ANMA sta analizzando la problematica della vaccinazione anti SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro, il GdL ad hoc istituito, dopo aver avuto contatti diretti con gli Assessorati alla Salute di Regione Veneto e Regione Lombardia, ha approntato le prime indicazioni sul tema, che pubblichiamo in allegato.
Come sempre chiediamo la collaborazione di tutti gli Associati nell’informarci delle iniziative territoriali delle quali sono a conoscenza o nelle quali sono coinvolti.
Vaccinazione anti-COVID-19 nei luoghi di lavoro: il contributo del Medico Competente
Nel nostro Paese, trascorsi due mesi dall’avvio della campagna vaccinale anti-COVID-19, sono attualmente in discussione diverse strategie e ipotesi organizzative per l’implementazione dell’offerta, strategie che riguardano anche luoghi di lavoro diversi da quelli sanitari, in modo da consentire la più rapida somministrazione dei vaccini disponibili, con le priorità indicate dal Ministero della Salute, al fine di contrastare la diffusione del virus e, auspicabilmente, porre fine all’attuale fase di emergenza sanitaria quanto prima.
In questo contesto, tra i principali attori individuabili come partecipanti attivi al processo di informazione, programmazione e controllo dell’effettuazione dei piani di vaccinazione rientrano, a pieno titolo, i Medici Competenti (MC), come peraltro esplicitamente previsto nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019.
Il ministero della Salute ha presentato giovedì alla Conferenza unificata delle Regioni il nuovo piano di vaccinazioni, in cui ci sono diversi aggiornamenti rispetto al piano vaccinale approvato dal governo a dicembre. Il nuovo piano – che potrà subire qualche piccola modifica, ma niente di sostanziale – contiene criteri validi per tutto il territorio nazionale, ed elimina quindi la discrezionalità affidata finora alle Regioni.
Le vaccinazioni proseguiranno in base al criterio delle fasce d’età, dalle persone con più di 80 anni in giù, ma rispetto al piano precedente sono state identificate 5 nuove categorie in cui è divisa la popolazione, sulla base dell’età e della presenza di condizioni patologiche. La priorità verrà data alla categoria 1, e poi a scendere.
-Categoria 1. Elevata fragilità (persone estremamente vulnerabili; disabilità grave); • Categoria 2. Persone di età compresa tra 70 e 79 anni; • Categoria 3. Persone di età compresa tra i 60 e i 69 anni; • Categoria 4. Persone di età inferiore ai 60 anni con patologie o situazioni di compromissione immunologica che possono aumentare il rischio di ammalarsi, ma che non siano nella condizione di gravità delle persone estremamente vulnerabili; • Categoria 5: Resto della popolazione di età inferiore 60 anni.
A prescindere dall’età sono inoltre considerati prioritari nella somministrazione del vaccino il personale docente e non docente, scolastico e universitario, le Forze armate, di Polizia e del soccorso pubblico, dei servizi penitenziari e delle comunità residenziali.
Il nuovo piano prevede quindi che si continui con la fase 1 del piano vaccinale precedente, quella che riguarda gli anziani con più di 80 anni e che sfrutta i vaccini di Pfizer e Moderna, e che si completi la vaccinazione del personale sanitario, del personale della scuola, dei militari e delle forze dell’ordine. Il terzo vaccino autorizzato in Italia, quello di AstraZeneca, viene somministrato preferibilmente alle persone tra i 18 e i 65 anni, ma il 7 marzo il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato che potrà essere somministrato anche a chi ha più di 65 anni.
In parallelo però, tenendo conto delle disponibilità dei vaccini, potranno essere vaccinate le persone appartenenti alle 5 nuove categorie, in ordine decrescente, cominciando con le persone che hanno più di 70 anni.
Il nuovo piano prevede inoltre che, qualora le dosi di vaccino disponibili lo permettano, si possa vaccinare all’interno dei posti di lavoro, a prescindere dall’età. Le vaccinazioni dovranno però essere realizzate da personale sanitario autorizzato: l’idea, in questo modo, è di accelerare l’intero processo.
INTESA IN LOMBARDIA, VENETO E FRIULI VENEZIA GIULIA
La Lombardia getta il cuore oltre l’ostacolo e approva un protocollo d’intesa insieme con Confindustria, Confapi e l’Anma, l’associazione dei medici competenti. Altre Regioni stanno lavorando nella stessa direzione, in particolare Friuli Venezia Giulia e Veneto. Ma anche Puglie a Trentino Alto Adige. La Confindustria nazionale ha presentato un piano al governo per il coordinamento nazionale delle vaccinazioni in azienda. Inoltre, «in attesa delle determinazioni e dei protocolli specifici che la gestione commissariale straordinaria ha annunciato alle parti sociali», Confindustria ha avviato una ricognizione sull’intero sistema associativo. Le associazioni di tutto il territorio nazionale hanno ricevuto un questionario volto a identificare le imprese concretamente disponibili alla funzione di «fabbriche di comunità», quindi idonee per essere configurate come siti vaccinali e moltiplicare così quelli già attivi nel Paese.
Oltre 300-400 vaccinazioni potenziali
Tornando al protocollo lombardo, diventerà operativo quando comincerà la vaccinazione di massa. «È un allargamento ci consente di avere minore tensione sugli ospedali perché il vaccino potrebbe essere somministrato in altre strutture», dice la vicepresidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti, ricordando che l’iniziativa non modifica la lista delle categorie che hanno la priorità, a partire dagli anziani. La delibera lombarda è stata inviata al commissario per l’emergenza Covid, il generale Francesco Figliuolo, che definirà le modalità con cui può essere applicata. «Apriamo le porte delle fabbriche per uscire più in fretta da questa emergenza — dice il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti —. Basta chiacchiere, dobbiamo fare azioni, intervenire. I vincoli sono due: gli spazi dove fare le vaccinazioni e la disponibilità dei vaccini». E il sindacato? «Andremo nelle prossime settimane a condividere il protocollo e le modalità applicative con il sindacato come abbiamo fatto con i protocolli per la sicurezza in azienda — spiega Bonometti —. In poco tempo potremmo arrivare a vaccinare 300-400 mila lavoratori. Potremmo fare 150 mila vaccinazioni alla settimana, coinvolgendo anche i familiari dei dipendenti. Mi auguro che l’iniziativa parta subito». Per Maurizio Casasco, presidente di Confapi «coniugare salute e attività produttive è fondamentale». «Da medico cercherò di portare la mia esperienza e il mio contributo — continua Casasco — prima vacciniamo tutti meno contagi avremo e meno varianti avremo».
Tra le criticità, la conservazione dei vaccini
In realtà l’operazione “vaccinazione in azienda” ha alcune criticità da superare. Per cominciare non tutti i vaccini possono essere somministrati in fabbrica: quelli che devono essere conservati a -70 -80 gradi difficilmente possono essere utilizzati nei luoghi di lavoro. Inoltre le piccole aziende non hanno un medico competente e andrebbe quindi definita una modalità per intervenire in aree industriali con presidi logistici ad hoc. Tra i lavoratori dipendenti esistono poi categorie che aspettano con più ansia il vaccino. Tra questi i dipendenti della grande distribuzione che però non sono coinvolti da questo protocollo. «Anche Confcommercio ha manifestato l’interesse a essere coinvolta in questa sfida — ha detto l’assessore lombardo alle attività produttive Guidesi. Rassicurando i sindacati, che nei giorni scorsi avevano diffidato da fughe in avanti senza essere coinvolti: «Ci accompagneranno nella applicazione del protocollo».
Le richieste dei medici competenti
L’intesa coinvolge i cosiddetti medici competenti, quelli che si occupano della tutela della salute all’interno delle imprese. In Lombardia sono circa un migliaio. L’associazione della categoria, l’Anma, ha posto alcuni vincoli. Primo fra tutti: la volontarietà. A vaccinare, quindi, sarebbero solo i medici che si rendono disponibili. Il secondo: i medici avrebbero bisogno di una assicurazione aggiuntiva per la coperture dei rischi che possono derivare dallo svolgimento di un’attività che non è tra quelle comprese di solito tra le loro mansioni. In altre parole, i medici competenti sarebbero disponibili perché non ci sia un aggravio di spese a loro carico.
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IL NOSTRO COMMENTO
Come ho scritto nel titolo sulla carta tutto bello. A tutti noi viene la voglia di contribuire allo sforzo “bellico” nel debellare il covid. Peró analizziamo anche le criticità : È impensabile utilizzare vaccini diversi da quelli tipo Johnson e Johnson per questioni legate alla conservazione.
Altra criticità sarebbe legata alla possibilità di reperire i vaccini, avere a disposizione degli idonei locali, avere tempi sufficienti a controllare l assenza di effetti collaterali, avere a disposizione personale in grado di eseguire tutte quelle attività di registrazione digitale ed informatica della avvenuta vaccinazione. Cito il commento di un mio autorevole collega che mi ha insegnato la medicina del lavoro.. ” Guardiamo negliallegati i requisiti e principi generali per consentire in sicurezza le operazioni vaccinali. Ben difficilmente le aziende possano sobbarcarsi tutti gli oneri previsti e i medici tutte le responsabilità previste. Una per tutte: “Il medico competente che presiede la somministrazione vaccinale assume la responsabilità di tutto il percorso vaccinale e in particolare: – della verifica sulla corretta conduzione dell’operatività (adesione ai protocolli, applicazione delle regole di buona pratica vaccinale, ecc.); – della garanzia in merito all’approfondimento informativo per una consapevole adesione all’offerta vaccinale – del pronto intervento in caso di emergenza ed esercita ogni altra funzione che contribuisca ad assicurare il regolare svolgimento dell’attività”.
In Lombardia ci sono 817.999 imprese a vario titolo per 4.120.113 addetti. Diviso per i 1200 circa medici competenti vuol dire che ogni medico dovrebbe occuparsi di 680 aziende per un totale di 3433 lavoratori”
Dott. Alessandro Guerri specialista in Medicina del Lavoro
Segnalo inoltre il seguente linksu “quotidiano sanità”
Il team che ha lavorato al prodotto Oxford/Astrazeneca starebbe già studiando la messa a punto di un antidoto contro il coronavirus di più facile utilizzo rispetto a quello di Pfizer e degli altri che vengono somministrati con un’iniezione. “Ma ci vorrà tempo”, avvertono i ricercatori
Il team che ha lavorato al prodotto Oxford/Astrazeneca starebbe già studiando la messa a punto di un antidoto contro il coronavirus di più facile utilizzo rispetto a quello di Pfizer e degli altri che vengono somministrati con un’iniezione. “Ma ci vorrà tempo”, avvertono i ricercatori.
I vaccini di seconda generazione contro il Covid potrebbero essere diversi da quelli attuali, e non solo perché potrebbero aver subito “aggiustamenti” per meglio contrastare le varianti più minacciose. Via fiale e siringhe, potrebbero essere somministrati con spray nasali o pillole. A questa prospettiva starebbe già pensando il team di Oxford che ha lavorato sull’antidodo di Astrazeneca e che sta anche svolgendo sperimentazioni sul mix di vaccini diversi. Nelle scorse settimane, l’ex numero uno della task force britannica per i vaccini, Kate Bingham, aveva detto, in un’audizione davanti alla “Commons Science and Technology Commitee”, che andavano esplorate altre strade per rendere la somministrazione del vaccino più facile in futuro. Ovviamente qualsiasi novità, ha bisogno di tempo per svilupparsi.
La ricerca di vaccini più facilmente gestibili
“Abbiamo vaccini antifluenzali che possono essere somministrati con spray nasali e questo potrebbe essere l’approccio giusto per tutti i vaccini contro i diversi coronavirus”, ha spiegato Sarah Gilbert, a capo del team dei ricercatori di Oxford, ai deputati della Commissione.
Come evidenziato già da Bingham a più riprese negli ultimi mesi, la doppia somministrazione, e soprattutto l’attuale conservazione del prodotto di Pfizer a temperature poibitive, rende la campagna vaccinale inevitabilmente complessa e difficile. In questo senso, già il via libera a Johnson&Johnson, antidoto monodose, atteso a breve, contribuirà a facilitare non poco la situazione nel Regno Unito.
Verso una nuova normalità
Nelle ultime settimane, il ritmo di crescita delle dosi somministrate ha subito un rallentamento anche in Inghilterra, per quanto il Paese abbia ormai superato i 18 milioni di vaccinati con la prima dose e da fonti governative venga smentito il rischio che la seconda dose possa essere ulteriormente procrastinata rispetto alle 12 settimane. Il fatto è che qui, come annunciato dal premier Boris Johnson, si sta avvicinando il momento della “cauta ma irriversibile” uscita dal lockdown. Sarebbe comunque sbagliato affidarsi completamente solo ai vaccini. L’osservanza di altre misure, a partire dal distanziamento sociale, è importante che venga seguita il più possibile, per non vanificare gli sforzi fin qui fatti e per rispettare le oltre 120mila morti da Covid registrate finora nel Regno Unito. Intanto proseguono anche gli studi per cercare di comprendere meglio i meccanismi di trasmissione del virus. Delle ultime settimane la notizia che è partita la sperimentazione su giovani adulti perfettamente sani infettati col virus in ambiente protetto.
La società Anma da molti anni promuove importanti incontri scientifici sulla medicina del lavoro e sulla professione di medico competente anche attraverso consigli operativi pratici . la rivista Medico Competente Journal è un valido strumento di aggiornamento professionale
Segnalo particolarmente nel n4/2020 la circolare del ministero della salute sulla gestione del primo soccorso in tempi di epidemia Covid
Il primo soccorso al lavoro durante la pandemia da COVID-19
La pandemia ha reso necessario di cambiare anche il modo di fare il Primo Soccorso nei luoghi di lavoro, un’attività che deve ora sempre svolgersi nel rispetto delle necessarie misure di sicurezza anticontagio.
Le società scientifiche internazionali (Ilcor, ERC, American Heart Association) hanno prodotto specifiche linee guida su come organizzare il Primo Soccorso nella pandemia, ed anche il nostro Ministero della Salute ha dato indicazioni in proposito con la Circolare n. 21859 datata 23 giugno 2020.
Noi abbiamo voluto contribuire, predisponendo questo breve materiale informativo illustrato, realizzato con la collaborazione dell’Ente Bilaterale del Turismo e dell’Ente Bilaterale del settore Terziario della Provincia di Venezia.
L’azienda anglo-svedese ha battuto tutti, conquistando il mercato europeo già alla fine del 2020. È quello più utilizzato attualmente in Italia, destinato in via prioritaria agli operatori sanitari di ospedali e residenze sanitarie per anziani e agli ultra 80enni. È il primo vaccino al mondo ad essere stato realizzato con una tecnica completamente innovativa, quella dell’Rna messaggero. Il codice genetico correlato alla produzione della proteina Spike, che serve al virus Sars-CoV-2 per agganciarsi alla cellula umana, viene fatto penetrare all’interno della stessa cellula «a bordo» di un involucro che una volta compiuta la sua missione viene eliminato. In questo modo il sistema immunitario riceve le informazioni per intercettare il virus che contagia l’individuo e neutralizzarlo. Somministrato con due dosi intervallate da tre settimane, ha un’efficacia di oltre il 90%. Conservazione a -70 gradi. Indicazioni, dai 16 anni.
Moderna
È arrivato a inizio gennaio, basato sulla stessa tecnologia di Pfizer-BioNTech. Ha un’efficacia del 95%, significa che in 95 individui su 100 è capace di evitare la malattia o i sintomi gravi. L’Italia ne sta ricevendo quantitativi ridotti in quanto la maggior parte delle dosi sono state destinate agli Stati Uniti, dove Moderna ha sede e stabilimenti. Il vaccino è registrato sopra i 18 anni di età. Modalità di somministrazione, 2 dosi intervallate da 4 settimane. Conservazione a -20 gradi.
AstraZeneca
Doveva essere la prima azienda mondiale a tagliare il traguardo con il suo anti-Covid, ma una serie di imprevisti ne hanno ritardato l’arrivo a fine gennaio, dopo i due precedenti. Il preparato, messo a punto dallo Jenner Institute di Oxford e dall’Irbm di Pomezia è basato sul vettore virale, cioè utilizza un virus (dello scimpanzé), innocuo per l’uomo, che funge da navicella per trasportare nelle cellule umane il codice genetico delle proteine del virus contro le quali si vuole innescare la produzione di anticorpi. L’obiettivo è la proteina Spike. L’efficacia è del 62%, ma col passare dei giorni dopo la prima dose aumenta fino a raggiungere l’80% entro la 12ma settimana, quando viene somministrato il richiamo. L’Italia ha posto il limite dei 65 anni (l’Ema invece non ha indicato soglie) in quanto le prove di efficacia sono più solide in questa fascia di popolazione. Si conserva a 2-8 gradi ed è quindi molto più maneggevole.
Janssen
Autorizzato negli Usa la scorsa settimana, ad aprile potrebbe arrivare in Italia. Prodotto da Janssen, farmaceutica di Johnson&Johnson, è l’unico anti-Covid monodose, quindi non ha bisogno di richiamo. Si conserva in frigorifero tra 2-8 gradi, efficacia 72-86%. L’inoculo viene trasportato nell’organismo da un adenovirus reso innocuo.
CureVac
L’azienda tedesca è in partnership con Bayer. È un vaccino a Rna messaggero, come Moderna e Pfizer-BioNTech. In Ema è appena cominciato l’iter per l’autorizzazione provvisoria che secondo l’amministratore delegato di CureVac è attesa tra la fine di maggio e giugno. Non sono disponibili informazioni ufficiali sull’efficacia.
Novavax
È un po’ più indietro. Solo adesso è partita la fase tre, la conclusiva, della sperimentazione in Usa e Messico. Il preparato è basato su proteine che si trovano sulla superficie del virus.
Sputnik
È disegnato in modo «originale»: le due dosi, 21 giorni tra la prima e il richiamo, vengono veicolate da due diversi adenovirus che trasportano la proteina Spike. Il meccanismo di funzionamento è tipico dei vaccini vettoriali: indurre la protezione di Spike nelle cellule dell’ospite per stimolare la risposta immunitaria. Efficacia 91,6%, viene prodotto con formulazione congelata (-18 gradi) e liofilizzata (2-8 gradi). Approvato solo dalle autorità regolatorie russe, contatti preliminari con Ema
Leggiamo dalle agenzie ANSA la notizia che é stato approvato il trasporto del vaccino Pfizer alle “temperature convenzionali” tipiche dei congelatori farmaceutici. Questo dovrebbe permettere nel futuro di vaccinare ancora più facilmente.
In precedenza era stata raccomandata la conservazione a temperature ultra-fredde comprese tra -80 e -60 gradi Celsius
Ecco il testo da Ansa:
La Food and Drug Administration ha approvato la conservazione e il trasporto del vaccino Pfizer contro il Covid-19 alle normali temperature del frigorifero sino a due settimane, anzichè a temperature ultra fredde. (ANSA).
Sarà “obbligatoria” la vaccinazione anti-coronavirus19 per gli operatori sanitari allo scopo di prevenire e controllare la trasmissione della infezione.
Lo ha deciso il Consiglio regionale con 28 voti favorevoli. La proposta di legge presentata dal presidente della I Commissione, Fabiano Amati, è in coerenza con le disposizioni di sicurezza previste dalla legge regionale 19 del 2018 e del successivo regolamento attuativo, in materia di prevenzione e controllo della trasmissione delle infezioni con particolare riferimento all’epatite B, morbillo, parotite, rosolia, varicella, difterite, tetano, pertosse, influenzae tubercolosi.
Molti parlano di “obbligo vaccinale per gli operatori sanitari”, ma non è esattamente così. Solo una legge Statale potrebbe imporre la vaccinazione. La legge pugliese, presentata da fabiano Amati (Pd), si limita a vietare l’accesso ad alcuni reparti più delicati agli operatori non vaccinati contro il Covid, estendendo al covid quanto già previsto nella legge regionale 27/2018 per altre malattie. Nulla escludere la possibilità degli operatori di rifiutare la vaccinazione e richiedere, eventualmente, un cambio di reparto. LA LEGGE E GLI EMENDAMENTI
Un segnale d’allarme è scattato dopo che 12 MEDICI sono risultati positivi a seguito del secondo richiamo di Pfizer. E sembra esserci, all’ombra dei contagi, l’ombra della variante inglese classificata come VOC 202012/01.
Sui dodici medici positivi, dopo il richiamo, sono ancora in corso accertamenti, si legge su Repubblica. I campioni delle loro analisi saranno determinanti per stabilire, scientificamente, come il virus abbia superato lo “scudo” del vaccino. Nello specifico, su un campione di 4 sanitari contagiati dopo l’antidoto, sta conducendo un’analisi la Società italiana di malattie infettive.”Contagiarsi, anche dopo avere ricevuto la seconda somministrazione, non significa automaticamente che il vaccino è stato poco efficace“, ha spiegato il direttore scientifico Massimo Andreoni, virologo del Policlinico Tor Vergata. “In tutti i casi che abbiamo preso in esame finora, ci siamo trovati davanti a persone completamente asintomatiche“.
Il direttore della UOC Malattie Infettive al Policlinico Tor Vergata di Roma ha, infatti, offerto un quadro della situazione in cui si evince come tutti gli scenari siano, in un certo senso, sotto il controllo della medicina e della scienza.Una spiegazione dei temi più attuali che contribuisce a spegnere diversi allarmismi verso quella che è e resta l’arma più efficace contro il virus: appunto la vaccinazione. Nessun allarmismo quindi, riguardo al fatto che alcuni sanitari abbiano avuto positività al coronavirus dopo essere stati vaccinati.
“Il vaccino, ha precisato l’infettivologo, non è che ci crea uno scudo per cui il virus non entra più dentro di noi. Il virus entra dentro di noi, fa pochissime replicazioni perché, a quel punto, viene bloccato dagli anticorpi che si sono formati grazie alla vaccinazione. Il virus entra di noi e fa qualche piccola replicazione. Se noi andiamo a fare il tampone in queste persone, in quel momento, troviamo delle positività che però non hanno nessuna rilevanza nei confronti della malattia, sono tutte persone che non la sviluppano. E molto probabilmente, su questo uso il condizionale perché abbiamo bisogno di dati, non sono persone che sono in grado di infettare proprio perché, avendo poche replicazioni, il virus non riesce a raggiungere quelle quantità tali da poter essere trasmesso“. Da meteo.it
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