Intanto dai territori arriva la richiesta di indicazioni univoche: “Sarebbe opportuno che il Governo desse delle linee guida sui test sierologici per tutte le Regioni e che lo facesse in fretta, perché altrimenti rischiamo che ognuno vada per conto suo”, afferma il presidente della Liguria Giovanni Toti. I test saranno “fondamentali per rimandare le persone a lavorare”, dice. In realtà, però, Regioni e città già hanno iniziato a procedere per proprio conto. La Toscana ha annunciato oggi un accordo con 61 laboratori privati che permetterà di effettuare test sierologici per 400.000 persone, includendo anche i lavoratori dei servizi essenziali. Ed anche il caso del Lazio dove, nei prossimi giorni, partirà una campagna con 300 mila test per tutto il personale sanitario, le Rsa e le forze dell’ordine.
In Lombardia, invece, saranno effettuati 20.000 test sierologici al giorno, dal 21 aprile, cominciando dagli operatori sanitari e dai cittadini che devono tornare al lavoro con particolare riferimento alle province di Bergamo, Brescia, Cremona e Lodi. La Campania ha invece deciso lo stop ai test sierologici nei laboratori privati accreditati, perchè non potrebbero essere garantite le misure di contenimento. Si attende comunque un parere del Ministero. E poi ci sono le iniziative dei singoli comuni: Robbio, nel pavese, ha proposto ai cittadini un test sierologico di massa su base volontaria, come sta già avvenendo a Cisliano, nel Milanese, dove stamani almeno 200 persone si sono messe in fila per aderire all’iniziativa.
Ma i test “dovrebbero essere fatti a tutta la popolazione”, afferma il primario della clinica Malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti. “Un Paese maturo e organizzato – ha commentato a Tv2000 – deve rendere disponibili i test a tutti. Potrebbe essere uno strumento utile, insieme a misure di distanziamento e mascherine sui luoghi di lavoro, per tornare presto alla normalità”, con chi ha sviluppato l’immunità che “può tornare a lavorare”.
La curva non scende
La curva non scende e, ad eccezione della Lombardia, l’epidemia di Covid-19 in Italia continua a stazionare su un altopiano, in alcuni casi ormai da più di tre settimane: sono gli indici di una situazione che il fisico Federico Ricci Tersenghi, dell’Università Sapienza di Roma, giudica “abbastanza invariata”. Il numero dei malati è aumentato di 675 in 24 ore contro l’aumento di 1.363 del giorno precedente: un dato solo in apparenza positivo, ma “poco significativo perché sono dati che seguono l’andamento dei tamponi, che nei giorni di Pasqua probabilmente non sono stati fatti o si sono ridotti”.
E’ aumentato anche il numero dei decessi, con 602 in più, mentre restano i dati positivi dell’aumento dei guariti, con 1.695 più di ieri, e della riduzione dei ricoveri nelle unità di terapia intensiva: segnali di un allentamento della pressione sul Servizio sanitario nazionale, Si osserva una decrescita soltanto in Lombardia, che “si riflette un po’ nei dati nazionali”, anche se i casi della regione finora più colpita dall’epidemia rappresentano ormai meno del 50% dei casi complessivi. Si nota un leggero calo anche in Emilia Romagna e nelle Marche: “si tratta di una flessione molto piccola, ma sufficiente per dire che due regioni non sono sul plateau”, ha osservato l’esperto. Decisamente diversa la situazione in altre regioni importanti, come Veneto, Piemonte, Liguria e Toscana: “da 25 giorni – ha rilevato Ricci Tersenghi – queste regioni continuano ad avere un numero costante di decessi giornalieri”.
Il Piemonte, per esempio, si è attestato da due-tre settimane sulla media di 70 decessi al giorno, al netto delle fluttuazioni giornaliere; dallo stesso periodo i decessi giornalieri registrati in Veneto sono su una media di 30, in Liguria 20 e in Toscana poco al di sotto di 20. “E’ uno scenario complessivo nel quale i valori non decrescono e compatibile con i modelli matematici che descrivono situazioni nelle quali l’indice di contagio R è uguale a 1″, in cui cioè ogni individuo che ha l’infezione può contagiarne un altro. Emerge così che “il lockdown dell’11 marzo ha prodotto una situazione stazionaria e non di forte decrescita”. I motivi, secondo il fisico, potrebbero essere molteplici, a partire dai contagi avvenuti in famiglia e tra le mura di casa fino a quelli originati da alcuni focolai, come è avvenuto nel caso in alcune residenze per anziani e in alcuni ospedali: “queste situazioni hanno tenuto i numeri attivi, che invece avrebbero dovuto diminuire”.
La speranza si concentra sui dati che descrivono gli effetti del lockdown del 23 marzo: “siamo ormai a 22 giorni dal provvedimento che ha deciso la chiusura di molte attività produttive” e quella in arrivo si annuncia come “una settimana chiave: se vedremo che i numeri andranno giù nettamente, allora potremo tirare un sospiro di sollievo”. Bisognerà poi aspettare ancora due settimane per vedere le conseguenze del fine settimana di Pasqua: “è ancora molto vicino per vederne gli effetti in termini di numero di decessi”. In alternativa, secondo l’esperto, i tamponi sarebbero l’unico mezzo in grado di dare un quadro reale della situazione reale. Tamponi e test sierologici saranno indispensabili anche in vista della fase 2: “non basterà avere un’app perché i casi vanno isolati e testati. E’ fondamentale – ha concluso – identificare tempestivamente le persone per fermare l’epidemia, altrimenti non si riuscirà a bloccarla”.
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