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RISCHI NELLA INDUSTRIA ESTRATTIVA E PETROLIFERA

Da oshonline.com

Il settore estrattivo del petrolio e del gas è sempre stato un settore ad alto rischio . Anche se grazie alla tecnologia tale rischio sia stato ridotto é difficile  ipotizzare  una riduzione assoluta dei pericoli. Qualsiasi attività che utilizzi macchinari pesanti come avrà  comunque sempre un rischio elevato.

Fortunatamente negli ultimi anni il settore ha compiuto enormi passi avanti per proteggere meglio i lavoratori di questo comparto, cosa che si riflette molto nel numero decrescente di decessi nel settore, anno dopo anno. Secondo il rapporto annuale 2019 di UK Oil & Gas, tra il 1996 e il 2007, ci sono stati 21 morti nel settore petrolifero britannico. Tra il 2007 e il 2018 sono stati solo cinque.

Le principali società  del settore sono costantemente alla ricerca di nuovi modi di incrementare gli standard di sicurezza..

. Un minor numero di incidenti si traduce invariabilmente anche in un minor numero di incidenti ambientali. L’industria petrolifera, tradizionalmente percepita dai massmedia  come uno dei settori che impattano maggiormente sull’inquinamento ambientale, sta cercando disperatamente di diventare più sostenibile dal punto di vista ambientale , e una riduzione degli incidenti certamente aiuta in tal senso.

Quali sono esattamente i rischi all’interno del settore?

Innanzitutto vale la pena esaminare più in dettaglio alcuni dei pericoli e dei rischi più comuni associati al settore.  La maggior parte delle persone penserà che la trivellazione petrolifera è l ‘attività piú pericolosa. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, emergono rischi differenti:

La forma più comune di incidenti che si verificano in loco (sia a terra che in mare aperto) é costituita da:

Incidenti da segregazione. . Si verificano quando qualcuno rimane intrappolato o bloccato da parti in movimento dalle quali non possono districarsi facilmente. Uno degli esempi più comuni di pericoli coinvolti è l’abbigliamento di un perforatore che rimane intrappolato in parti rotanti / rotanti come l’albero motore di un rig.

Incidenti e collisioni  di veicoli. Le collisioni tra veicoli rappresentano il pericolo con maggiore frequenza statistica di  casi mortali del settore. Tuttavia questo rischio é sottostimato è nonpercepito nella sua gravità. . La fatica e la scarsa pianificazione preliminare sono tra le principali cause di questi incidenti stradali.

Esplosioni / incendi. Gas e sostanze chimiche infiammabili vengono manipolati e trattati ogni giorno in un sito petrolifero. Questi composti volatili presentano un enorme rischio di incendio. Anche la minima perdita, ad esempio, ha conseguenze potenzialmente catastrofiche.

Fortunatamente, almeno nel Regno Unito, dal disastro del Piper Alpha nel 1988 in cui sono morti tragicamente 167 uomini, una legislazione più proattiva ha fatto sì che gli incidenti con incendi ed esplosioni siano effettivamente diminuiti.

Cadute . L’industria della perforazione spesso richiede che i lavoratori accedano a macchinari e piattaforme  elevate da terra, esponendoli a un maggiore rischio di caduta.

Rischi indiretti (problemi di salute legati al lavoro, sia fisici che mentali). . Altrettanto pericoloso per i lavoratori dell’industria è il rischio di sviluppare problemi di salute fisica e mentale a causa dell ‘intenso sforzo psicofisico sul posto di lavoro. Le condizioni cardiache e gli alti tassi di suicidio sono emblematici del settore.

Come preservare la sicurezza e la salute dei lavoratori 

Riduzione degli incidenti e collisioni tra veicoli. Il più delle volte, gli incidenti di veicoli in collisione derivano dalla stanchezza del conducente. L’industria petrolifera necessita un numero enorme di componenti e di materiali di logistica diversi, di cui il trasporto a lunga distanza è uno dei principali. La posizione remota di molti siti di perforazione significa che guidare per lunghe distanze è semplicemente parte integrante del lavoro.

Per quanto semplice possa sembrare, uno dei modi migliori  di ridurre il rischio è attraverso una migliore istruzione e pianificazione del viaggio. Rendere il tuo personale consapevole dei vantaggi di un sonno adeguato  (e, al contrario, dei pericoli che derivano da una sua mancanza) e pianificare i viaggi che tengono conto delle potenziali soste di riposo sono fondamentali per ridurre il numero di incidenti sulla strada.

Tecnologie GPS. Recentemente, sono stati notevolmente aumentati gli sforzi per migliorare la comunicazione in loco. Molte aziende stanno fornendo ai propri lavoratori la tecnologia GPS , in modo da rendere più tempestivo il soccorso.

Tecnologia dei droni. Prevenire è meglio che curare, come dice un vecchio proverbio. La soluzione ideale per ogni compagnia petrolifera è prevenire in primo luogo gli incidenti. I droni aiutano a offrire una visione completa a volo d’uccello di un sito, identificando potenziali pericoli in tempo reale. Ad esempio, i droni vengono ora utilizzati nell’ispezione degli oleodotti, individuando le perdite e offrendo alle compagnie petrolifere una visione più precisa ed evitando di dover inviare dipendenti per ispezionare una situazione potenzialmente rischiosa.

Stress e rischi associati. I disturbi cardiaci sono frequenti nei lavoratori del settore  dell’industria petrolifera e del gas. Tra le cause principali di tali  problemi cardiaci  sicuramente gioca un ruolo importante lo stress psicofisico Molte compagnie petrolifere hanno adottato per questo motivo  defibrillatori  per le emergenze cardiache a tutti i livelli produttivi.

Salute mentale. Tradizionalmente la salute viene intesa più sul piano fisico che mentale. , i disturbi psichiatrici sono però attualmente sempre più attentamente presi in considerazione.

Lunghi periodi lontano da casa, sentimenti di isolamento e un lavoro molto stressante possono portare a una seri problemi psicologici per i lavoratori dell’industria petrolifera. È imperativo che le compagnie petrolifere  implementino il supporto e le procedure  per la salute mentale esattamente nello stesso modo in cui lo fanno fisico. È anche importante che le aziende siano proactive nel ricercare i segnali di disagio  sapendo che i lavoratori potrebbero essere meno inclini a farlo di propria volontà.

Intelligenza artificiale robotica. Una delle aree industriali più avanzate tecnologicamente  è il campo della robotica e le  sue potenziali applicazioni. Sono già in fase di sviluppo (e in uso, ma solo su piccola scala) robot in grado di svolgere lavori di manutenzione potenzialmente pericolosi, come il monitoraggio dei gas nocivi. Il deep learning e i sistemi di intelligenza artificiale incorporati dalle grandi compagnie petrolifere forniranno anche un quadro più completo e olistico dei dati che vengono forniti. Queste tecnologie potrebbero fare emergere  precocemente i rischi potenziali.

Conclusione

Le prospettive generali di safety del settore  sono positive . Secondo il rapporto sulla sicurezza 2019 dell’International Association of Oil & Gas Producers, i decessi nel settore in tutto il mondo sono diminuiti da 30 nel 2017 a 27 nel 2018. Ció a monte di un aumento del numero medio di ore lavorate oltre . Finché gli organi di governo del settore continueranno a spingere  per standard sempre più elevati, non c’è motivo per cui questa cifra non debba continuare a diminuire con il passare degli anni. L’obiettivo é naturalmente una diminuzione generale degli infortuni e delle malattie ogni anno.

la chiave per migliorare gli standard di sicurezza del settore è  comunque essere proattivi, anziché reattivi. Una migliore ispezione delle attrezzature, pianificazione del viaggio, comunicazione e istruzione sono tutti modi in cui è possibile identificare i potenziali pericoli prima che si trasformino in minacce tangibili per la sicurezza personale.

Circa l’autore

Henry Berry è un direttore di Tristone Holdings, esperto di safety  nell’industria petrolifera .

Liberamente tradotto ed adattato da Dott. Alessandro Guerri specialista in medicina del lavoro

LA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE RIDUCE IL RISCHIO COVID 19

Da ilsole24ore

Proteggersi dall’influenza. Sembra essere questa la parola d’ordine per la sanità pubblica mentre circola il virus Sars-CoV-2. E non solo per ridurre il rischio di co-circolazione di più virus assieme, con conseguente impatto sulla sanità pubblica e minor rischio di “misunderstanding” diagnostici in caso di sintomi comuni alle due infezione, oltre che sulla salute del singolo.

Indicazioni positive dagli studi

Le prime evidenze scientifiche, quantunque non definitive, sembrano indicare che la protezione dal virus stagionale e più in generale la prevenzione attraverso i vaccini, pur non agendo direttamente sul virus responsabile di Covid-19, possano avere un impatto positivo sui rischi correlati alla malattia.

Il problema è ancora controverso, ma i dati fino ad ora disponibili sembrano indirizzare in questo senso – spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri -. Per l’Italia, stiamo ancora valutando i risultati dello studio del nostro Istituto e del Policlinico di Milano su quanto avvenuto nei mesi scorsi tra persone vaccinate per l’influenza e non, in termini di possibilità di ammalarsi di Covid-19 e di gravità della malattia. Ma ci sono prove che dimostrano come non solo il vaccino anti-influenzale ma anche altri, ad esempio quello per lo pneumococco, per la poliomielite e per la tubercolosi, potrebbero avere un ruolo protettivo nello sviluppo di Covid-19. Si tratta di ricerche pubblicate sulla piattaforma medRxiv, quindi non ancora sottoposte a rivalutazioni di terzi. Ma si tratta comunque di dati incoraggianti».

In termini generali, tra le evidenze più significative occorre sicuramente citare quanto emerge da una ricerca condotta alla Mayo Clinic su oltre 137.000 persone sottoposte ad esami per sospetta infezione da Sars-CoV-2 e valutate anche sotto il profilo della prevenzione vaccinale generale.

Vaccini: vaccino influenzale

Si riduce il tasso di infezione

«Le vaccinazioni contro poliomelite, batterio Haemophilus influenzae di tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, pneumococco, epatite A e B, oltre ovviamente a quella per l’influenza nella popolazione anziana, somministrate negli ultimi uno, due e cinque anni sono risultate associate a una riduzione dei tassi di infezione da Sars-CoV-2, anche dopo aggiustamento delle analisi per incidenza di infezione da Sars-CoV-2 nell’area geografica considerata e incidenza di tamponi effettuati, parametri demografici, presenza di altre malattie e numero di altre vaccinazioni effettuate – segnala Remuzzi -. Ovviamente questi dati vanno confermati e soprattutto occorre comprendere i meccanismi immunologici che possono spiegare queste situazioni, ma si tratta di informazioni di grande interesse, considerando che, parlando di chi è si è vaccinato negli ultimi due anni rispetto ai non vaccinati, il rischio d’infezione da Sars-CoV-2 sarebbe ridotto del 43% dopo vaccinazione anti-polio del 47% in chi è protetto dall’Haemophilus influenzae, del 28% dopo vaccino anti-pneumococco. Il trend di riduzione del rischio, peraltro, si mantiene anche per chi si è vaccinato nei confronti di queste infezioni negli ultimi cinque anni».

I vaccini, insomma, potrebbero avere un ruolo significativo nei rischi di ammalarsi di Covid-19 e anche sul percorso della malattia. In questo senso, proprio le informazioni sull’influenza appaiono estremamente interessanti. Partendo dalla stessa analisi, infatti, si vede che la riduzione percentuale del rischio d’infezione da Sars-CoV-2 in chi si è sottoposto a vaccinazione nell’ultimo anno è del 26% negli over-65 e si attesta al 15% considerando ogni età, per scendere rispettivamente al 19 e 8% in chi si è protetto durante gli ultimi due anni.

Migliore risposta al Covid-19

«Inoltre, essere vaccinati per l’influenza potrebbe favorire una miglior risposta a Covid-19: lo fa pensare uno studio condotto in Brasile su più di 92.000 persone con infezione confermata da Sars-CoV-2 – riprende Remuzzi -. Chi si era vaccinato recentemente aveva un rischio ridotto dell’8% di finire in terapie intensiva e del 18% di necessitare di trattamento di assistenza respiratoria invasiva, rispetto ai non vaccinati. Non si possono trarre conclusioni definitive, ma comunque questi dati sono di grande interesse». Tra le ipotesi che potrebbero spiegare la situazione c’è uno studio di laboratorio dell’Università di Hong Kong pubblicato su The Lancet che dimostra come i virus influenzali potrebbero facilitare l’ingresso di Sars-CoV-2 nell’apparato respiratorio, attraverso una maggior “espressione” dei recettori Ace-2, punto d’aggancio per le “spikes” (ovvero le punte d’attacco) di Sars-CoV-2. Ma siamo solo all’inizio dei processi di conoscenza. Il tempo dirà quanto e come gli “altri” vaccini ci aiuteranno contro Covid-19.

COVID 19 E TRASMISSIONE INFEZIONE IN AEREO

Da il corriere della sera

Una giovane sudcoreana si è infettata in aereo con il virus Sars-Cov-2 «molto probabilmente» dopo aver utilizzato lo stesso bagno di un altro passeggero positivo. A raccontarlo sono gli esperti del Soonchunhyang University College of Medicine di Seoul in un articolo pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, a cura dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Stati Uniti. La 28enne era tra i 299 sudcoreani evacuati da Milano Malpensa il 30 marzo scorso, nel bel mezzo della pandemia.

Coronavirus, così una donna è stata infettata nel bagno dell'aereo partito da Milano durante il lockdown

Un Boeing 747 di Korean Air a Seul (foto di Leonard Berberi / Corriere)

La mascherina

I risultati fanno sostenere come la ragazza — che racconta di aver sempre indossato la mascherina per tutta la durata del volo, tranne che durante i pasti e l’utilizzo dei servizi igienici — potrebbe essere stata infettata proprio nella toilette. A rafforzare la tesi dei ricercatori, che comunque mantengono un margine d’incertezza, è il fatto che la 28enne ha raccontato di essere rimasta chiusa in casa in Italia (da sola) nelle tre settimane precedenti il volo e di non aver utilizzato i mezzi di trasporto pubblici per raggiungere l’aeroporto.

Il volo

Gli studiosi hanno preso in esame il volo di rimpatrio organizzato dal governo sudcoreano operato con un Boeing 747. Una tratta — viene scritto nella ricerca — dove i funzionari dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie del Paese asiatico hanno «seguito le procedure rigide di controllo delle infezioni»: al loro arrivo al Terminal 2 di Malpensa i 310 passeggeri prenotati sono stati controllati e intervistati. Quindi è stata misurata la loro temperatura corporea prima dell’imbarco: 11 dei viaggiatori sono stati tenuti a terra perché presentavano i sintomi del coronavirus. Gli altri 299 — la maggior parte con mascherine filtranti N95 — sono stati fatti salire in aereo rispettando la distanza sociale di 2 metri al pre-imbarco. Dopo 11 ore di volo i viaggiatori sono stati sbarcati e mandati in una struttura governativa dove hanno trascorso la quarantena «separati gli uni dagli altri».

La quarantena

Durante le due settimane lo staff medico ha controllato i viaggiatori (età mediana 30 anni, il 44,1% di sesso maschile) due volte al giorno rilevando la temperatura corporea ed eventuali sintomi tipici del coronavirus. Tutti i passeggeri — spiega lo studio — «sono stati testati con la tecnica della reazione a catena della polimerasi inversa» il primo giorno della quarantena (2 aprile) e l’ultimo (15 aprile): già nel primo esame 6 di loro sono risultati positivi. Nel secondo, alla fine delle due settimane, aveva il Covid-19 soltanto la 28enne. La donna aveva usato lo stesso bagno di un viaggiatore (uno dei sei positivi al primo giorno della quarantena) asintomatico seduto tre file davanti ma con in mezzo i servizi igienici. Non avendo avuto contatti in Italia secondo gli esperti «è altamente probabile che l’infezione sia avvenuta in volo, in contatto indiretto con il soggetto».

L’analisi

«Questo studio rappresenterebbe la prima potenziale prova della possibilità che Sars-Cov-2 possa essere trasmesso in aereo». Gli autori aggiungono che «saranno necessari ulteriori studi per comprendere questo tipo di meccaniche epidemiologiche, ma in ogni caso consigliamo di mantenere sempre l’uso della mascherina in ambienti chiusi e una corretta igiene delle mani». In realtà i ricercatori non considerano altri fattori che potrebbero aver contribuito al contagio. Il soggetto asintomatico, per esempio, potrebbe aver toccato le superfici del sedile della 28enne durante la camminata per distendere le gambe: il contagio, insomma, potrebbe non essere avvenuto in bagno. E ancora: dal momento che altri 4 soggetti — tra i 6 positivi — sedevano alcune file dietro la giovane non si può escludere che sia stato uno di loro a rilasciare goccioline passeggiando in corridoio.

Pericolo basso

Il rischio di contagio per via aerea resta bassissimo in volo, come già scritto più volte dal Corriere (leggi qui). In una ricerca del Massachusetts Institute of Technology il professore di statistica Arnold Barnett ha calcolato che la probabilità di contrarre il coronavirus a bordo è una su 4.300, cioè 0,023%. A ridurre il pericolo è in particolare l’aria — dall’alto verso il basso, ricambiata ogni 2-3 minuti e purificata con filtri Hepa che catturano il 99,97% delle particelle in circolazione —. Mantenendo poi il posto centrale vuoto in una fila di tre poltrone il rischio scende a una probabilità su 7.700, lo 0,013%, nei voli di durata breve e media e a patto che tutti indossino la mascherina.

lberberi@corriere.it

IDROSSICLOROCHINA E COVID: LE ULTIME SCOPERTE

Da il giornale

L’idrossiclorochina è un farmaco antimalarico salito alla ribalta dopo che il presidente americano Donald Trump aveva dichiarato in una conferenza stampa di prenderlo da due settimane a scopo profilattico contro il coronavirus. L’annuncio del tycoon creò un terremoto imponente, tra chi credeva alle parole dell’inquilino della Casa Bianca e chi lo criticava, accusandolo di proporre soluzioni pericolosissime per la salute dei cittadini. La rivista Lancet, prendendo come riferimento uno studio condotto su 96mila ammalati positivi al Sars-CoV-2, scrisse che il farmaco usato da Trump causerbbe un aumento del rischio di sviluppare malattie cardiache e morte improvvisa.

L’ultima scoperta

A distanza di qualche mese un report ha rimesso tutto in discussione. Uno studio osservazionale multicentrico coordinato dall’I.R.C.C.S. Neuromed, con la partecipazione di 33 centri ospedalieri italiani, ha mostrato come l’utilizzo dell’idrossiclorochina riduca del 30% il rischio di morte nei pazienti ospedalizzati per infezione da coronavirus.

Scendendo nel dettaglio, lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Internal Medicine, ed è stato coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università di Pisa. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 3.451 pazienti ricoverati per COVID-19. Nella ricerca sono stati presi in esame vari parametri, tra cui le patologie pregresse, le terapie che seguivano prima di essere colpiti dall’infezione e le terapie intraprese in ospedale specificamente per il trattamento del COVID-19.

Tutte queste informazioni sono state confrontate con l’evoluzione e l’esito finale dell’infezione. Ebbene, è emerso che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto tale trattamento (a parità delle condizioni valutate). “Abbiamo potuto osservare – ha spiegato Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed, attualmente presso Mediterranea Cardiocentro di Napoli – che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto questo trattamento”.

Come usare l’idrossiclorochina

L’idrossiclorochina non è certo il Santo Graal capace di sconfiggere una volta per tutte il nuovo coronavirus. Tuttavia il suo utilizzo, a dispetto di quanto alcuni sostenevano in un primo momento, ha mostrato segnali positivi. In particolare l’uso del farmaco si è rivelato particolarmente efficace in quei pazienti che, ricoverati, mostravano uno stato infiammatorio più evidente della norma.

Certo, saranno svolti altri studi e trial clinici per capire con esattezza il ruolo dell’idrossiclorochina e le sue modalità di somministrazione più adeguate. Intanto, però, la ricerca ha aggiunto un ulteriore tassello nella battaglia contro il virus. E in attesa di un vaccino non è roba da poco. Bisogna ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato uno stop all’uso dell’idrossiclorochina, facendo affidamento a uno studio osservazionale poi ritirato dagli autori della stessa ricerca. I nuovi dati suggeriscono un approccio differente.

Idrossiclorochina

Solitamente il farmaco antimalarico viene usato per curare l’artrite rematoide e il lupus erimateoso sistemico. In un futuro non troppo lontano potrebbe rappresentare anche un valido alleato nella sfida al Covid. “In attesa di un vaccino, identificare terapie efficaci contro il COVID-19 rappresenta una priorità assoluta – ha dichiarato Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione di Neuromed e professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all’Università dell’Insubria a Varese – e siamo convinti che questa ricerca darà un contributo importante al dibattito internazionale sul ruolo dell’idrossiclorochina nella terapia dei pazienti ospedalizzati per coronavirus”.

Vaccino anti-influenzale, corsa delle Regioni ma le dosi non bastano

L’anno passato sono stati iniettati 10 milioni di dosi, quest’anno i governatori ne hanno acquistati ben 14 milioni ma non sono sufficienti. L’allarme delle farmacie: non riusciamo ad approvvigionarci, così la fascia di popolazione attiva non potrà vaccinarsi

Vaccino anti influenzale per molti ma non per tutti. Da cenerentola snobbata dal pubblico a superstar da razionare con cura. Il Covid per cui il mondo attende un vaccino sta avendo un effetto quasi paradossale in Italia: mandare a ruba le dosi di un altro vaccino – quello per l’influenza di stagione – che le Regioni hanno appena acquistato per far fronte a un più che probabile boom di richieste del pubblico.

Boom in arrivo

L’anno passato sono stati iniettati 10 milioni di dosi, quest’anno i governatori ne hanno acquistati ben 14 milioni. Finora si vaccinava un anziano su due e appena il 16,7% della popolazione generale. Quest’anno, complice il Covid, la musica cambierà. A fornire il dato è stato il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi: le richieste delle Regioni ai produttori totalizzano +40% rispetto alla stagione 2019-2020. “A questa domanda aumentata, registrata in base alle gare fatte, le aziende hanno risposto – ha detto Scaccabarozzi – e cercheranno di fare il possibile per soddisfare tutte le richieste. Siamo di fronte a una crescita importante, che credo sia dovuta al fatto che l’epidemia di coronavirus ha messo in allerta molti”. A cominciare dal ministero della Salute: spiega la doppia utilità della profilassi anti influenza il direttore della Prevenzione Gianni Rezza: “Da un lato ci aspettiamo un minor carico di diagnosi differenziale pur se va tenuto presente che nei bambini, ad esempio, sono tanti i virus che possono dare sindromi respiratorie; dall’altro un alleggerimento per i Pronto soccorso, sempre intasati durante il picco influenzale”.

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Regioni sollecitate dal ministero della Salute a giugno

Sollecitati dalla circolare del ministero che il 5 giugno scorso ricordava l’importanza di una copertura per l’influenza stagionale sia per soggetti fragili e anziani – per cui si è anticipata l’età dell’offerta gratuita da 65 a 60 anni – sia per i bambini tra i 6 mesi e i 6 anni e in generale per l’intera popolazione, i governatori hanno bandito le gare per tempo e aspettano l’arrivo dei lotti. Il rischio carenze. Ma anche le dosi acquistate in più forse non basteranno.

Da qui la raccomandazione del Nitag (National Immunization Technical Advisory Group), il gruppo di esperti indipendenti sui vaccini, affinché ogni Regione valuti attentamente l’ampliamento dell’offerta e in ogni caso predisponga un piano delle priorità che metta al primo posto le persone più a rischio e gli operatori sanitari. “C’è un problema di organizzazione degli spazi e di personale, perché il Covid ha messo in crisi servizi già oberati – spiega il coordinatore Nitag Vittorio De Micheli – ed è probabile che la tanto auspicata partenza in anticipo delle vaccinazioni non si possa fare. In ogni caso, con l’estensione della gratuità a partire dai 60 anni, dosi per tutti non ce ne saranno”.

Ma l’esperto ha dubbi anche sull’utilità stessa di una copertura molto estesa, in funzione anti-Covid: “I virus simil influenzali sono centinaia, pensare che il vaccino, che pure va fatto alle persone fragili, aiuti la diagnosi differenziale è un’astrazione. Piuttosto, ho molta più fiducia nell’utilità degli strumenti che usiamo contro il coronavirus: lavaggio delle mani, mascherine e distanziamento”.

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Regioni alla prova

Dalla Lombardia che ha già acquistato 2,4 milioni di dosi al Lazio che quest’anno punta al raddoppio sempre con 2,4 milioni, dalla Puglia balzata da 600mila a 2 milioni di fiale fino al Piemonte che si è aggiudicato il 30% in più per un totale di 1,1 milioni di dosi acquistate con gara unica. Le Regioni hanno potenziato gli approvvigionamenti ma devono comunque fronteggiare la sfida organizzativa in un autunno che già si profila molto difficile.

La scommessa è utilizzare spazi – anche oratori o palazzetti sportivi – e canali distributivi mai battuti, e altri operatori oltre ai medici di medicina generale e agli ambulatori delle Asl.Le farmacie si candidano. In prima linea tra i candidati non solo alla distribuzione ma anche alla somministrazione ci sono le farmacie (già impiegate in Piemonte), che l’anno passato hanno dispensato circa 800mila dosi e che quest’anno stimano un incremento del 50% fino a oltre 1,2 milioni. “Farmacie e grossisti – spiega il segretario nazionale di Federfarma Roberto Tobia – non riescono ad approvvigionarsi dalle case farmaceutiche delle necessarie dosi di vaccino antinfluenzale da destinare a quella fascia attiva della popolazione che è l’asse portante dell’economia del Paese, ma che in questo momento è quella più a rischio di contagio”. E allora? Ministero, industrie, addetti ai lavori e presìdi territoriali sono in cerca di una soluzione, perché il tempo stringe.

da www.ilsole24ore.com

 

COME DISTINGUERE UNA ANOSMIA DA COVID

Da il corriere della sera

La perdita dell’olfatto che può accompagnare il coronavirus è unica e diversa da quella vissuta da qualcuno con un «brutto» raffreddore

Caratteristiche peculiari

Lo dimostra una ricerca effettuata su 30 volontari da Carl Philpott dell’Università dell’East Anglia in Gran Bretagna. Le persone prese in esame erano così divise: 10 con Covid-19, 10 con un «brutto» raffreddore e 10 sane senza sintomi di raffreddore o influenza. La perdita dell’olfatto era molto più profonda nelle persone con Covid-19, cioè erano meno in grado di identificare gli odori. Di solito – è stato stimato – è una perdita improvvisa e grave e non si accompagna a naso chiuso o naso che colala maggior parte delle persone colpite da coronavirus può ancora respirare liberamente. «Sembra che ci siano davvero caratteristiche specifiche che distinguono il coronavirus dagli altri virus respiratori. Questo è molto importante perché significa che i test dell’olfatto e del gusto potrebbero essere utilizzati per separare pazienti con Covid-19 e persone con un raffreddore o influenza normali», scrivono gli autori dello studio.

Fare test a casa

Un altro segno caratteristico del Covid sembra essere, insieme alla perdita dell’olfatto, quella del gusto: anche in questo caso le differenze tra la «normale» perdita di gusto dovuta a congestione nasale e il sintomo del coronavirus paiono essere abbastanza marcate: in particolare, i pazienti affetti da coronavirus con perdita del gusto non sono davvero in grado di distinguere tra amaro o dolceGli esperti sospettano che questo sia dovuto al fatto che il virus pandemico colpisce le cellule nervose direttamente coinvolte con l’olfatto e la sensazione del gusto. Gli autori della ricerca esortano chiunque abbia questi sintomi ad auto isolarsi e sottoporsi a un tampone. Anche i membri della famiglia dovrebbero isolarsi per prevenire una possibile diffusione. «Chi sospetta un contagio potrebbe anche – continuano gli scienziati – fare da solo test dell’olfatto e del gusto a casa usando prodotti come caffè, aglio, arance o limoni e zucchero»

I sensi dell’olfatto e del gusto ritornano normali entro poche settimane nella maggior parte delle persone che si riprendono dal coronavirus.

Il sintomo in più della metà dei positivi

I principali sintomi del coronavirus sono: febbre sopra i 37,5 gradi, tosse secca continua e affaticamento. Raffreddore, o meglio, congestione nasale classica non è comune nel Covid-19, come invece paiono la perdita di gusto e olfatto. Uno studio pubblicato su Nature, che haanalizzato i disturbi riportati dai pazienti nel Regno Unito, ha calcolato che 6 positivi su 10 hanno sofferto di perdita dell’olfatto, in alcuni casi associata ad alterazione del gusto (disgeusia); ma sono stati descritti casi di anosmia anche come unico segnale di positività al coronavirus. Un altro studio, italiano, condotto «sul campo» dall’Università Statale di Milano e coordinato da Massimo Galli, direttore del dipartimento di Malattie infettive dell’Ospedale Sacco, ci dice che in realtà questi disturbi possono rappresentare campanelli di allarme dell’infezione in arrivo, perché molto spesso vengono riportati già nella fase precoce della malattia e colpiscono soprattutto giovani e donne. E il problema è tutt’altro che raro: colpirebbe un paziente su tre.

INAIL: FOCUS SULL’ USO DI OZONO

Il presente documento ha la finalità di fornire le evidenze tecnico – scientifiche ad oggi disponibili sull’ozono nel contesto epidemico COVID-19

Focus on: utilizzo professionale dell’ozono anche in riferimento a COVID-19

A tale scopo riporta lo stato dell’arte con particolare riferimento a: status regolatorio, valutazioni disponibili a livello nazionale e internazionale, informazioni sui pericoli e rischi connessi all’uso dell’ozono, informazioni sulla tossicità e l’impatto sulla salute umana e sull’ambiente, efficacia della sostanza come virucida, sicurezza d’uso e precauzioni da adottare nella generazione in situ di ozono nel campo della prevenzione e controllo del SARS-CoV-2. Tratta inoltre le diverse applicazioni dell’ozono, dalla sanificazione degli ambienti a quella dei dispositivi, al settore alimentare, fino al trattamento delle acque. Il documento, sulla base delle evidenze scientifiche, esamina inoltre l’efficacia terapeutica dell’ozonoterapia valutandone la sicurezza d’uso, le criticità e gli sviluppi in divenire. L’elaborato non prende in esame l’esposizione all’ozono quale prodotto involontario da irraggiamento UV dell’atmosfera né di sistemi per la purificazione dell’aria. Il documento inoltre non prende in esame altre sostanze generate in situ ad azione disinfettante o comunque sanitizzanti o altri processi in uso nel contesto epidemico COVID-19 e pertanto non consente una esaustiva valutazione del rapporto costo/beneficio rispetto agli altri sistemi disponibili.

Prodotto: Volume
Edizioni: Iss – Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

INAIL: PULIZIA E SANIFICAZIONI NELLE SCUOLE

Prodotto editoriale realizzato a supporto dei Datori di Lavoro delle scuole di ogni genere e grado al fine di poter organizzare e gestire la salubrità dei locali scolastici attraverso una adeguata e consapevole organizzazione della pulizia, disinfezione e sanificazione in tempi di normale gestione e di pandemia.

immagine 	Gestione delle operazioni di pulizia, disinfezione e sanificazione nelle strutture scolastiche

La pubblicazione è costituita da una parte generale in cui si riprendono obblighi legislative o indicazioni di norme o linee guida sull’argomento con particolare riferimento alle definizioni di pulizia, disinfezione e sanificazione, ma anche sui dispositivi medici e dispositivi di protezioni individuale, su informazione e formazione, su detersivi, detergenti e disinfettanti e attrezzature per la pulizia e da una parte più specifica in cui si entra nel dettaglio delle sostanze e attrezzature/materiali da utilizzare e una frequenza indicativa delle operazioni che ogni Datore di Lavoro dovrà adattare alla propria organizzazione e realtà scolastica. La parte specifica è poi meglio esplicitata nelle allegate schede distinte per ambiente scolastico (aule, servizi igienici, uffici, palestre e spogliatoi, aree esterne, eccetera).

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

MEDICO COMPETENTE E CLASSI RIDOTTE:LE REGOLE PER TORNARE A SCUOLA

Da il sole 24ore

Un numero verde attivo dal 24 agosto. Tavoli nazionali e territoriali per monitorare la situazione scuola per scuola. Un medico competente per ogni istituto e accordi con gli psicologi per il sostegno a docenti e studenti. Sono alcuni delle soluzioni messe nero su bianco dalla ministra Lucia Azzolina per consentire il rientro in classe a settembre di oltre 8 milioni di alunni. Tra le novità delle ultime ore l’impegno di ridurre le classi pollaio e ad assicurare la continuità didattica sui posti di sostegno. In calce al testo anche la firma dei sindacati che hanno apprezzato gli ultimi impegni della titolare dell’Istruzione su risorse e personale.

Il documento di 12 pagine sottoscritto dalla ministra e dai sindacati indica le principali regole da seguire per la riapertura. Tra le novità dell’ultim’ora spiccano due promesse aggiunte nella parte finale dell’intesa, quella più politica: l’impegno a lavorare per reperire ulteriori risorse con «investimenti che consentano di intervenire sul fenomeno del
sovraffollamento delle classi e a una revisione ragionata dei parametri del Dpr 81/2009», la volontà di «garantire anche in sede di reclutamento, la necessaria continuità didattica, con particolare attenzione all’insegnamento di sostegno».

Per il resto il documento ricalca le anticipazioni dei giorni scorsi. A cominciare dalla presenza, a partire dal 24 agosto, di un help desk per le scuole (al numero verde 800903080) attivo dal lunedì al sabato, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00. Confermati poi il tavolo nazionale di monitoraggio tra ministero e sindacati e quelli attivati presso ogni Ufficio scolastico territoriale.

Decisiva per evitare l’esplosione di tanti piccoli cluster sarà, a livello centrale, la collaborazione con il ministero della Salute e, in ambito periferico, tra le scuole e i dipartimenti di prevenzione delle Asl. Prima dell’inizio dell’anno scolastico quando bisognerà organizzare i test sierologici su 2 milioni di prof e personale scolastico (da svolgersi su base volontaria, a titolo gratuito e presso strutture mediche di base) e soprattutto dopo quando bisognerà individuare eventuali casi di positività al Covid-19 e tracciare tutti i contatti. Ma su questo si aspetta un’ordinanza ad hoc del ministro della Salute, Roberto Speranza.

Sempre nell’ottica di prevenire eventuali focolai il documento pone l’accento sulla centralità del medico competente. Ce ne potrà essere uno in ogni scuola o in una rete di scuole. Per dare supporto psicologico a docenti e studenti in arrivo c’è poi un accordo tra il ministero dell’Istruzione e il Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi per rafforzare gli sportelli di ascolto negli istituti oppure attivare forme di aiuto in presenza o a distanza.

Ricalcando quanto già previsto dalle linee guida emanate il mese scorso il protocollo si sofferma sulla riorganizzazione degli spazi interni alle scuole. Con ingressi e uscite differenziate (e se possibili scaglionate), obbligo di rispettare il distanziamento di un metro sia nelle classi che nei corridoi, nelle mense e nelle sale professori e pulizia accurata delle classi e dei bagni (dove le finestre andranno mantenute aperte il più possibile per assicurare la ventilazione).

Nessuna novità per ora sul fronte mascherine. Il testo ribadisce l’obbligatorietà per il personale scolastico e per gli accompagnatori degli alunni (massimo uno per volta). Per gli studenti dai 6 anni in su (al di sotto non va portata) l’ultima parola spetta al Comitato tecnico-scientifico (Cts) del ministero della Salute che è chiamato a pronunciarsi nell’ultima settimana di agosto. Alla vigilia della riapertura.

In un posto sul suo profilo Facebook la ministra Azzolina giudica l’intesa «un accordo importante che contiene le misure da adottare per garantire la tutela della salute di studentesse, studenti e personale, ma anche impegni che guardano al futuro e al miglioramento della scuola come il contrasto delle classi cosiddette “pollaio”, una battaglia che porto avanti da tempo e che rappresenta per me una priorità». Definendo «particolarmente importante» l’help desk per le scuole: «È la dimostrazione – dice – che non vogliamo lasciarle sole. Che saremo al loro fianco in ogni momento supportandole in caso di difficoltà, così come abbiamo già fatto durante gli esami di Stato».

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PROTOCOLLO DI SICUREZZA (clicca qui)

I CONSIGLI PER LO SMART WORKING IN SALUTE

Da “la stampa”

I consigli della dottoressa Calcinoni, responsabile del Servizio Orl per il Teatro alla Scala di Milano

Per alcuni lavoratori, lo smartworking non è più soltanto la modalità di lavoro legata all’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese negli ultimi mesi. Per molti, la nuova impostazione, è ormai una realtà definitiva. Riuscire a lavorare senza doversi recare in ufficio ogni giorno, sicuramente aiuta a ottimizzare i tempi, ma anche questa abitudine tutta nuova, può nascondere insidie per la salute. Alcune più scontate, come il mal di schiena, altre meno.

A molti sarà successo ad esempio di riscontrare a fine giornata una voce affaticata. A spiegare perché è buona norma per chi lavora in smartworking curare anche l’igiene della voce è la dottoressa Orietta Calcinoni responsabile del Servizio Orl per il Teatro alla Scala di Milano.

Lavorare da casa avvalendosi dei migliori e più avanzati dispositivi tecnologici. Perché affatica tanto?

«Stare seduti è un lavoro per il nostro corpo: le gambe riducono la loro attività motoria e la circolazione ristagna con rischio, alla lunga,  di sviluppare varici. Dopo alcune ore si riducono la produzione del colesterolo e aumenta la resistenza all’insulina; l’attività dei muscoli del cingolo superiore , l’anello che descrivono spalle, base del collo, sterno, comincia a ridurre flusso vascolare ed efficienza cardiopolmonare; non ultimo il peso della testa e del collo aumentano, mentre i dischi vertebrali vanno in sofferenza».

Quando si sta seduti a lungo è come se la nostra testa pesasse di più?

«Quando siamo ben eretti quando cioè assumiamo la posizione dell’Uomo di Vitruvio nel verso della moneta da un euro la testa pesa circa 5-6 kg. Se la flettiamo ovvero la pieghiamo avanti  di 15°, come quando ci mettiamo a camminare lungo una strada e guardiamo nella direzione del cammino, il peso raddoppia. La posizione che in genere si assume per mangiare implica per la testa un’angolatura di circa 30° e in questa posizione la testa, supera i 18 chili, a 45° arriva a 22 ed a 60° la testa può arrivare a pesare 27 kg!! Quando si lavora davanti a uno smartphone o un tablet la testa fa un angolo che può andare dai 45 ai 60°, dipende dalla posizione assunta, mentre davanti a un computer, specie se portatile, siamo più spesso tra i 30° ed i 45°.

Passare 2-4 ore al giorno al giorno davanti a questi device significa trascorrervi 700-1400 ore/anno: 60 giorni (e notti) della nostra vita. Per chi supera le 12 ore al giorno al computer, nell’anno è come se si lavorasse 208 giorni di fila. La testa flessa avanti, e il relativo aumento di peso, mette in tensione tutta la muscolatura non solo del collo, ma anche della schiena, dove alcuni tiranti muscolari si inseriscono dalle ultime vertebre del collo ed alla base della schiena».

Stare seduti a lungo influenza anche il modo di respirare?

«Quando si sta seduti a lungo il mento si avvicina al petto e questa normale curvatura specie in persone sovrappeso, può favorire la cosiddetta respirazione alta, costale che implica un atto respiratorio fatto inalando meno aria di quella che servirebbe. Ora la nostra voce è fatta solo di aria, avere meno aria significa due cose: o pronunciare frasi più brevi e fare pause più frequenti oppure forzare la voce, con un’inevitabile fatica vocale».

E’ questo uno dei motivi per i quali i cantanti durante i concerti assumono per lo più una posizione eretta?

«Cantare a testa flessa, se non per brevi fraseggi  è molto difficile e faticoso: la posizione della testa di fatto limita se non incarcera i movimenti della laringe, così necessari per cambiare intonazione e dare il giusto colore, il giusto timbro ad un’aria; fare  un madrigale, per esempio, diventa pressoché impossibile. Più in generale non è mai salutare effettuare spesso forzatura vocale, poiché, ormai è un dato di fatto che forzare la voce favorisce la comparsa di reflusso».

Ci sono altri rischi che lo smartworking può comportare per la nostra voce?

«L’uso della voce al computer ha almeno altri tre rischi per un professionista in voce, ma più in generale per tutti noi: visivo, vestibolare, acustico».

Partiamo dal rischio visivo: quali sono le sofferenze per la vista?

«Il collo e tutto il corpo sono fatti per tenere la nostra testa in modo tale che gli occhi controllino la mira: terrò le cose che mi interessano nel punto di mira del mio campo visivo. Se per i nostri antenati era “prendi la gazzella e scappa dal leone”, per un portiere può essere l’attaccante che tira il rigore e il pallone, per un autista la strada davanti a sé e via dicendo. Quante cose “guardiamo” a casa mentre siamo in smart-working? Il monitor, i messaggi che arrivano sullo smartphone accanto, il gatto, il figlio che gioca, l’altro che non studia e dovrebbe studiare, la televisione. A seconda di dove vanno i miei occhi , segue la tensione emilingua – collo – mandibola. Attenzione quindi, a guardare e concentrarsi, su una cosa per volta».

Per rischio vestibolare invece, cosa si intende?

«Si intende che le braccia che battono sulla tastiera dovrebbero essere correttamente allineate con lo schermo. Un cantante o un musicista che si esercitano devono seguire la partitura;  in genere un musicista guarda 1 misura avanti, ma i cantanti e i direttori guardano 3-4 misure avanti. Se si mette la partitura di lato o ci si mette a suonare su una tastiera messa di fianco vi è uno sbilancio, una torsione che si riflette sulla dinamica della laringe e del tratto vocale, alterando l’armonia del sistema, dalla lingua che articola i suoni o produce il soffio adatto a uno strumento a fiato. Gli  effetti distorcenti ed affaticanti sono creati non da cattiva tecnica ma solo da cattiva postura. Vale per i musicisti, ma più in generale per tutti quelli che non riescono ad allinearsi correttamente con il device di lavoro».

TLB courtesy: 23/04/2020 – iStockphoto|

E per rischio acustico?

«Ascoltare la nostra voce o quella di altri con cuffie o auricolari, specie se non si dispone di sistemi professionali e spesso “la rete è debole, incostante”, può essere un altro rischio di affaticamento. Per molti, parlare a qualcuno che sappiamo lontano o che ascoltiamo con difficoltà, innesca un immediato, pur se immotivato, innalzamento del tono vocale, una voce più scandita, spesso più acuta, più faticosa da tenere a lungo. Peggio ancora, se la comunicazione diventa difficile o incostante durante la riunione, la relazione, l’esame, il webinar per cui ci eravamo preparati tanto! L’irrigidimento più o meno evidente partirà dalla nostra schiena, “incarcerando” ancora di più braccia, collo, laringe , riducendo la respirazione … con una voce meno timbrata e meno convincente per chi ci ascolta».

Per tutti quelli che continueranno a lavorare in smartworking cosa consiglia per preservare uno stato di salute adeguato?

«Ogni volta che è possibile bisognerebbe inclinare la seduta indietro (a 135°) o spostarsi in una seduta più comoda e senza dover bloccare di nuovo la testa in una posizione di visione. Quando non necessario, bisognerebbe spostare le mani dalla tastiera e  rilasciare le braccia e le spalle. Trovare sempre un motivo per alzarsi dal computer e fare almeno pochi passi, per riattivare la circolazione nelle gambe. Prima di iniziare a lavorare verificare che il monitor resti entro i 15° dal nostro orizzonte visivo, a costo di alzarlo con scatole o libri se non si dispone di un leggio. La sedia utilizzata dovrebbe  permettere una postura con schiena eretta, ma non rigida.  Le braccia e le mani dovrebbero posarsi sulla tastiera mantenendo un angolo di almeno 90° ai gomiti.  Se possibile munirsi di un poggiapiedi (basta una scatola a volte o un predellino).

Sul tavolo di lavoro bisognerebbe disporre tutto quello che potrebbe servire, compresa l’acqua. Non dimenticare mai l’uso degli occhiali se servono per evitare di doversi avvicinare troppo al computer. Da ultimo, è bene regolare con attenzione i dispositivi audio, per ascoltare a un tono comprensibile e trasmettere la nostra voce in modo affidabile. Lavorare da casa può essere una scelta o un obbligo: non deve diventare un danno».