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COME SARA’ LA FORMAZIONE ED IL LAVORO POST COVID

Financialounge.it

A seguito della pandemia l’intero comparto EdTech, tutti quei servizi che si propongono di facilitare l’apprendimento tramite l’uso e la gestione di appositi processi tecnologici e risorse innovative, ha ricevuto uno straordinario impulso in termini sia di attenzione che di gradimento. “Con ogni probabilità, la pandemia accelererà lo sviluppo dell’EdTech e molte aziende del comparto anticiperanno gli investimenti in nuove funzionalità”, fa sapere il team di gestione di Credit Suisse (Lux) Edutainment Equity Fund.

PROMOSSO IL MODELLO DIDATTICO MISTO

Emerge infatti la convinzione che l’EdTech possa trasformare l’istruzione così come la conosciamo oggi alla luce del fatto che studenti, educatori, manager aziendali e famiglie, si sono resi conto che molte delle applicazioni di formazione e apprendimento online sono efficaci quanto la didattica tradizionale promuovendo il modello didattico misto, che non sostituisce ma piuttosto conferisce autorità agli educatori.

LE APP DI DIDATTICA DELL’EDTECH

“È probabile che quando gli studenti di tutto il mondo torneranno in classe, continueranno a utilizzare l’insieme più coinvolgente delle app di didattica dell’EdTech. Inoltre, una volta che gli studenti si avvalgono della flessibilità e dei vantaggi della didattica online, è probabile che molte di queste tecnologie diventino integrate nelle classi fisiche o nelle aule universitarie riservate ai seminari”, spiega il team del comparto di Credit Suisse.

CAMBIAMENTI RADICALI DELLA FORZA LAVORO

La “nuova normalità” che si delinea nel post Covid-19 potrebbe comportare anche profonde modifiche della forza lavoro. “La quota di lavoro flessibile è destinata ad aumentare e con essa la necessità di tecnologia e automazione. La crisi causata dalla pandemia ha provocato una grave recessione mondiale, con una conseguente importante perdita di posti di lavoro. Questo accelera l’esigenza di riqualificazione di coloro che vengono licenziati affinché possano essere reintegrati rapidamente nella forza lavoro. Assisteremo pertanto a un boom della domanda nel settore della formazione professionale e della certificazione online”, sottolineano i manager di Credit Suisse

RIDERS: DISCRIMINATORIO IL PROGRAMMA FRANK

Roma, 2 gen. (askanews) – “L’algoritmo ‘Frank’ utilizzato da Deliveroo per valutare i rider è discriminatorio. Una svolta epocale nella conquista dei diritti e delle libertà sindacali nel mondo digitale, stabilita dal Tribunale di Bologna accettando il ricorso promosso congiuntamente da Nidil, Filcams e Filt e dalle rispettive strutture territoriali bolognesi”. Lo riferisce il segretario confederale della Cgil, Tania Scacchetti.

“Per la prima volta in Europa – sottolinea la dirigente sindacale – un giudice stabilisce che ‘Frank’ è cieco e pertanto indifferente alle esigenze dei rider che non sono macchine, ma lavoratori con diritti. Il ranking reputazionale declassa alla stesso modo, senza alcuna distinzione, sia chi si assenta per futili motivi che chi si astiene dalla consegna per malattia o per esercitare il diritto di sciopero”.

Il giudice ha ritenuto che il modello di valutazione adottato dalla piattaforma di food delivery “era il frutto della ‘scelta consapevole’ dell’azienda di privilegiare la disponibilità del rider – aggiunge la Cgil – senza mai considerare le ragioni del suo possibile mancato collegamento alla piattaforma poichè come afferma il Tribunale ‘quando vuole, la piattaforma può togliersi la benda che la rende cieca o incosciente rispetto ai motivi della mancata prestazione lavorativa da parte del rider e, se non lo fa, è perché lo ha deliberatamente scelto’. Il provvedimento costituisce un fondamentale passo avanti nel percorso che ci vede da sempre impegnati nella tutela del lavoro, dei lavoratori dalla nuova economica digitale”.

LA MASCHERINA PREVIENE L ‘ANSIA

Da Dottnet.it

Business people wearing medical masks during flu or contagious pandemic

Indossare correttamente la mascherina non aiuta solo a prevenire il contagio da Sars-Cov-2, ma è anche associato a meno ansia e solitudine e maggiore benessere generale. A scoprire che utilizzare questa importante misura di precauzione per ridurre il rischio di contagio da Sars-Cov-2 è associato a maggior benessere mentale è uno studio apparso in pre-print nell’archivio internazionale Medrxiv e in attesa di pubblicazione su rivista. Un team di ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Edimburgo, nel Regno Unito, ha raccolto dati tramite la piattaforma Qualtrics tra aprile e giugno 2020. Per arrivare ai risultati dello studio, i ricercatori hanno reclutato 11.000 partecipanti in tutto il Regno Unito che hanno completato i sondaggi CovidLife, un’iniziativa istituita dall’università scozzese per cercare di misurare e comprendere l’impatto della pandemia sulla salute e il benessere della nazione. I ricercatori, coordinati da Drew Altschul, hanno così scoperto che, diversamente dai pregiudizi, le persone che indossavano mascherine costantemente avevano in generale una salute mentale migliore di quelle che non lo facevano. Lo studio ha rilevato che le probabilità di sentirsi ansiosi erano inferiori del 58% tra coloro che indossavano sempre la maschera. La probabilità di manifestare sintomi depressivi era del 25% inferiore tra le persone che indossavano le maschere per la maggior parte del tempo. Infine, le probabilità di sentirsi soli erano del 67% inferiori.

IL CALENDARIO DELLE VACCINAZIONI COVID 19 IN ITALIA

 L’Italia si appresta ad affrontare la più grande campagna vaccinale di tutti i tempi, via maestra per sconfiggere il Covid. Il vaccino verrà somministrato gratuitamente a tutti gli italiani, in tempi diversi a seconda della professione, dell’età e delle patologie. A illustrare il piano alle Camere il ministro della Salute, Roberto Speranza, che ha snocciolato i numeri.  A iniziare dalle oltre 202 milioni di dosi che il nostro Paese si è assicurato come opzione. L’obiettivo per raggiungere l’immunità di gregge è vaccinare il 70% della popolazione, ossia qualcosa come 42 milioni di italiani. Tutte le domande e le risposte:

Quante dosi abbiamo a disposizione

Perché allora 202 milioni di dosi? Per avere “una dotazione sufficientemente ampia per poter potenzialmente vaccinare tutta la popolazione e conservare delle scorte di sicurezza”, ha spiegato Speranza. “Con le conoscenze oggi a nostra disposizione è molto probabile che saranno necessarie due dosi per ciascuna vaccinazione, a breve distanza temporale. Va inoltre ricordato che non vi è ancora evidenza scientifica sui tempi esatti di durata dell’immunità prodotta dal vaccino. La scelta compiuta anche in questo caso è ispirata al principio di massima precauzione”.

Quali sono le aziende coinvolte

Se tutti i processi autorizzativi andassero a buon fine l’Italia potrebbe contare sulla disponibilità delle seguenti dosi: per il contratto con AstraZeneca 40,38 milioni di dosi, per il contratto con Johnson & Johnson 53,84 milioni di dosi, per il contratto con Sanofi 40,38 milioni di dosi, per il contratto con Pfeizer-BioNTech 26,92 milioni di dosi, per il contratto con CureVac 30,285 milioni di dosi, per il contratto con Moderna 10,768 milioni di dosi.

Quali le date?

EMA potrebbe esprimersi il 29 dicembre sul vaccino Pfizer-Biontech e il 12 gennaio sul vaccino Moderna. Queste due aziende nel primo trimestre dell’anno prossimo da contratto dovrebbero fornire all’Italia rispettivamente 8,749 milioni di dosi Pfizer-Biontech e 1.346.000 di dosi Moderna

Il vaccino sarà sicuro?

Per il ministro Speranza, la produzione e la distribuzione del vaccino non può essere regolata unicamente dalle leggi del mercato. “L’Europa ha scelto la strada del non abbreviare le fasi di studio e sperimentazione dei candidati vaccini, continuando a subordinare la messa in commercio al parere definitivo e vincolante dell’EMA. L’accelerazione dei tempi è stata realizzata facendo procedere in parallelo le diverse fasi di sperimentazione, produzione ed autorizzazione”

Sarà obbligatorio?

Al momento non è intenzione del Governo disporre l’obbligatorietà della vaccinazione. “Nel corso della campagna – ha spiegato Speranza – valuteremo il tasso di adesione dei cittadini. Il nostro obiettivo è senza dubbio raggiungere al più presto l’immunità di gregge”.

Il calendario vaccinale

Da fine gennaio dunque si potrebbe partire con la vaccinazione in base alle fasce di priorità individuate. Poi si procederà alla vaccinazione di massa della restante popolazione, verosimilmente tra primavera ed estate.

Chi verrà vaccinato?

Sono tre le categorie che avranno la priorità nella somministrazione del vaccino. La prima è quella degli operatori sanitari e socio-sanitari. “Lavorando e operando in prima linea – ha spiegato Speranza – essi hanno un rischio più elevato di essere esposti all’infezione da Covid-19 e di trasmetterla a pazienti suscettibili e vulnerabili in contesti sanitari e sociali. Difendere questi professionisti in prima linea aiutera’ a mantenere la resilienza del Servizio sanitario nazionale”.

La seconda categoria è quella dei residenti e personale dei presidi residenziali per anziani, questo a causa dell’alto rischio di malattia grave a causa dell’età avanzata, la presenza di molteplici comorbilità e la necessità di assistenza per alimentarsi e per altre attività quotidiane.

La terza categoria è quella delle persone in età avanzata. Un programma vaccinale basato sull’età è generalmente più facile da attuare e consente di ottenere una maggiore copertura vaccinale.

In particolare parliamo di 1.404.037 persone tra gli operatori e lavoratori sanitari e socio-sanitari; 570.287 persone tra personale ed ospiti dei presidi residenziali per anziani; 4.442.048 anziani over ottant’anni; 13.432.005 persone dai sessanta ai settantanove anni; 7.403.578 persono con almeno una comorbilità cronica. “Alcune di queste categorie naturalmente saranno le prime a ricevere il vaccino. Naturalmente, con l’aumento delle dosi si inizieranno a sottoporre a vaccinazione le altre categorie di popolazione, tra le quali quelle appartenenti ai servizi essenziali quali anzitutto gli insegnanti e il personale scolastico, le Forze dell’ordine, il personale delle carceri e dei luoghi di comunità“, ha precisato Speranza.

L’esercito dei ‘vaccinatori’

Nella fase iniziale della campagna vaccinale si prevede una gestione centralizzata della vaccinazione, con l’identificazione di siti ospedalieri o peri-ospedalieri e l’impiego di unità mobili destinate alla vaccinazione delle persone impossibilitate a raggiungere i punti di vaccinazione. Il personale delle unità vaccinali sarà costituito da un numero flessibile di medici, infermieri, assistenti sanitari, operatori socio-sanitari (OSS) e personale amministrativo di supporto. Si stima al momento un fabbisogno massimo di circa 20.000 persone.

In fase avanzata, il modello organizzativo vedrà via via una maggiore articolazione sul territorio, seguendo sempre di più la normale filiera tradizionale, incluso il coinvolgimento degli ambulatori vaccinali territoriali, dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, della sanità militare e dei medici competenti delle aziende.

LA TERAPIA DEL COVID SECONDO IL “MARIO NEGRI”

Se abbiamo qualche sintomo che potrebbe essere riconducibile al Covid, non c’è tempo da perdere. Nessun falso allarmismo, ma soltanto buonsenso. Perché con questo virus non si scherza e il tempo è una variante assolutamente determinante.

Nuovo coronavirus: il punto sulle terapie in uso

Lo spiegano bene Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Farmacologico Mario Negri, e Fredy Suter, a lungo primario di malattie infettive all’Ospedale di Bergamo, autori di un documento, ad uso dei medici di famiglia ma utile da conoscere, per curarsi a casa in sicurezza, anche prima di avere la conferma, tramite tampone, che si tratti proprio di Coronavirus.

Il documento (Remuzzi preferisce non chiamarle “linee guida”) unisce di fatto la letteratura scientifica all’esperienza sul campo clinico in tutto il mondo: strumenti essenziali e semplici, alla portata di tutti, per spiegare come vengono curati i pazienti Covid a casa loro, minimizzando il rischio di ricovero in ospedale.

Mentre anche in Italia arriva la variante inglese del Coronavirus, la parola d’ordine è tempestività. “Prima agisci, più hai successo nell’evitare il ricovero” spiega Remuzzi in una intervista a Repubblica. “Moltissimi italiani che si curano a casa ci telefonano perché hanno problemi di assistenza, che poi li inducono a rivolgersi al Pronto soccorso. Però non ci vanno subito, ma solo quando si è già instaurata una fase iper-infiammatoria, e allora magari la malattia evolve negativamente”.

Covid, le fasi della malattia e come si evolve

Il Covid evolve così:

  • nei primi 2-3 giorni, quando la malattia è in fase di incubazione e si è presintomatici, inizia ad esserci una carica virale che sale
  • nei 4-7 giorni successivi, iniziano febbre e tosse e la carica virale diventa altissima. Quello è il momento cruciale e quello è anche il momento in cui di solito non si fa niente, perché magari ci si limita a prendere l’antipiretico aspettando il tampone
  • poi, può seguire un periodo di infiammazione eccessiva, quella che gli inglesi chiamano “hyper inflammation”, con sindrome respiratoria acuta: è questa che mette le basi perché il virus arrivi ai polmoni e lì si crei quella che gli immunologi chiamano “tempesta di citochine”, ovvero una reazione eccessiva del sistema immunitario che danneggia l’organismo.

Istituto di ricerche farmacologiche "Mario Negri" - Wikipedia

Il ruolo fondamentale del medico di base: cosa deve fare

Con il suo approccio, invece, Remuzzi ha buone possibilità di prevenire questa fase di infiammazione eccessiva, “la cosa più importante in assoluto per evitare un’evoluzione negativa della malattia”. Ma non si tratta di una “cura fai da te”: è una strategia da seguire a casa esclusivamente sotto controllo medico.

Al di là di consigliare ad esempio anche l’assunzione, eventualmente preventiva, di vitamina D, che potrebbe rivelarsi importantissima, il medico dovrebbe:

  • visitare il paziente a casa almeno una prima volta
  • impostare la terapia
  • effettuare le visite successive, anche solo via telefono
  • appena si avvertono i primi sintomi, suggerire subito l’antinfiammatorio mentre il paziente aspetta il tampone.

Covid, cosa non fare a casa

Quindi, cosa possiamo fare a casa e cosa è necessario sapere? Remuzzi spiega cosa non fare quando si sentono i primissimi sintomi:

  • non seguire la solita trafila, ovvero chiamare il medico (che magari non viene subito)
  • prendere la tachipirina mentre si aspetta il tampone
  • aspettare altri giorni per i risultati del tampone.

Quello che raccomandano Remuzzi e i suoi colleghi è di prendere vantaggio sul virus non appena si può. Appena si avvertono i primissimi sintomi, come tosse, febbre, spossatezza, dolori ossei e muscolari e mal di testa, bisogna iniziare subito il trattamento, senza aspettare i risultati del tampone.

Covid, cosa fare a casa subito: quali farmaci assumere e dosi

Quando si avvertono i primi sintomi, serve agire come si fa con i virus delle alte vie respiratorie, cioè bisogna assumere non un antipiretico come la tachipirina, ma un farmaco antinfiammatorio, così da limitare la risposta infiammatoria dell’organismo all’infezione virale. Questo perché è proprio nei primi giorni che la carica virale è massima.

Quali farmaci si possono prendere a casa prima dell’esito del tampone e appena si avvertono i primi sintomi (raccomandiamo sempre di farlo sotto il controllo medico)?

  • Quando la febbre supera i 37,3 gradi o se ci sono mialgie, dolori articolari o altri sintomi dolorosi, si possono assumere farmaci antinfiammatori chiamati “inibitori della ciclo-ossigenasi 2” (o COX-2 inibitori), come il celecoxib. Il medico può prescriverne, ovviamente se per quel paziente non ci sono controindicazioni, una dose iniziale di 400 milligrammi seguita da una di 200 nel primo giorno di terapia, e poi un massimo di 400 milligrammi per giorno nei giorni successivi, se necessario.
  • Un altro farmaco COX-2 inibitore utile a prevenire l’infiammazione eccessiva è il nimesulide, il più famoso dei quali è l’Aulin. In questo caso la dose consigliata è di 100 milligrammi due volte al giorno, dopo i pasti, per un massimo di 12 giorni. Se ci sono problemi o controindicazioni per il celecoxib e il nimesulide, si può anche ricorrere all’aspirina, anch’essa in grado di inibire COX-2. 500 milligrammi due volte al giorno dopo i pasti.
  • Se c’è febbre persistente, dolori muscoloscheletrici o altri segnali di infiammazione il dottore può prescrivere anche un corticosteroide, come il desametasone: i corticosteroidi inibiscono molti geni pro-infiammatori che producono citochine.

Uno studio sul nimesulide pubblicato sull’International Journal of Infective Diseases dimostra che riduce le componenti della famosa “tempesta di citochine”. Un altro studio pubblicato su Anesthesia and Analgesia rivela che l’uso dell’aspirina si associa a minor bisogno di ventilazione meccanica, minore necessità di essere ammessi in terapia intensiva e minore mortalità del paziente.

Invece la Società di Farmacologia francese ha trovato che l’utilizzo di paracetamolo, in persone che hanno forme avanzate della malattia, potrebbe persino nuocere, perché sottrae glutatione, antiossidante naturale prodotto dal fegato, sostanza importante per la capacità di difenderci dalle infezioni virali.

Gli esami da fare dopo il tampone positivo

Dopo 4-5 giorni dai primi sintomi e dalla conferma di Coronavirus tramite tampone, si fanno 3 esami:

  • globuli rossi e bianchi, che ci danno l’idea della situazione immunologica
  • PCR, proteina C reattiva, che indica se l’infiammazione sta andando avanti
  • creatinina, per vedere com’è la funzione renale, glucosio e un enzima per vedere come va il fegato.

Se tutti questi esami risultano normali, il paziente può andare avanti con nimesulide o aspirina, a seconda di ciò che aveva iniziato ad assumere. E normalmente la malattia si esaurisce nel giro di 10 giorni, o anche meno.

Se gli esami danno valori sballati

Se invece gli esami restituiscono valori sballati, è opportuno:

  • fare una radiografia al torace, che si può fare anche a casa
  • il medico può prescrivere cortisone, eventualmente ossigeno e, se il paziente è una persona fragile e la radiografia del torace mostra una sovrapposizione batterica, un antibiotico.
  • se l’esame del d-dimero, marcatore che rileva un’eccessiva coagulazione del sangue, indica che comincia ad esserci un’attivazione della coagulazione, allora il medico può somministrare una bassa dose di un anticoagulante come l’eparina, sotto cute, per prevenire la trombosi.

Se la terapia con ossigeno, cortisone ed eparina non funziona, e la saturazione dell’ossigeno nel sangue diminuisce comunque (per questo è fondamentale avere a casa un saturimetroqui la guida di QuiFinanza su come sceglierlo), allora il paziente va ricoverato in ospedale.

DA QUIFINANZA.IT

COVID: GUARITI E VACCINATI PROBABILITA’ DI REINFEZIONE

Da “il corriere.it”

Articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

Ad oggi, in Italia, i guariti ufficiali dal Covid-19, ,cioè coloro a cui è stata diagnosticata la positività al virus e poi la sua scomparsa, superano il milione. Il 61% coinvolge la popolazione nell’età più produttiva (dai 20 ai 59 anni), il 26% dai 60 anni in su, il 13% dai 19 anni in giù. Il 51,5% femmine, il 48,5% maschi. Tutte queste persone possono essere considerate immuni
Calano gli anticorpi, ma resta la memoria

Numerosi studi ormai concordano: quando si contrae il Covid, il 93% dei contagiati produce gli anticorpi neutralizzanti (del Fante et al., Transfusion 2020) . La loro funzione è quella di impedire al virus di penetrare nelle cellule. Ciò succede tra i 6 e i 20 giorni dal contagio (Quan-Xin long, Nature Communication 2020) e il meccanismo è questo: dopo l’infezione si attivano i linfociti B che producono gli anticorpi IgM, IgG e IgA. Un loro sottoinsieme (IgG e IgA) è quello che poi riesce a rendere innocue le nuove particelle virali. Gli anticorpi neutralizzanti, a loro volta, si accompagnano all’attivazione delle cellule killer (linfociti T), specializzate nel riconoscere e nel distruggere il virus (Cassaniti et al., in preparation-confidential).

Tutta questa spiegazione è utile a capire perché, quando il Covid attacca, la risposta immunitaria è doppia (linfociti B e T). Una volta superata l’infezione, nelle settimane o nei mesi successivi, gli anticorpi calano: non c’è più il virus, non c’è più bisogno di loro. Nell’organismo però restano le cellule memoria, pronte a intervenire in caso di necessità. L’ipotesi che il calo di queste «difese» esponga quindi a un nuovo ricontagio viene smentita.

Le mutazioni osservate

Il parallelo che spesso viene fatto con l’influenza può essere fuorviante: in questo caso il fatto che ci riammaliamo non è dovuto al calo degli anticorpi, ma alla mutazione molto frequente del virus, e che il sistema immunitario non riconosce più le varianti mutate. Il Covid-19, anche se è un virus simile a quello dell’influenza, sembra avere un genoma più stabile e la risposta che genera il sistema immunitario è verso più frammenti delle proteine virali e non uno solo. Infatti le mutazioni osservate finora (e, forse, anche la nuova variante inglese, almeno fino a prova contraria) non sono associate a un cambio di severità della malattia.

(…) le mutazioni finora osservate finora (…) non sono associate a un cambio di severità della malattia.

Tutti gli studi finora dimostrano che si produce una risposta immunitaria che dura nel tempo. A quantificare con più precisione questo «tempo» c’è il recentissimo studio svolto in collaborazione tra il Policlinico San Matteo di Pavia e il Karolinska Institute di Stoccolma: le cellule memoria persistono per almeno 6-8 mesi dall’infezione (Sherina N . et al.). Considerando che la malattia è esplosa poco meno di un anno fa, questo è il tempo massimo di osservazione possibile ad oggi, ma potrebbe essere ben più lungo.

Tutti gli studi finora dimostrano che si produce una risposta immunitaria che dura nel tempo

Probabilità di ricontagio: 1,8%

Vuol dire che chi è guarito dall’infezione non si reinfetta più? No, perché in medicina il 100% non esiste, inoltre in questo caso siamo di fronte a una malattia troppo recente. Ma sappiamo almeno quante sono le probabilità di contagiarsi di nuovo? La risposta arriva dagli esiti preliminari dello studio appena ultimato dal dipartimento di Virologia del Policlinico San Matteo, insieme agli ospedali di Piacenza e Lecco, e che al momento è quello numericamente più corposo. Hanno osservato tutto il loro personale sanitario, verificato quanti operatori si sono ammalati durante la prima ondata e quanti si sono reinfettati nel corso della seconda. Su 9.610 operatori sottoposti al test sierologico a maggio sono risultati positivi in 1.460 (15,2%). Di questo gruppo, da giugno a oggi, si sono ricontagiati in 27 (1,8%), di cui 18 in modo asintomatico. Degli 8.150 risultati invece negativi al test si sono contagiati in 540 (6,6%).

La protezione naturale è più elevata

Le informazioni che ci arrivano da questo studio sono principalmente tre. La prima è che, vista la differenza altamente significativa dal punto di vista statistico nei contagi tra i due gruppi, il rischio di infezione per chi non è entrato in contatto con il Covid è circa del 350% superiore rispetto a chi l’ha già contratto. La seconda dimostra che la falla è scattata durante le vacanze estive, poiché all’interno dello stesso contesto protetto (e dove tutti erano stati sottoposti a controlli), l’infezione si è riscontrata al rientro dalle ferie o in contesti familiari, creando di conseguenza qualche focolaio nell’ospedale. La terza è la più importante: la protezione naturale di un guarito è più elevata di quella garantita dai vaccini che stanno uscendo. La loro efficacia massima dichiarata è intorno al 95%. Tradotto: se mi sono già ammalato ho l’1,8% di probabilità di ricontagiarmi, con il vaccino il 5%. Va detto che nessuna vaccinazione di massa dà una copertura totale, per esempio quella contro il morbillo arriva al 98%, quelle influenzali vanno dal 70 all’80%, proprio a causa delle mutazioni più frequenti.

Vaccinare i guariti per ultimi

Questi studi supportano, dunque, l’ipotesi di vaccinare per ultimi i guariti, che aumentano di giorno in giorno. Nel frattempo chi si è ammalato e poi è guarito può muoversi in una zona rossa senza rischiare una multa, esibendone la certificazione? La domanda non è banale. Al momento non c’è una definizione univoca di «guarito». Il bollettino di oggi, che li calcola in circa 1,3 milioni di persone, include sia chi si è negativizzato, sia chi è stato dimesso dall’ospedale (dunque è clinicamente guarito, ma potrebbe essere per un breve periodo ancora positivo e contagioso). Invece la circolare del ministero della Salute del 12 ottobre aggiorna le indicazioni su durata e termine dell’isolamento che riguarda i casi di infezione documentata. In questo caso «guarito» vuol dire potenzialmente non più contagioso. Per gli asintomatici dopo 10 giorni dalla comparsa della positività; i sintomatici dopo 10 giorni, di cui almeno 3 giorni senza sintomi; per entrambi serve il test negativo. I casi positivi a lungo termine possono invece uscire dopo una settimana senza sintomi (eccezion fatta per gusto e olfatto), ad almeno 21 giorni dalla loro comparsa. In nessuno dei casi la guarigione è equiparata all’immunità.

Al momento non c’è una definizione univoca di guarito

Più libertà per guariti e vaccinati?

Gli studi del Policlinico San Matteo possono essere un passo importante – se confermati anche su un campione di popolazione generale – per considerare la possibilità per i «guariti», e tutti quelli che via via si vaccinano, di andare per esempio all’estero per lavoro senza essere sottoposti poi a quarantena, o di spostarsi da una regione all’altra anche per motivi personali, senza rischiare una multa? Consentirebbe al sistema di iniziare a ripartire, senza attendere la cosiddetta immunità di gregge. La via più semplice potrebbe essere quella di esibire la certificazione del test di positività e negatività o dell’avvenuta vaccinazione. Fermo restando, anche per loro, l’obbligo inderogabile di osservare in pubblico le regole di protezione e distanziamento. Per evitare il caos e perché siamo sempre in terra incognita. Per fare questo ci vuole ovviamente una norma e avrebbe senso cominciare a pensarci subito.

TLB courtesy: 20/05/2020 – Ansa|

Nei prossimi mesi (se non settimane) sappiamo già che ci saranno altre strette

Nei prossimi mesi (se non settimane) sappiamo già che ci saranno altre strette: se si considerassero margini per questa fetta di popolazione, il peso sarebbe almeno in parte attenuato. Sarebbe inoltre uno stimolo per le Regioni a darsi da fare nell’organizzazione efficiente delle vaccinazioni, e un incentivo a prenotarsi per gli scettici. Un tema che ancora nessun Paese sta affrontando; non solo, alcuni nemmeno contano il numero dei «guariti». La Francia su 2,3 milioni di contagiati da febbraio a oggi ne dichiara guariti 180 mila, perché conta solo i dimessi dagli ospedali. La Spagna ha smesso di contarli dal 18 maggio. I numeri della Gran Bretagna non sono disponibili. La Germania li calcola in base a un algoritmo del Koch Institut, che stima «il numero dei casi risolti considerando le informazioni sull’insorgenza della malattia e sulle dimissioni degli ospedali. Il 19 dicembre erano 1,1 milioni.

LAVORATORI FRAGILI :FINO AL 31 DICEMBRE LA SORVEGLIANZA SANITARIA ECCEZIONALE

Da Inail.it

A decorrere dal 5 novembre 2020 è di nuovo disponibile, per i datori di lavoro interessati, il servizio telematico per l’inoltro delle richieste di visita medica per Sorveglianza sanitaria eccezionale, in vigore sino al 31 dicembre 2020.
I datori di lavoro pubblici e privati interessati dalla predetta norma possono nuovamente fare richiesta di visita medica per sorveglianza sanitaria dei lavoratori e delle lavoratrici fragili ai servizi territoriali dell’Inail tramite l’apposito servizio online.

Fermo restando quanto previsto per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio, l’art. 83 d.l. 34 del 19 maggio 2020 prevede che i datori di lavoro pubblici e privati assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti al rischio, in ragione dell’età, della condizione da immunodepressione e di una pregressa infezione da Covid-19 ovvero da altre patologie che determinano particolari situazioni di fragilità del lavoratore.

L’attività di sorveglianza sanitaria eccezionale si sostanzia in una visita medica sui lavoratori inquadrabili come “fragili” ovvero sui lavoratori che, per condizioni derivanti da immunodeficienze da malattie croniche, da patologie oncologiche con immunodepressione anche correlata a terapie salvavita in corso o da più co-morbilità, valutate anche in relazione dell’età, ritengano di rientrare in tale condizione di fragilità.

Pertanto, il concetto di fragilità va individuato “in quelle condizioni dello stato di salute del lavoratore/lavoratrice rispetto alle patologie preesistenti che potrebbero determinare, in caso di infezione, un esito più grave o infausto e può evolversi sulla base di nuove conoscenze scientifiche sia di tipo epidemiologico che di tipo clinico”.

Per i datori di lavoro che non sono tenuti, ai sensi dell’art. 18, co. 1 lett. a), d.lgs. 81/2008, alla nomina di un medico competente, fermo restando la possibilità di nominarne uno per la durata dello stato di emergenza, la sorveglianza eccezionale può essere richiesta ai servizi territoriali dell’Inail che vi provvedono con i propri medici del lavoro.

Il datore di lavoro o un suo delegato possono inoltrare la richiesta di visita medica attraverso l’apposito servizio online “Sorveglianza sanitaria eccezionale”, reso di nuovo disponibile dal 5 novembre 2020 e accessibile dagli utenti muniti di credenziali dispositive.
Per gli utenti non registrati le credenziali possono essere acquisite tramite:

  • Spid;
  • Inps;
  • Carta nazionale dei servizi (Cns);
  • Inail, con l’invio dell’apposito modulo da inoltrare attraverso i servizi online o da consegnare presso le sedi territoriali Inail.

Nel caso di delega da parte del datore di lavoro, deve essere compilato e inoltrato l’apposito modulo “Mod. 06 SSE delega”, reperibile nella sezione dedicata del portale “Moduli e modelli”.

Una volta inoltrata la richiesta dal datore di lavoro o da un suo delegato, viene individuato il medico della sede territoriale più vicina al domicilio del lavoratore.
All’esito della valutazione della condizione di fragilità, il medico esprimerà il giudizio di idoneità fornendo, in via prioritaria, indicazioni per l’adozione di soluzioni maggiormente cautelative per la salute del lavoratore o della lavoratrice per fronteggiare il rischio da SARS-CoV-2 riservando il giudizio di non idoneità temporanea solo ai casi che non consentano soluzioni alternative.

Successivamente all’invio del giudizio di idoneità, il datore di lavoro riceve una comunicazione con l’avviso di emissione della relativa fattura in esenzione da iva per il pagamento della prestazione effettuata. Con decreto interministeriale del 23 luglio 2020 la tariffa dovuta all’Inail per singola prestazione effettuata è stata fissata in € 50,85.

NANOMATERIALI SUI LUOGHI DI LAVORO

Da oshua.europa.eu

Questa scheda informativa presenta una panoramica di come trattare i nanomateriali fabbricati nel luogo di lavoro. Questi materiali, che contengono particelle molto piccole, sono potenzialmente tossici.

La scheda informativa reca informazioni dettagliate sulla normativa dell’UE in materia, analizza i possibili effetti sulla salute dei nanomateriali, contiene consigli utili per i datori di lavoro su come prevenire o mitigare l’esposizione dei lavoratori ai nanomateriali e descrive le principali vie d’esposizione, ossia inalazione, contatto con la pelle e ingestione. La scheda elenca inoltre le misure pratiche che possono essere adottate sulla base del principio STOP per prevenire o ridurre l’esposizione ai nanomateriali.

https://osha.europa.eu/sites/default/files/publications/documents/NANOINFOSHEET_TE0118896ITN.pdf

INCLUSIONE AL LAVORO DI MALATI CRONICI

L’EU-OSHA sostiene CHRODIS PLUS , un’iniziativa dell’UE volta a rafforzare l’inclusività dei luoghi di lavoro e l’abilità al lavoro dei dipendenti con patologie croniche. Nell’ambito del progetto è stata pubblicata una serie di strumenti su occupazione e affezioni croniche composta da due elementi: uno strumento di formazione per dirigenti e un kit di strumenti per i luoghi di lavoro

Lo strumento di formazione per dirigenti mira a sensibilizzare sui vantaggi dell’inclusione e della buona gestione sul luogo di lavoro dei dipendenti con problemi di salute cronici o a rischio di svilupparli.

Il kit di strumenti per i luoghi di lavoro funge sia da lista di controllo sia da spunto per idee e agevola l’adozione di misure concrete e fattibili al fine di creare ambienti di lavoro che promuovano la salute. Contiene nello specifico consigli sull’ergonomia e su come evitare di rimanere seduti lunghi periodi, oltre a un caso di studio sul dolore lombare.

Il set di strumenti Chrodis Plus su malattie croniche e occupazione è stato sviluppato da 18 partner di 11 Stati membri dell’UE ed è cofinanziato dalla Commissione europea.

Scopri il set di strumenti CHRODIS PLUS sulle malattie croniche e il lavoro 

COVID : DISPARITÀ NELLE REGOLE DI COMPORTO, MALATTIA, QUARANTENA, POSITIVITA’

Da ilsole24ore

ARTICOLO Di P. DUI

I rapporti tra la disciplina della malattia Covid e quella del calcolo del periodo di comporto continuano a evidenziare lacune legislative, soprattutto in termini di un auspicato intervento normativo e/o amministrativo volto a correggere le evidenti disparità di trattamento tra i lavoratori, peraltro emerse già dai primi interventi emergenziali, che risalgono a marzo di quest’anno (si veda anche Il Sole 24 Ore del Lunedì del 24 agosto scorso).

Resta la discrasia nella disciplina del calcolo del periodo di conservazione del posto (comporto) che, sorprendentemente, esclude dal computo la quarantena fiduciaria e altre situazioni di rischio ben individuate (che non determinano malattia) includendo, invece, la malattia Covid e le possibili successive ricadute per esiti legati all’infezione contratta in passato, sulla base di una verificabile imputazione clinica alla malattia originaria.

La conservazione del posto

La disciplina della conservazione del posto di lavoro, con il divieto di licenziamento per il cosiddetto periodo di comporto, deriva dalla previsione dell’articolo 2110 del Codice civile e impedisce il licenziamento entro il termine stabilito dal contratto collettivo di riferimento, diversamente articolato nelle specifiche disposizioni settoriali e/o di comparto, potendo oscillare da periodi di 180 giorni a periodi molto più lunghi. Il calcolo è effettuato, generalmente, sulla base dei giorni di assenza per l’inabilità al lavoro derivante dalla malattia, come certificati dal medico curante, con specifici criteri di computo, disciplinati analiticamente dalla prassi amministrativa (Inps).

La tutela per la quarantena

La normativa speciale vigente stabilisce che i periodi trascorsi in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva disposti per gli individui che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva, e per coloro che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio epidemiologico, come identificate dall’Organizzazione mondiale della sanità:

sono equiparati alla malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla «normativa di riferimento»; il richiamo è da intendersi alla disciplina sia delle prestazioni previdenziali, sia delle diverse prestazioni economiche, anche integrative, previste dalla contrattazione collettiva e da ogni altra norma operante sul piano del rapporto di lavoro;

sono esclusi dal computo del periodo di comporto.

La tutela per i lavoratori fragili

Questa disciplina è stata integrata anche su fronti affini. Infatti:

i lavoratori dipendenti pubblici e privati con disabilità grave secondo l’articolo 3, comma 3, della legge 104/1992, possono assentarsi dal servizio;

i lavoratori dipendenti pubblici e privati, che hanno una certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, in base all’articolo 3, comma 1, della legge 104/1992, possono assentarsi dal servizio.

Queste assenze dal lavoro sono equiparate, dal punto di vista giuridico ed economico, al ricovero ospedaliero o alla quarantena obbligatoria e non sono computabili ai fini del comporto, almeno per buona parte del 2020.

In effetti, secondo quanto esposto, la copertura Covid-19 opera per delle misure di contenimento, riferite alle fattispecie sopra elencate, il cui fattore comune è dato, come visto, dall’equiparazione alla malattia e dall’esclusione dal comporto.

Meno tutelati i potenziali Covid

In buona sostanza, le coperture di esclusione dal calcolo del comporto non operano per il contagio Covid-19, ma per l’esposizione a rischio di contagio, sulla base di situazioni selettive in funzione preventiva del rischio di contrazione della malattia e del connesso pericolo di vita.

Si badi bene: nessuno dei casi citati riguarda lavoratori costretti ad assentarsi dal posto di lavoro per aver contratto il Covid. Al contrario, la finalità della norma è quella di garantire una tutela economica ai soggetti che, pur non essendo malati, vengono costretti a casa da un provvedimento della Pubblica Autorità o a causa dell’elevato rischio alla vita e all’integrità fisica che correrebbero in caso di infezione. Resta ferma, però, la disparità di trattamento, che non trova alcuna giustificazione.

Le assenze e il relativo trattamento

1- La quarantena
Equiparazione alla malattia (ma fuori dal comporto)Le persone per le quali l’autorità competente abbia disposto l’obbligo di quarantena sono poste in isolamento fiduciario dall’azienda sanitaria territoriale. I periodi di assenza dal lavoro per quarantena fiduciaria sono considerati come malattia e non sono computabili ai fini del comporto. Lo ha disposto il decreto Cura Italia (articolo 26 del Dl 18/2020, in vigore dal 17 marzo), lo ha ribadito il decreto Rilancio (articolo 74 del Dl 34/2020, in vigore dal 19 maggio), e, infine, il decreto agosto (articolo 26 del Dl 104/20, in vigore dal 15 agosto).

2 – Lavoratori fragili e a rischio
Smart working dal 16 ottobre

I lavoratori pubblici o privati con disabilità grave certificata o ai quali sia stata certificata una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche e delle relative terapie salvavita:Fino al 15 ottobre 2020 sono tenuti a casa su disposizione del medico curante, che deve riportare, sul certificato, gli estremi della certificazione del possesso dei requisiti della legge 104/1992. Fino al 15 ottobre 2020 i periodi di assenza dal lavoro sono equiparati al ricovero ospedaliero, ai fini economici. Sul comporto, fa fede quanto previsto dal Ccnl applicato sull’esclusione o meno dei periodi di ricovero dal computo. Dal 16 ottobre al 31 dicembre 2020 devono svolgere la prestazione in smart working e hanno diritto alla normale retribuzione

3 – I lavoratori colpiti dal covid
Trattamento comune della malattia I lavoratori malati di Covid-19 o asintomatici risultati positivi al tampone sono messi in malattia dal medico curante. A questi lavoratori si applica il trattamento economico previsto per la malattia e il computo del periodo di assenza ai fini del calcolo del comporto, come per qualsiasi altra malattia.