Novità

INQUINAMENTO E MALATTIE NEURODEGENERATIVE

Lo smog e l’aria inquinata non favorirebbero solo l’insorgere di tumori, ma anche dell’Alzheimer. Secondo due distinti studi riportati dalla Stampa, quello che respiriamo inciderebbe in maniera decisiva sullo stato del nostro cervello. La prima ricerca, dell’istituto svedese Karolinska di Stoccolma e pubblicata su Jama Neurology, afferma che “l’esposizione allo smog aumenta il rischio di sviluppare demenza”. E questo in un ambiente come il centro di Stoccolma in cui “il livello medio annuo di particolato di Pm2,5 è ben al di sotto del limite in Europa e negli Usa”. Anche in condizioni dell’aria tutto sommato buone, insomma, “sono emersi effetti dannosi sulla salute: il rischio di demenza aumenta del 50% per un aumento di 0,88 microgrammi al metro cubo della concentrazione di Pm2.5 e del 14% per un incremento di 8,35 microgrammi al metro cubo della concentrazione di ossidi di azoto”.

Il peggioramento delle capacità cognitive “è mediato dagli effetti vascolari: quasi il 50% dei casi di demenza da inquinamento era dovuto a ictus“. In altre parole, le sostanze inquinanti sono “neurotossiche”, danneggiano il cervello ed hanno uno stretto legame con le malattie neurovascolari e neurodegenerative

Conferme in questo senso dal secondo studio, pubblicato su Neurology e realizzato in un contesto decisamente diverso, confrontando i residenti nell’area Nord di Manhattan e nei quartieri di Inwood e Washington Heights a New York: più la qualità dell’aria peggiora e più è evidente e rapido il deterioramento cognitivo. Secondo la responsabile dello studio, Erin Kulick della Brown University School of Public Health, questi risultati “sollevano la questione se i limiti imposti per legge siano sufficientemente bassi da proteggere la salute delle persone”. Nove cittadini europei su 10, ricorda la Stampa, “è esposta a concentrazioni di polveri fini superiori ai valori stabiliti dall’Oms e, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, l’Italia è la peggiore d’Europa con 76mila morti premature correlate all’inquinamento atmosferico da Pm2.5, ozono e biossido di azoto”. Da il giornale.it

NUOVE FACT SHEET DI INAIL SULL’AMIANTO

Nelle nuove pubblicazioni INAIL un elenco dettagliato delle misure di prevenzione e protezione da adottare nei siti inquinati e un approfondimento sulle nuove modalità per il riconoscimento delle diverse tipologie di minerale sviluppate con tecnologie innovative

L’INAIL ha pubblicato due nuove fact sheet su ricerca e innovazione tecnologica finalizzate alla tutela del lavoratore e degli ambienti di vita in relazione all’amianto:

  1. focus sulle misure di sicurezza per i lavoratori e per gli ambienti da adottare durante gli interventi di riqualificazione dei siti contaminati;
  2. nuove modalità̀ di riconoscimento e caratterizzazione di materiali contenenti amianto (mca) mediante l’impiego di tecnologie innovative non invasive e non distruttive, sviluppate nell’ambito del Bando di ricerca in collaborazione dell’Inail (Bric ID 58 – Programma speciale amianto).

La situazione in Italia

Durante gli interventi di riqualificazione dei siti contaminati è necessario adottare specifiche misure di prevenzione e protezione, per garantire la minima dispersione di fibre di amianto nell’ambiente.

L’Inail evidenzia che sui 41 siti da bonificare di interesse nazionale (sin) identificati in Italia dal Ministero dell’Ambiente, 11 sono principalmente contaminati da amianto, mentre in altri cinque esiste una contaminazione secondaria, accertata e quantificata, che riguarda una porzione significativa del perimetro. Inoltre, sono stati rilevati più di 12mila siti di interesse regionale (sir) e altri di competenza comunale (sic). Fino al 1992, anno in cui sono stati banditi sia l’estrazione sia l’impiego del minerale, l’Italia è stata tra i maggiori produttori mondiali di amianto e mca.

Le misure di prevenzione

  • l’intera area da bonificare deve essere delimitata su tutti i lati del perimetro con una recinzione idonea, per impedire l’accesso agli estranei. Possono entrare, infatti, soltanto gli operai addetti alle lavorazioni e gli enti preposti al controllo.
  • tra le misure di prevenzione indicate nella fact sheet, oltre alla cartellonistica obbligatoria, che riguarda, tra le altre cose, l’adozione dei dispositivi di protezione individuale (dpi) e il pericolo di inalazione di fibre pericolose, si consiglia di installare, all’ingresso all’area di lavoro, un’unità di decontaminazione personale (udp) costituita almeno da quattro locali.
  • nel caso di interventi su aree vaste, devono essere previste due udp, una all’ingresso del sito e una in prossimità dell’area in lavorazione.

Misure di protezione

Le misure di protezione comprendono i dispositivi di protezione collettiva (dpc) e i dpi.

Nel caso dell’amianto, i dpc come le reti anticaduta e le linee vita risultano una soluzione efficace durante i lavori di bonifica delle coperture in cemento amianto, per la riduzione del rischio di caduta dall’alto per sfondamento delle lastre.

Nelle aree di bonifica, tutti coloro che accedono al cantiere devono sempre essere dotati di dispositivi di protezione individuale idonei. Il datore di lavoro deve quindi porre massima attenzione nella scelta della tipologia, delle misure e delle quantità dei dpi da fornire ai lavoratori, e prima di scegliere deve effettuare una specifica valutazione del rischio, realizzata anche sulla base dell’analisi delle mansioni degli operatori.

Riconoscimento mediante analisi d’immagine iperspettrale

La seconda pubblicazione illustra le nuove modalità di riconoscimento e caratterizzazione di materiali contenenti amianto sviluppate nell’ambito del bando Bric.

In particolare, è stata realizzata la mappatura 2D delle superfici dei materiali mediante analisi in microfluorescenza a raggi X (micro-Xrf) e imaging iperspettrale (hsi).

Sono state analizzate diverse tipologie di materiali, caratterizzati da matrici di natura differente (cementizie, resinoidi, cellulosiche, etc.) e dalla presenza di varie tipologie di minerali di amianto (crisotilo, crocidolite, amosite, tremolite, antofillite, actinolite).

I campioni esaminati sono stati prelevati da cantieri di bonifica in diverse regioni.(dai genio-web.it)

LE DUE FACT SHEET INTEGRALI SONO SCARICABILI IN FORMATO PDF

Fonte: INAIL

PULIRE LE MANI MEGLIO CHE USARE I GUANTI

L’OMS non raccomanda l’uso di guanti da parte di persone nella comunità. “L’uso di guanti – si legge in un aggiornamento sulle domande&risposte in merito all’epidemia – può aumentare il rischio di infezione, poiché può portare all’autocontaminazione o alla trasmissione ad altri quando si toccano le superfici contaminate e quindi il viso”.

Pertanto l’Oms raccomanda “oltre al distanziamento fisico l’installazione di stazioni pubbliche di igiene delle mani all’ingresso e all’uscita in luoghi pubblici come supermercati”.

“Migliorando ampiamente le pratiche di igiene delle mani – rileva l’Oms – , i paesi possono aiutare a prevenire la diffusione del virus COVID-19”.

Da quotidianosanita.it

GUIDA USA COVID 19 E LAVORO

Da Dottnet.it

È stato proposto uno schema per aiutare i medici a consigliare i pazienti su come continuare a lavorare in corso di pandemia, in funzione del rischio professionale di contrarre il SARS-Cov-2.

Sebbene i dati sul rischio occupazionale siano limitati, l’Ente statunitense che amministra la sicurezza e la salute sul lavoro ha pubblicato orientamenti e proposto un sistema per classificare il rischio di infezione da SARS-Cov-2 come elevato, medio o basso, in base al potenziale contatto con persone che possono essere o sono infettate (www.osha.gov/Publications/OSHA3990.pdf). La definizione di basso, medio e alto rischio di decesso causato da Covid-19 si basa sull’età e sulla presenza di condizioni cliniche croniche. Le persone ad alto rischio per entrambe le condizioni dovrebbero prendere in considerazione di interrompere il lavoro e quelle con una condizione ad alto rischio ed una a rischio medio dovrebbero discuterne con il proprio medico. I medici debbono informare riguardo i rischi che corrono i contatti di infettarsi.

Marc R. Larochelle

“Is It Safe for Me to Go to Work?” Risk Stratification for Workers during the Covid-19 Pandemic

NEJM May 26, 2020

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2013413?query=C19&cid=DM92634_NEJM_Registered_Users_and_InActive&bid=205847043

Tieniti aggiornato sull’argomento. Accedi al portale dedicato

Pubblicato il 5/6/2020

COVID E DISABILITA’: ECCO LE FAQ DEL MINISTERO

Nuovo Coronavirus: domande frequenti sulle misure per le persone con disabilità

È disponibile un nuovo sito istituzionale con tutte le informazioni relative alle misure da attuarsi in condizioni di emergenza covid per le persone portatrici di disabilità. Il sito viene puntualmente aggiornato

Potete consultarlo al sito:

http://disabilita.governo.it/it/notizie/nuovo-coronavirus-domande-frequenti-sulle-misure-per-le-persone-con-disabilita/

LA NUOVA CIRCOLARE SU RICERCA E CONTATTI COVID 19

Ecco in sintesi la nuova circolare:

Tre gli interventi: rapida identificazione di caso probabile

1. fornire informazioni e indicazioni alle persone che sono entrate in contatto con soggetti positivi

2.tampone ma solo a chi sviluppa i sintomi.

3. Agli asintomatici solo a fine quarantena e se ci sono le risorse. Preminente il ruolo dei Dipartimenti di Prevenzione delle Asl.

LA CIRCOLARE

FORSE IMMUNITA’DI BREVE DURATA PER IL COVID19

Da il giornale.it

. La verità sullo scudo anti-virus

di "Dopo sei mesi torna l'incubo". La verità sullo scudo anti-virus31 Maggio 2020 – 21:06

Uno studio olandese su 10 pazienti di sesso maschile ha messo in luce come, dopo l’infezione con i 4 coronavirus più comuni, la maggior parte di essi ha perso il 50% degli anticorpi dopo 6 mesi ed il 75% entro un anno. Se ormai è ampiamente confermato che chiunque entri a contatto con il Coronavirus sviluppa gli anticorpi (ed è la buona notizia), molto meno si sa sulla durata degli stessi. Secondo uno studio dell’Universtità di Amsterdam, uno dei più recenti al mondo ed in fase di pre-pubblicazione, l’immunità al Sars-CoV-2 potrebbe durare solamente sei mesi (ed è la notizia meno buona). È per questo che gli olandesi mettono in dubbio l’utilità dell’introduzione dei cosiddetti “passaporti di immunità”, non ci sarebbero i presupposti per affermare con certezza che una persona guarita dal Covid-19 non possa esserne reinfettata.

Lo studio olandese

Nell’attuale pandemia di Sars-CoV-2, una domanda chiave irrisolta è la qualità e la durata dell’immunità acquisita negli individui guariti” si legge nella prefazione allo studio, interrogativo fondamentale per capire se il virus potrà fare meno paura o no. “Sembrano tutti indurre un’immunità di breve durata con una rapida perdita di anticorpi” , hanno affermato i ricercatori, basandosi sullo studio di 10 persone per un periodo di 35 anni, dal 1985 al 2020 con un totale di 2473 tra osservazioni e monitoraggi a persona in ogni mese dell’anno, per determinare il livello di anticorpi in seguito all’infezione da uno dei quattro coronavirus stagionali, gli Alphacoronavirus ed i Betacoronavirus, ed il periodo di tempo che è trascorso tra un’infezione ed un’altra dello stesso virus. Entrambe le analisi hanno riscontrato una durata definita “allarmante” per l’immunità protettiva nei confronti dei coronavirus, riscontrando nuove e frequenti infezioni a distanza di 12 mesi dalla prima ed una sostanziale riduzione dei livelli degli anticorpi appena sei mesi dopo aver contratto i virus.

Molte incertezze. I ricercatori sottolineano come non sia ancora chiaro quanto possa durare l’immunità protettiva derivata dal Covid-19. Secondo lo studio, le reinfezioni saranno probabilmente dettate da due variabili: “l’esposizione al virus e la qualità di immunità sostenuta“, scrivono i ricercatori. In parole povere, si valuta quanto tempo un paziente è stato sotto attacco del Covid (se l’infezione è passata in poco tempo o se si è guariti dopo molte settimane) e quanti anticorpi ha prodotto l’organismo. La risposta anticorpale non è uguale per tutti: c’è chi ne produce di più e chi meno. Chiaramente, chi ha più anticorpi potrebbe avere una “tenuta” più estesa nel tempo, ma non infinita.

I coronavirus stagionali. Esistono quattro specie di coronavirus stagionali, tutti associati ad infezioni lungo le vie respiratorie ma prevalentemente di lieve entità. Oltre a provocare i comuni raffreddori, i quattro virus sono biologicamente diversi: due di loro appartengono al genere Alphacoronavirus, gli altri due ai Betacoronavirus. Questi virus usano molecole recettoriali caratteristiche per entrare in una cellula “bersaglio”, ma non tutti entrano nello stesso tipo di cellula epiteliale nei polmoni. Per questa loro variabilità, i coronavirus stagionali sono il gruppo virale più rappresentativo da cui ricavare le caratteristiche generali, i punti chiave sono l’immunità protettiva e la suscettibilità alla reinfezione. Dal momento che la maggior parte delle persone, spiegano i ricercatori, sperimenta la prima infezione da coronavirus stagionale durante la prima infanzia (4-6 anni), da quel momento possono essere studiate le reinfezioni che accadono negli anni successivi. Lo scopo dello studio è di mettere in luce il periodo di tempo che passa tra le reinfezioni dei coronavirus e la dinamica degli anticorpi, come questi diminuiscano dopo l’infezione. Questi parametri sono stati valutati misurando la risposta immunitaria ad ogni singolo coronavirus stagionale per un periodo prolungato.

Frequenza di infezioni e reinfezioni. Lo studio è stato condotto su 10 maschi adulti, iniziato nel 1985 e continuato fino al 2020 a intervalli regolari (ogni 3 mesi prima del 1989 ed ogni 6 mesi successivamente). All’inizio dello studio, l’età dei soggetti variava da 27 a 40 anni; prima della fine del follow-up (monitoraggio), i soggetti avevano dai 49 ai 66 anni. Questa ricerca è stata approvata dal Comitato di etica medica del Centro medico dell’Università di Amsterdam.

Dinamica degli anticorpi dopo l’infezione. In alcuni casi, le reinfezioni si sono già verificate sei mesi dopo la prima (su due pazienti) e 9 mesi dopo (in un altro paziente) ma la maggior parte delle volte i nuovi contagi avvenivano a partire dal dodicesimo mese in poi, un po’ come capita a tantissima gente con le influenze stagionali. L’unica “certezza”, quindi, che non ci reinfetta prima di sei mesi. La dinamica più importante è rappresentata dalla tabella allegata in basso con la lettera C che mostra come, entro i 6 mesi dall’infezione, la maggioranza delle persone ha perso il 50% dei loro anticorpi, arrivando al 75% dopo un anno. Un ritorno completo ai livelli base si è verificato entro 4 anni per la metà delle infezioni dei coronavirus stagionali. Quindi, l’immunità protettiva può essere compresa in un intervallo di tempo che va, mediamente, dai 6 ai 12 mesi. Allo scadere dell’anno, si sarebbe nuovamente esposti come la prima volta.

Caratteristiche d’infezione e perdita di anticorpi nel tempo

Infezioni da coronavirus in stagioni variabili. I ricercatori sottolineano come, ad oggi, non sia chiaro se anche Sars-Cov-2 diventerà stagionale ed avrà un picco di prevalenza invernale come osservato per i coronavirus stagionali nei Paesi non equatoriali. Le 4 tipologie di coronavirus oggetto del loro studio, gli Alphacoronavirus ed i Betacoronavirus, chiamati anche “coronavirus umani comuni“, mostrano un tipico andamento stagionale e, da maggio a settembre, mostrano la più bassa probabilità di infezione annuale. I ricercatori, quindi, nel loro studio specificano come, in natura, si verificano reinfezioni con tutti i coronavirus stagionali, la maggior parte delle quali entro 3 anni. Se anche Sars-Cov-2 si comporterà come un coronavirus stagionale, ci si può aspettare un andamento simile agli altri.

Probabilità mensile di infezione dei 4 coronavirus stagionali

Test sierologici, vaccino ed immunità di gregge: tutti i dubbi

I ricercatori olandesi mettono a fuoco un rischio che potrebbe presentarsi nel prossimo futuro: i test basati sulla sierologia per misurare il livello degli anticorpi per le infezioni da Covid-19, potrebbero essere praticamente inutili se l’infezione si sarà verificata più di un anno prima del contagio. Inoltre, gli studi sui vaccini dovrebbero anticipare che l’immunità protettiva prolungata può essere incerta per i coronavirus e che potranno essere necessarie vaccinazioni annuali o semestrali per aggirare la trasmissione in corso. Lo stesso discorso di incertezza è legato alle immunità di gregge, che si verificano quando un’alta percentuale della popolazione diventa immune da un determinato agente patogeno, proteggendo anche gli individui non immuni contro l’infezione e limitandone la diffusione complessiva. Questo effetto è stato osservato per una gran varietà di virus come quello dell’epatite A, il virus dell’influenza A ed il papilloma virus umano. Però, nel caso del Covid-19, raggiungere l’immunità di gregge potrebbe essere molto improbabile a causa della rapida perdita dell’immunità protettiva. I ricercatori, dal canto loro, sottolineano come, per confermare tutto ciò, saranno “necessari ulteriori screening, il nostro studio è stato soggetto a limitazioni”, tra cui l’incapacità di sequenziare il genoma del Covid durante l’infezione. “In conclusione, i coronavirus umani stagionali hanno poco in comune, oltre a causare il raffreddore – affermano gli studiosi – Tuttavia, sembrano tutti indurre un’immunità di breve durata con una rapida perdita di anticorpi. Questo potrebbe anche essere un denominatore comune per i coronavirus umani“.

SCREENING SIEROLOGICI E LA GESTIONE DEI CASI POSITIVI.

Da Punto sicuro.it

Venezia, 26 Mag – Due aspetti critici per ogni azienda che abbia ripreso le attività lavorative o che le abbia potute continuare durante tutta l’emergenza COVID-19 è relativo alla eventuale effettuazione di test di screening e alla gestione di casi positivi in azienda.

Quando e come effettuare i test? Come gestire i casi positivi? Quali sono gli scenari plausibili e come comportarsi?

 

Per avere qualche suggerimento possiamo fare riferimento ad un documento regionale, arrivato alla sua undicesima versione (29 aprile 2020), che offre utili indicazioni per la riapertura delle attività produttive.

Stiamo parlando del documento della Regione Veneto “Nuovo coronavirus (SARS-CoV-2). Indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari – Manuale per la riapertura delle attività produttive” destinato, in particolare, ai soggetti con ruoli e responsabilità in materia di salute nei luoghi di lavoro.

L’articolo si sofferma sui seguenti argomenti:

Come gestire i casi positivi in azienda?

Il documento – elaborato dall’Area Sanità e Sociale – Direzione Prevenzione, Sicurezza alimentare, Veterinaria della Regione Veneto – si sofferma sulla gestione dei casi positivi nel territorio regionale.

 

Si indica che eventuali casi di infezione dal virus SARS-CoV-2 (tampone naso-faringeo positivo) “andranno tempestivamente segnalati alle strutture competenti (Servizio Igiene e Sanità Pubblica o Medico di Medicina Generale), per la presa in carico da parte del Servizio Sanitario Regionale secondo le procedure previste. Diversamente, casi di possibile/probabile infezione (test sierologici suggestivi di infezione in atto) andranno gestiti dal Medico Competente e segnalati al Servizio Sanitario Regionale solo a seguito di eventuale positività al tampone naso-faringeo di conferma”.

 

Si segnala poi che in caso di riscontro di “casi positivi tra lavoratori di aziende terze che operano nello stesso sito produttivo (es. manutentori, fornitori, addetti alle pulizie o ai servizi di vigilanza), appaltatore e committente dovranno collaborare con l’autorità sanitaria fornendo elementi utili all’individuazione di eventuali contatti stretti”.

 

Si precisa poi che, in relazione alle conoscenze attuali relative al SARS-CoV-2, nel caso di un “contatto indiretto (vale a dire un contatto avvenuto con persona che a sua volta abbia avuto un contatto stretto con un soggetto risultato positivo), qualora il soggetto non presenti alcun sintomo e comunque fino a quando non venga eventualmente classificato come un contatto diretto, non si rendono necessari particolari provvedimenti sanitari o misure di prevenzione aggiuntive rispetto alle raccomandazioni espresse per la popolazione generale”.

 

Sempre riguardo a questo tema il documento riporta poi alcuni scenari plausibili “con le indicazioni operative ritenute appropriate per una loro corretta gestione, eventualmente da integrare avvalendosi della collaborazione del Medico Competente, anche nell’ambito di iniziative di informazione/formazione.

Questi gli scenari analizzati:

  • Lavoratore sottoposto alla misura della quarantena che non rispettando il divieto assoluto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora si presenta al lavoro;
  • Lavoratore che riferisce di essere stato nei 14 giorni precedenti a contatto stretto con un caso di COVID-19 che si presenta al lavoro;
  • Lavoratore che, inizialmente asintomatico, durante l’attività lavorativa sviluppa febbre e sintomi respiratori (tosse e difficolta respiratoria);
  • Lavoratore asintomatico durante l’attività lavorativa che successivamente sviluppa un quadro di COVID-19;
  • Lavoratore in procinto di recarsi all’estero in trasferta lavorativa (qualora consentito ai sensi dei provvedimenti nazionali);
  • Lavoratore in procinto di rientrare dall’estero da trasferta lavorativa.

L’uso razionale e giustificato dei test di screening

Veniamo all’uso razionale e giustificato dei test di screening e cerchiamo di capire come la Regione Veneto affronta questo tema spinoso.

Si indica che allo stato attuale “non è richiesto, al Medico Competente, alcun controllo sanitario aggiuntivo dei lavoratori legato all’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2. Tuttavia, in previsione di una graduale ripresa delle attività produttive, è in corso un progetto pilota sperimentale di livello regionale finalizzato a caratterizzare la circolazione virale nella popolazione lavorativa e ad acquisire informazioni sulla validità dei diversi test diagnostici disponibili”.

 

In questo senso “l’effettuazione di test di screening su lavoratori asintomatici da parte, o sotto la supervisione, del Medico Competente (tampone naso-faringeo, test sierologici e, se validati dalle competenti strutture tecnico-scientifiche pubbliche, test sierologici rapidi) potrà avvenire nell’ambito della sorveglianza sanitaria, con oneri a carico del Datore di Lavoro. Resta inteso che l’inquadramento diagnostico e la gestione dei soggetti sintomatici è a carico delle strutture del Sistema Sanitario Nazionale”.

 

In ogni caso – continua il documento – per l’effettuazione dei test “dovranno essere rispettate le seguenti condizioni:

  • idoneità del personale sanitario coinvolto, sia in termini di qualificazione e capacità tecniche, sia di misure di prevenzione e protezione;
  • rispetto degli standard per l’effettuazione dei test, in ogni loro fase (dalla predisposizione dei locali al conferimento al laboratorio autorizzato);
  • rispetto dei flussi informativi e degli obblighi di notifica alle strutture sanitarie competenti;
  • corretta comunicazione degli esiti ai lavoratori coinvolti”.

 

Il documento regionale precisa infine che, secondo le indicazioni del Ministero della Salute ( Lettera circolare n. 11715 del 3 aprile 2020), “sebbene l’impiego di kit commerciali di diagnosi rapida virologica sia auspicabile e rappresenti un’esigenza in situazioni di emergenza, gli approcci diagnostici al momento tecnicamente più vantaggiosi e attendibili rimangono quelli basati sul rilevamento di RNA virale in secrezioni respiratorie (tampone naso-faringeo), da eseguire presso i laboratori di riferimento regionali e i laboratori aggiuntivi individuati dalle Regioni. I test sierologici basati sull’identificazione di anticorpi IgM e IgG specifici necessitano di ulteriori evidenze sulle proprie performance e utilità operativa e non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi naso-faringei secondo i protocolli indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Pertanto, ad oggi l’uso su larga scala di test sierologici a fini diagnostici individuali, nonché, nei contesti occupazionali, per l’espressione del giudizio di idoneità alla mansione, risulta improprio e prematuro, essendo possibile solo a seguito di validazione da parte delle strutture tecnico-scientifiche nazionali o nell’ambito delle indagini preliminari di carattere sperimentale sopra citate”.

 

Ilruolo del medico competente e la sorveglianza sanitaria

Riportiamo, in conclusione, alcune indicazioni relative al ruolo del medico competente e la sorveglianza sanitaria.

 

Si indica che “nell’ambito della sorveglianza sanitaria, coerentemente con le previsioni del protocollo nazionale, dovranno essere garantite prioritariamente visite mediche pre-assuntive, preventive, per cambio mansione, a richiesta del lavoratore e per rientro dopo assenza per motivi di salute superiore a 60 giorni continuativi”. E per quanto riguarda le visite mediche periodiche, “esse rappresentano certamente un’occasione utile per intercettare possibili casi o soggetti a rischio, nonché per le informazioni e le raccomandazioni che il Medico Competente può fornire nel corso della visita. Pur ritenendo, in linea con le indicazioni operative del Ministero della Salute, che visite mediche ed accertamenti periodici, senza alcun effetto pregiudizievole per la salute dei lavoratori, possano essere differiti per un tempo strettamente limitato al persistere delle misure restrittive adottate a livello nazionale, si prende atto che i provvedimenti di livello nazionale confermano la necessità di non sospendere la sorveglianza sanitaria periodica”.

In ogni caso – continua il documento regionale – “per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria dovranno essere garantite al Medico Competente le condizioni per poter operare in sicurezza”.

 

Inoltre “le precedenti indicazioni regionali, che prevedevano la facoltà, stante l’esigenza superiore di tutela della salute pubblica, di esprimere il previsto giudizio di idoneità anche a seguito di valutazione documentale e/o valutazione a distanza, se ritenuta sufficiente dal Medico Competente per l’espressione del giudizio stesso (es. valutazione a distanza, somministrazione di questionari anamnestici), non sono in linea con le recenti raccomandazioni ministeriali. Pertanto, pur ritenendo che tale misura eccezionale ma coerente con analoghe disposizioni adottate anche a livello nazionale (es. possibilità per i Medici di Medicina Generale di certificare lo stato di malattia a seguito di valutazione telefonica; possibilità per le commissioni istituite presso le Aziende Sanitarie Locali di esprimere giudizi a seguito di sola valutazione documentale), sia funzionale a ridurre le occasioni di contatto e di spostamento, a tutelare i lavoratori da un possibile contatto stretto con il Medico Competente, potenziale diffusore del virus, a tutelare il Medico Competente da esposizioni a rischio, nonché a consentirgli di prestare la propria assistenza ad un numero maggiore di soggetti (lavoratori, aziende), si prende atto dell’indicazione del Ministero della Salute circa l’imprescindibilità del contatto diretto tra Medico Competente e lavoratore”.

Inoltre, ai sensi delle indicazioni ministeriali, “per i lavoratori positivi all’infezione da SARS-CoV-2 per i quali è stato necessario un ricovero ospedaliero, oltre alla certificazione di avvenuta negativizzazione al tampone naso-faringeo da parte dei Dipartimenti di Prevenzione territorialmente competenti, è prevista la visita medica precedente la ripresa dell’attività lavorativa indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia”.

 

Rimandiamo, in conclusione, alla lettura integrale del documento regionale che riporta ulteriori raccomandazioni per il medico competente e che si sofferma anche su altri aspetti correlati alla prevenzione del contagio da COVID-19:

  • Pulizia, decontaminazione e aerazione degli ambienti di lavoro
  • Informazione ai lavoratori e a tutti i frequentatori dell’azienda
  • Limitazione delle occasioni di contatto
  • Rilevazione della temperatura corporea
  • Distanziamento tra le persone
  • Igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie
  • Dispositivi di protezione individuale.

 

Tiziano Menduto

 

 

Scarica il documento da cui è tratto l’articolo:

Regione Veneto, Area Sanità e Sociale – Direzione Prevenzione, Sicurezza alimentare, Veterinaria, “ Nuovo coronavirus (SARS-CoV-2). Indicazioni operative per la tutela della salute negli ambienti di lavoro non sanitari – Manuale per la riapertura delle attività produttive”, versione 11 del 29 aprile 2020 (formato PDF, 407 kB).

VITAMINA D CONTRO GLI EFFETTI DEL COVID-19

Il mantenimento dei normali livelli plasmatici di vitamina D (VitD) non solo può giocare un ruolo nel ridurre i rischi di infezioni acute delle vie respiratorie, ma potrebbe essere importante per il trattamento di due sintomi tipici della malattia da Covid-19, quali l’anosmia e l’ageusia, ossia rispettivamente la perdita dell’olfatto e del gusto lamentati da più pazienti. E’ questo, in sintesi, il contenuto della lettera pubblicata questo mese sull’American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, che un gruppo di ricercatori di varie istituzioni italiane (IDI-IRCCS di Roma, ISA-CNR di Avellino e Ospedale S. Andrea di Roma) e di una università americana (Augusta University, Augusta, Georgia), coordinati da Francesco Facchiano del Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS, ha scritto in risposta ad un’altra lettera pubblicata ad aprile sulla medesima rivista. Lettera in cui lo studioso Hrvoje Jakovac, dell’Università di Rijeka (Croazia), indagava su “COVID-19 and vitamin D-Is there a link and an opportunity for intervention?”.

“Sulla base di un’ampia meta-analisi pubblicata nel 2017 che riporta una revisione sistematica di studi randomizzati controllati – spiega Facchiano – confermiamo ciò che ha proposto il collega croato, ossia il potenziale impatto benefico dell’integrazione di VitD contro le infezioni acute delle vie respiratorie. Inoltre, sottolineiamo che l’anosmia e l’ageusia, sintomi osservati nei pazienti affetti da COVID-19, sono state rilevate anche in soggetti con deficit di VitD. In letteratura è poi riportato che i pazienti affetti dalla sindrome di Kallmann, una rara forma congenita di ipogonadismo ipogonadotropico, presentano spesso diverse caratteristiche comuni ai pazienti affetti da COVID-19 come: ipo- o anosmia, maggiore frequenza della malattia nei soggetti di sesso maschile, nonché bassi livelli di VitD. Perciò, queste ricerche sottolineano la necessità, attraverso approfonditi studi epidemiologici, di raccogliere dati dai pazienti per correlare l’infezione da COVID-19 e l’assetto ormonale dei pazienti stessi”.

Attualmente – concludono gli studiosi nella lettera – sono in corso numerosi trial clinici, ad esempio negli USA, che mirano a testare l’integrazione di VitD nei pazienti con COVID-19 in combinazione con altri farmaci e a confrontare l’effetto di dosi elevate rispetto alle dosi standard. I risultati di questi studi saranno fondamentali per verificare l’utilità di un’integrazione di VitD per i pazienti COVID-19”.

INDICAZIONI TESTS SIEROLOGICI IN LOMBARDIA

Regione Lombardia ha approvato due nuove delibere, la dgr 3131 contenente indicazioni in merito all’utilizzo di test sierologici da parte del Servizio Sanitario Regionale e il loro utilizzo extra SSR, vale a dire nel caso in cui si intenda effettuare in uno specifico ambito collettivo (esempio in ambito aziendale) un percorso di screening dei soggetti appartenenti a tale collettività, e la dgr 3132 in materia di trattamento informativo ed economico rispetto ai test molecolari (tampone) in ambito SSR.

Le indicazioni contenute nella dgr 3131 per una prima parte riguardano l’utilizzo in ambito SSR dei test sierologici per la valutazione epidemiologica della sieroprevalenza della popolazione generale e fa riferimento:
 al percorso di screening già in essere per gli operatori sanitari e socio sanitari, sia ospedalieri che della medicina territoriale;
 a collettività con presenza di soggetti fragili (ospiti di particolari collettività chiuse e gli operatori delle stesse);

 ai percorsi di riammissione nella vita sociale delle persone poste in isolamento domiciliare durante la fase del lock-down.

Nella seconda parte la dgr 3131, richiamando l’art. 2, comma 6, del DPCM 26 aprile 2020 che dispone l’attuazione di quanto previsto nel “Protocollo condiviso del 24 aprile c.a. ove si prevede che il medico competente, in osservanza delle indicazioni delle Autorità Sanitarie, possa suggerire al datore di lavoro l’utilizzo di eventuali mezzi diagnostici extra Servizio Sanitario Regionale, quindi a pagamento, qualora ritenuti utili al fine
del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori, si dettano le seguenti indicazioni:
 va data comunicazione ad ATS del percorso di screening riportando le seguenti informazioni:
 il medico, responsabile per gli aspetti sanitari del percorso;
 il numero dei soggetti che si prevede di coinvolgere;
 il laboratorio che effettua il test rapido, qualora previsto come primo step, stante che i test rapidi
essendo di natura puramente qualitativa possono solo indicare la presenza o assenza di anticorpi e
sono di scarsa o inadeguata affidabilità;
 la documentazione relativa al test rapido che si intende utilizzare;
 il laboratorio che effettua il test sierologico con metodica raccomandata CLIA o ELISA o equivalenti
(che abbiano una specificità non inferiore al 95% e una sensibilità non inferiore al 90%, al fine di
ridurre il numero di risultati falsi positivi e falsi negativi);
 la documentazione relativa al test sierologico con metodica CLIA o ELISA o equivalenti;
 la documentazione atta a comprovare di avere informato i soggetti coinvolti:
o sul significato dello screening e dei test,
o dell’invio dell’esito positivo del sierologico ad ATS,
o dell’isolamento domiciliare a seguito di positività del sierologico con metodica CLIA o ELISA
o equivalenti, fino all’esito negativo del test molecolare (tampone);
 la documentazione circa la volontarietà di adesione a tutto il percorso di screening e la modalità di trattamento dei dati sanitari;
 l’evidenza della disponibilità di test (tampone) per la ricerca del genoma virale, acquisita oltre la quota che deve essere garantita dalla rete dei laboratori per COVID-19 per il SSR; tale quota deve essere pari ad almeno il 10% del numero di soggetti arruolati;
 la disponibilità può essere acquisita sia dai laboratori della rete lombarda dei laboratori per COVID-19 oppure al di fuori purché il laboratorio sia nella rete dei laboratori per l’effettuazione del test molecolare riconosciuti dal Ministero della Salute;
 i laboratori accreditati ed autorizzati inseriti nella rete lombarda dei laboratori per COVID-19 devono processare in via prioritaria i tamponi secondo le indicazioni regionali e per quantitativi non inferiori
a quelli che verranno definiti con apposita delibera indicante altresì la tariffa del test.

Inoltre, si precisa che i relativi costi non sono in carico al SSR e l’eventuale referto di positività del test sierologico con metodica CLIA o ELISA o equivalenti deve essere comunicato alla ATS di residenza del soggetto, attraverso gli appositi flussi predisposti secondo specifiche indicazioni regionali, indicando i dati anagrafici, un recapito telefonico, il referto del test, la data di avvio dell’isolamento fiduciario, la data prevista per l’effettuazione del tampone, e comporta altresì l’avvio del percorso di sorveglianza di caso sospetto.
Infine, la dgr 3132 stabilisce che il test molecolare per COVID-19 in ambito SSR sia classificabile come prestazione esonerata dalla compartecipazione dell’assistito alla spesa trattandosi di misure di sanità pubblica e ne regola la tariffa da riconoscere all’erogatore.

DA CISL Lombardia