCP (rianimazione cardiopolmonare), può avvenire soltanto “in presenza,” considerata l’irrinunciabile esigenza di praticare in modo diretto le manovre di Basic Life Support su simulatori

ESPOSIZIONE A SILICE:BANCA DATI INAIL

Da Inail.it

Banca dati esposizione silice – Rapporto 2000 – 2019

Gli effetti sanitari della silice cristallina e la sua ubiquitarietà rendono attuale il tema dell’esposizione professionale a tele agente di rischio nonostante l’evoluzione degli scenari lavorativi.

 

La Banca dati esposizione silice, realizzata dalla Contarp in collaborazione con la Direzione centrale organizzazione digitale, raccoglie i dati di oltre 8000 campioni prelevati nei monitoraggi effettuati dall’Inail in tutta Italia dal 2000 al 2019. Il Rapporto presenta i risultati delle misurazioni sull’esposizione a silice cristallina e a polvere respirabile, descritti per attività e mansione, con elaborazioni statistiche utili per valutare il rischio nelle aziende, per l’implementazione di buone prassi e per studi epidemiologici.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2019
Disponibilità: Si – Consultabile anche in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

SMART WORKING BONUS SPESE coprirà bollette e buoni pasto

Anche al termine dell’emergenza sanitaria legata al Coronavirus, lo smart working potrebbe essere una modalità di lavoro a cui sempre più aziende e dipendenti ricorreranno. Proprio per questo motivo si sta pensando di introdurre un bonus spese che vada a sostituire i buoni pasto, gli straordinari e anche le spese per le utenze per chi aderisce al lavoro agile.

A febbraio potrebbe finire lo stato d’emergenza per il Coronavirus, anche se un’ulteriore proroga è tutt’altro che esclusa. Di conseguenza potrebbero cambiare anche le regole per lo smart working. Non più automatico con accordi tra imprese e sindacati, ma con la necessità di un accordo obbligatorio con il dipendente. La questione da risolvere riguarda il trattamento economico di chi lavora da casa e chi da ufficio o comunque sul posto di lavoro, considerando che deve essere identico per entrambi. Ma con il ricorso al lavoro agile si va inevitabilmente incontro a delle decurtazioni, come la perdita dei buoni pasto e degli straordinari e anche le maggiori spese per le utenze, che però potrebbero essere compensati dalle minori uscite per trasporti e spostamenti. Così ciò a cui si sta pensando, secondo quanto spiega la Repubblica, è un bonus spese per chi lavora da casa.

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I buoni pasto e gli straordinari sono previsti per un lavoro che prevede un orario rigido, diverso dal lavoro agile. Che, in teoria, dovrebbe essere incentrato soprattutto sugli obiettivi, quantomeno alla fine della fase di emergenza sanitaria. Motivo per cui l’idea che sta prendendo piede è quella di un rimborso forfettizzato delle utenze o un pacchetto di welfare che consideri i guadagni e le perdite valutandoli insieme a benefici di altro tipo.

LA DECURTAZIONE DEI PASTI IN SMART WORKING

L’erogazione dei buoni pasto in smart working è difficile da valutare, in quanto si tratta di un beneficio legato all’orario di lavoro e alla pausa pranzo. Il discorso cambierebbe completamente di fronte a un’organizzazione autonoma del lavoro. Florindo Oliverio, segretario Fp Cgil, spiega che “i buoni pasto valgono circa 160 euro al mese. Se si considerano anche gli straordinari si capisce perché ci sono stati lavoratori che avrebbero avuto diritto a continuare a lavorare in smart working da settembre e che hanno chiesto una certificazione speciale di buona salute pur di tornare in ufficio: non si potevano permettere uno stipendio decurtato”.
Il sistema dei buoni pasto ha un problema - Il Post

ILPROBLEMA DEGLI STRAORDINARI NELLA PA

Altra questione ritenuta critica è quella degli straordinari: nella pubblica amministrazione sono ritenuti difficili da calcolare con lo smart working, quindi si pagano solamente in caso di lavoro in una giornata non lavorativa, come domenica e festivi. Nel privato, infatti, esistono i forfait, ma nel pubblico serve l’effettivo svolgimento della prestazione, il che rende difficile introdurre questo meccanismo nel lavoro agile, più votato agli obiettivi. A questo si aggiunge un altro problema, quello dell’indennità di turno, che nella Pa vale in media 200 euro. Per tutte queste ragioni l’ipotesi ritenuta più facilmente percorribile dai sindacati è quella di un rimborso forfettario delle spese, che possa scavalcare questi ostacoli garantendo comunque un rimborso aggiuntivo ai lavoratori.

preso da: www.fanpage.it