Novità

DEGENERAZIONE MACULARE ED ESPOSIZIONE SOLARE

L’esposizione professionale alla luce solare, in particolare alla luce blu (lunghezza d’onda di 380-550 nm), è un fattore di rischio per diverse patologie, tra cui il danno fotochimico retinico cronico e, più specificamente, la degenerazione maculare legata all’età (AMD). Inoltre, oltre all’effetto della luce blu, ci sono prove del ruolo della luce ultravioletta vicina (UV-A) come fattore di rischio per AMD poiché, data la lunghezza d’onda, un preciso “punto di svolta” tra effetto e nessun effetto è non definibile.

METODI E RISULTATI: Questo lavoro riporta il caso di una donna impiegata nel settore agricolo dai 15 ai 25 anni di età, senza una significativa esposizione professionale ad altri fattori di rischio per AMD, che in seguito ha sviluppato questa patologia. Il caso è di particolare interesse dato che ha lavorato come “mondina”, un compito che prevede il trapianto di giovani piantine di riso in campi allagati dall’acqua e il controllo manuale delle erbe infestanti. Questa pratica, sebbene sostituita dall’introduzione di pesticidi, ha comportato l’esposizione alla luce solare riflessa sulla superficie dell’acqua oltre all’esposizione diretta alla luce naturale.

CONCLUSIONE: Questo breve case report sottolinea che l’esposizione professionale alla componente a lunghezza d’onda corta della luce visibile e dei raggi UV-A merita ulteriore attenzione per quanto riguarda le misure preventive e l’adozione di adeguati dispositivi di protezione individuale, in particolare nei settori produttivi che comportano una lunga esposizione degli occhi al sole radiazione e riflettanza delle superfici circostanti. Inoltre, i casi di AMD e cataratta dovrebbero ricevere un’anamnesi occupazionale completa e accurata per un più adeguato riconoscimento del possibile ruolo dell’esposizione professionale alla radiazione solare nell’induzione della malattia.

liberamente tradotto da dott.Alessandro Guerri medico del lavoro

DIRITTI DOVERI DEL LAVORO AGILE

Uno degli aspetti di maggiore criticità che in questi anni ha determinato una certa qual resistenza nell’abbracciare la nuova filosofia manageriale dello smart working lo si può individuare negli aspetti di salute sicurezza connessi a questa nuova forma di esecuzione della prestazione lavorativa.

Ma lo smart working non è lavoro da casa, è invece in modo più ampio anche rispetto al telelavoro, una modalità di esecuzione della prestazione lavorativa che si caratterizza per l’assenza di vincoli di luogo e di orario di lavoro, ma soprattutto sulla base di una nuova organizzazione del lavoro “per obiettivi”..un po’ come avviene per il personale commerciale o gli agenti di commercio.

Sul versante dell’uso degli strumenti di lavoro, innanzitutto l’art. 18, comma 2 della legge stabilisce che “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.” Va infatti ricordato che ci troviamo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato e che nel quadro generale della disciplina del TU in materia di salute e sicurezza sul lavoro la responsabilità in merito all’uso degli strumenti di lavoro e al loro corretto funzionamento è, anche nell’ambito del lavoro agile, del datore di lavoro quando gli strumenti di lavoro siano forniti dallo stesso – come già previsto del resto dall’art. 3, c. 10 D.Lgs. n. 81/2008 sopra citato.

Da questo punto di vista la legge prevede che il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Non solo, la legge espressamente richiama sul punto anche lo specifico obbligo di cooperazione cui è tenuto il lavoratore in base alle disposizioni del TU ed in particolare in base all’art. 20 del D.Lgs. n. 81/2008

In buona sostanza, proprio in forza dei principi di cui all’art. 2087 c.c., se nell’accordo di lavoro agile non è possibile limitare il carattere “agile” della prestazione – altrimenti se ne snaturerebbe la portata innovativa sul piano dell’organizzazione del lavoro – si può tuttavia responsabilizzare il lavoratore (attraverso un’adeguata informativa e una formazione mirata) a scegliere luoghi di lavoro coerenti con le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e, soprattutto, idonei all’esecuzione di una prestazione – continuativa – di lavoro, evitando di mettersi – anche solo negligentemente – in una situazione di pericolo.

Diritto alla disconnessione

Altro aspetto di grande rilevanza pratica sul versante della tutela della salute e sicurezza del lavoratore agile in relazione alla gestione dell’orario di lavoro è il richiamo al “diritto alla disconnessione” contenuto nell’art. 19, c. 1 della L. n. 81/2017: “l’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. In definitiva, nella consapevolezza (e non solo) dei rischi derivanti da un eccesso di lavoro – questo sì non controllabile – ed al fine di scongiurare i rischi connessi al superamento dei limiti di durata – giornaliera e settimanale – della prestazione lavorativa, i quali incidono sulla salute dell’individuo per effetto proprio del possibile sovraccarico di lavoro dovuto all’assenza di controllo (cd. burnout), la legge introduce nel nostro ordinamento – in modo analogo a quanto fatto dalla nuova Loi Travailfrancese – uno strumento giuridico diretto ad assicurare il rispetto dei tempi di riposo (essenziale peraltro per le nuove generazioni troppo abituate alla iperconnessione). Diritto alla “disconnessione” che qualcuno qualifica come speculare ad un “dovere di disconnessione” che spetta al datore di lavoro disciplinare nel quadro della nuova organizzazione del lavoro per “fasi, cicli e obiettivi” che caratterizza il lavoro agile (v. E. Dagnino, Il diritto alla disconnessione nella legge n. 81/2017 e nell’esperienza comparata, DRI, 4/2017).

Quasi a voler sottolineare che non è possibile parlare di “disconnessione” se prima non siano state poste con sufficiente chiarezza – nell’accordo o regolamento di lavoro agile – le basi per rendere effettivo e realmente sperimentabile il lavoro per obiettivi – che è il presupposto per questa nuova forma di organizzazione del lavoro – attraverso una gestione dei tempi di lavoro e dei tempi di riposo che sia non solo flessibile ma altresì di aiuto anche alla necessaria evoluzione del diritto del lavoro (e degli aspetti misurazione della prestazione di lavoro subordinato) nell’ambito della moderna organizzazione dell’impresa.

Tratto da Altalex

MIGLIORE E PIÙ SEMPLICE L ‘USO DI UN QUESTIONARIO NELLA VALUTAZIONE DELLA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE


Compiti mansioni lavorative caratterizzate da movimenti ripetitivi, innaturali e con richiesta di sforzo  della mano e del polso possono aumentare il rischio di sindrome del tunnel carpale (CTS) tra i lavoratori dei caseifici. La compromissione del nervo mediano può essere valutata con l’ecografia (US) e gli studi di conduzione nervosa (NCS), ma un questionario strutturato può aiutare a identificare i primi sintomi.

OBIETTIVI DELLO STUDIO

a) confrontare la sensibilità delle indagini statunitensi e NCS ( studi di conduzione nervosa)per rilevare i primi segni di CTS;

b) esplorare la correlazione dei risultati di questi due test con i sintomi di CTS ottenuti dalla somministrazione di un questionario mirato.

METODI: Sono stati reclutati quaranta lavoratori maschi della sala di mungitura. Il protocollo di studio includeva:

1) l’identificazione dei sintomi caratteristici della CTS attraverso un questionario mirato;

2) imaging del tunnel carpale (utilizzando un dispositivo ad ultrasuoni portatile;

3) NCS del nervo mediano distale.

RISULTATI: Il questionario sui sintomi è stato considerato positivo se almeno un sintomo CTS era presente entro due settimane prima dell’esame. Il questionario sui sintomi ha mostrato un alto livello di specificità (92,6%) e sensibilità (61%) rispetto ai risultati di conduzione nervosaNCS.

I risultati degli ultrasuoni hanno rivelato una prevalenza della neuropatia mediana del 55%, ma rispetto all’NCS, l’ecografia ha mostrato valori predittivi piuttosto bassi (NPV del 37% e PPV del 38%).

DISCUSSIONE: il questionario sui sintomi era associato alla patologia del nervo mediano spesso osservata nella CTS. Inoltre, i risultati dello studio hanno dimostrato che il questionario è il metodo di screening più efficace rispetto agli ultrasuoni.

 

Liberamente tradotto da dottAlessandro Guerri medico del lavoro

 

NUOVA PUBBLICAZIONE INAIL SUGLI INFORTUNI IN CAVA

Il testo vuole essere il nuovo punto di partenza per informare e sensibilizzare tutti gli addetti ai lavori, dando valore alle esperienze passate per orientare buoni comportamenti futuri. All’interno vi sono le illustrazioni di 19 infortuni, avvenuti nel comparto delle cave di Massa Carrara tra gli anni 2006 e 2016. Al termine di ogni scheda è stato previsto uno spazio ‘appunti/riflessioni’ a disposizione del singolo utilizzatore per annotare osservazioni e suggerimenti per migliorare situazioni operative presenti nelle proprie aree di lavoro.

Prodotto: Opuscolo
Edizioni: Inail – 2019
Disponibilità: Si – Consultabile anche in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

AMBIENTE E LAVORO A BOLOGNA 15/18 OTTOBRE 2019

Dal 15 al 17 ottobre torna “Ambiente Lavoro”, diciannovesima edizione del “Salone della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” che si terrà ancora una volta nei padiglioni della Fiera di Bologna. Organizzato da Bologna Fiere in collaborazione con Senaf.

La sicurezza è un lavoro di squadra. Prevenzione, benessere. Ancora una volta una tre giorni dedicata ai temi della sicurezza negli ambienti di lavoro, spazi espositivi, formazione, incontri, eventi. Un luogo di confronto e di impegno per la diffusione della cultura della sicurezza.

“Quali sono le nuove strategie da mettere in campo per consolidare una vera consapevolezza del rischio, nel datore di lavoro così come nel lavoratore stesso? Quanto conta l’innovazione tecnologica? Qual è il ruolo
giocato dai nuovi e più sofisticati ausili per la protezione negli ambienti di lavoro e come si muove
il nostro mercato in questo strategico comparto?”. Cultura del benessere, malattie professionali, con un’attenzione particolare nell’edizione 2019 riservata ai temi del rischio fisico e chimico, soccorso industriale, i rischi nella distribuzione organizzata.

Da quotidianosicurezza.it

Ambiente Lavoro
15 – 17 ottobre 2019, Bologna Fiere
ambientelavoro.it

ESPOSIZIONE A CADMIO E PIOMBO E IPOACUSIA

Il piombo e il cadmio sono stati identificati come fattori di rischio per la perdita dell’udito in studi su animali, ma  studi su larga scala della popolazione umana generale sono rari. Questo studio è stato condotto per studiare la relazione tra le concentrazioni di metalli pesanti nel sangue e i deficit uditivi.

metodi

I partecipanti allo studio comprendevano 6409 coreani di età pari o superiore a 20 anni, inclusi nel quinto e sesto sondaggio nazionali sulla salute e la nutrizione (KNHANES 2010–2013). La compromissione dell’udito è stata classificata in due tipi, la compromissione dell’udito a bassa e alta frequenza, utilizzando l’audiometria tonale . È stata definita una menomazione dell’udito a bassa frequenza con una media bilaterale di soglie uditive per 0,5, 1 e 2 kHz superiore a 25 dB e una menomazione dell’udito ad alta frequenza con una media bilaterale di soglie uditive per 3, 4 e 6 kHz superiore a 25 dB. I livelli ematici di metalli pesanti (piombo e cadmio) sono stati classificati in quartili. L’associazione trasversale tra danno uditivo e il livello di metalli pesanti (piombo e cadmio) è stata esaminata in entrambi i sessi. La regressione logistica multivariata è stata utilizzata per ottenere rapporti di probabilità adeguati (OR) e intervalli di confidenza al 95% (EC).

risultati

Tra gli uomini, la prevalenza di disturbi dell’udito sulle basse e alte frequenze era rispettivamente del 13,9% e 46,7%, che era superiore alla prevalenza tra le donne (rispettivamente 11,8% e 27,0%). Per quanto riguarda il piombo, l’OR aggiustato della compromissione dell’udito ad alta frequenza per il gruppo di livello ematico più elevato rispetto al gruppo più basso era significativo sia negli uomini (OR = 1,629, IC 95% = 1,161–2,287) sia nelle donne (OR = 1,502, IC 95% = 1.027–2.196), dopo aggiustamento per età, indice di massa corporea, istruzione, fumo, consumo di alcol, esercizio fisico, diagnosi di diabete mellito, ipertensione ed esposizione al rumore (rumore professionale, forte, arma da fuoco). Non sono stati trovati collegamenti tra i livelli di piombo nel sangue e problemi di udito sulle basse frequenze , o tra i livelli di cadmio nel sangue e problemi di udito sia  su basse che alte frequenze in entrambi i sessi.

conclusioni

I risultati del presente studio suggeriscono che anche l’esposizione a piombo a basse concentrazioni è un fattore di rischio per la perdita dell’udito sulle alte frequenze . Dovrebbe essere condotto uno studio epidemiologico prospettico per identificare la relazione causale tra la salute umana e l’esposizione ai metalli pesanti, e gli sforzi per ridurre l’esposizione ai metalli pesanti nella popolazione generale dovrebbero continuare.

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5905116/

Liberamente tradotto da dott Alessandro Guerri medico del lavoro

 

CANE E GATTO IN UFFICIO CONTRO LO STRESS

Non è la prima ricerca che giunge a questo risultato: gli animali domestici sul luogo di lavoro fanno bene ai dipendenti. Volete migliorare la qualità della vostra giornata lavorativa (o quella dei vostri dipendenti)? Portate gli animali in ufficio, in particolare il vostro cane. Fino ad alcuni anni fa era impensabile ipotizzare un ufficio abitato da cani e gatti, ma oggi sta diventando un’usanza sempre più comune. A ragione. Ecco i risultati della ricerca promossa da Mars Italia.

Animali in ufficio per lavorare meglio

La ricerca è stata condotta dal Banfield Pet Hospital di Mars (rete di cliniche veterinarie), in occasione della settimana del ‘Take your pet to work’.  Ed è giunta alla conclusione che un animale domestico rende la giornata lavorativa più piacevole e proficua. In generale, la presenza di un pet infatti riduce lo stress,favorisce il benessere, aumenta la serenità.

Se questi benefici vengono trasposti sul luogo di lavoro, ne conseguono migliori prestazioni e produttività. In particolare, la ricerca riscontra miglioramento dell’umore (anche del 93%!). Riduzione dello stress (sempre del 93%). Miglior equilibrio tra  lavoro e vita privata (91%). Maggiore attaccamento all’azienda (91%). Diminuzione del senso di colpa nel lasciare a casa il proprio pet mentre si è sul posto di lavoro (91%).

Uffici pet-friendly dunque, per rendere più gradevole la permanenza dentro essi. Una strategia che già molte aziende stanno adottando. Google incoraggia gli umani a portare il loro cane. Amazon conta oltre 2.000 dipendenti che hanno registrato il loro cane nella sede di Seattle. Dove ad attenderli trovano biscotti, fontanelle d’acqua, guinzagli, e persino un’area cani dove possono stare sciolti in tutta sicurezza. I millennials, generazione che per scelta rimanda di molto l’idea di un figlio, spesso scelgono di prendere un cane.

Ecco che dopo il child-care, il pet-care è la nuova frontiera del rendere felice il lavoratore. Anche considerato quanto costa un dog sitter o un asilo per cani quotidiano. Cani felici, lavoratori felici, aziende funzionanti: cosa volere di più?

DISLESSIA : QUANDO SUL LAVORO DA’ UNA MARCIA IN PIÙ

In occasione della settimana della dislessia (7-13 ottobre 2019) pubblichiamo un articolo apparso sulla rivista WIRED.

Si dice dislessia ma spesso si vuole dire DSA, cioè Disturbi Specifici di Apprendimento che nella dislessia hanno il disturbo più noto e diffuso, ma che comprendono anche disgrafia, discalculia e disortografia. Il tema è sempre più sentito, tanto che sia Micron che IBM hanno manifestato la disponibilità a intraprendere il percorso sperimentale proposto da DSA Progress for Work, ideato dal manager Enzo Cavagnoli, per ricevere una sorta di certificazione «dyslexia friendly», ottenuto attraverso un processo selettivo progettato dalla società di selezione del personale Axia.

Il progetto ha coinvolto diverse competenze e riflessioni. Monica Forbice, recruitment manager IBM Italia, ammette che prima di intraprendere il percorso associava i termini dislessia e altre forme di DSA a un concetto di disabilità e che si è dovuta ricredere dopo alcuni incontri sul tema: “Riteniamo che le caratteristiche dei dislessici e delle persone con DSA – spiega in un Report di Fondazione Dislessia – e in particolare la creatività, l’attitudine all’innovazione, l’abilità di adottare punti di vista non convenzionali, le eccellenti capacità interpersonali e la grande determinazione, incontrino le nostre esigenze di rinnovamento per meglio affrontare e precorrere le sfide del nuovo mondo del lavoro.”

Il rischio di cadere nella trappola opposta che da deficit si passi culturalmente a un pregiudizio di genialità diffusa è alto e viene attentamente monitorato. Negli ultimi anni, partendo dalla pubblicazione del libro Il dono della dislessia di Ronald D. Davis, la progressiva confidenza da parte di diversi manager sulle proprie difficoltà scolastiche ha messo però in luce che quelli che in un sistema formativo standard sono considerati disturbi d’apprendimento, potrebbero rappresentare opportunità in contesti depurati da quelli che rappresentano ostacoli per quelle specifiche caratteristiche neurobiologiche.

Fra i nomi dei manager e degli imprenditori che hanno trovato spinta nella loro carriera anche grazie a quello che era un ostacolo sui banchi (se non altro per la tenacia e la creatività necessaria per raggiungere obiettivi per altri scontati) compaiono quelli di Richard Branson, leader di Virgin, che ha condotto la campagna Like a Dislexic, Ingvar Kamprad di Ikea, Ted Turner, fondatore di Cnn, Henry Ford di Ford Motor Company, a Don Winkler, che nel 2000 era amministratore delegato di Ford Credit. L’ex ceo di Cisco, John Chambers, secondo un noto articolo della rivista Fortune del 2002, legge da destra a sinistra e dal basso in alto, in maniera speculare; nell’intervista sostiene di affrontare i problemi in modo diverso, visualizzando lo scenario complessivo e avendo invece difficoltà con processi più analitici e sequenziali.

Secondo il presidente della Fondazione Dislessia Bovard, “i dislessici possono avere notevoli talenti nell’elaborazione visiva e spaziale; sono intuitivi e innovativi, sviluppano modalità creative di gestione delle difficoltà e di risoluzione dei problemi; hanno eccellenti capacità di osservazione; sono abili nell’adottare punti di vista non convenzionali; sviluppano ottime relazioni umane e possono eccellere in lavori che coinvolgono la gestione del personale. Dimostrano spesso elevate ambizioni e una forte motivazione”.

Tutte qualità che avevano fatto anche ipotizzare a uno studio inglese di qualche anno fa le potenziali occupazioni in cui un dislessico poteva avere successo: disegnatore, progettista meccanico e automation engineer, direttore delle risorse umane, digital media manager marketing manager, manager del territorio. In realtà, una delle grandi capacità di chi è accompagnato durante la scuola da DSA è di uscire dalle categorie e dalle etichette, anche perché all’interno di uno stesso disturbo esistono sfumature e caratteristiche diverse, sia in termini di potenzialità che di difficoltà.

L’entusiasmo a volte virale, ha addirittura portato alcune startup a pubblicare offerte di lavoro dedicate ai dislessici, con conseguente sanzione per disparità di trattamento. Il discorso dei disturbi specifici d’apprendimento si potrebbero, in effetti, inserire nell’ambito del Diversity Management: come una donna in una cultura in cui è chiamata a farsi carico degli impegni familiari dovrà avere spazio per equilibrare i suoi impegni o pretendere che cambi la cultura, un lavoratore DSA che vive in un ambiente cognitivo e organizzativo costruito su misura da una maggioranza con caratteristiche bioneurologiche standard, può pretendere il diritto di usare le proprie energie non per affrontare ostacoli ma per costruire progresso (per sé e per gli altri). C’è poi tutto il tema del lavoro che cambia. Se il lavoro legato alle procedure potrà essere presumibilmente affrontato da un robot, i lavori collegati a un pensiero divergente rimarranno fra i punti di forza delle risorse umane.

In Italia il 22 marzo è stata depositata una proposta di legge per valorizzare l’inserimento dei DSA in azienda, attraverso una revisione dei processi di selezione (pensiamo ad esempio all’assurdità di un’analisi grafologica applicata a un disgrafico o la richiesta di leggere un testo in inglese per un dislessico) e alla creazione di una figura dedicata, in modo che sfugga dall’ambito della disabilità e venga invece costruito un potenziamento delle abilità. Il testo che ha guidato la costruzione della proposta di legge è il report di Fondazione Dislessia su lavoro e Welfare. La questione di un’innovazione nei processi di selezione si deve porre se ci si vuole collegare senza pregiudizi al mondo della scuola: Il 4% della popolazione studentesca che si affaccia ogni anno al mondo del lavoro (composta ogni anno da circa 300 mila persone) risulta essere caratterizzato da DSA, quindi circa 12 mila candidati potrebbero non vedere valorizzate le loro potenzialità con metodi di selezione non adeguati.

In realtà la dispersione di potenziali interessanti esiste già alla soglia dell’università, dove non venivano estesi i diritti presenti a scuola. Anche sul fronte della proposta di legge, però, la paura dell’Associazione Italiana Dislessia è di un assistenzialismo che non gioverebbe a nessuno, posizione ribadita in una nota alla proposta di legge.

Già nelle scuole la mancata conoscenza approfondita delle diverse caratteristiche e un appiattimento del cosiddetto pdp (piano didattico personalizzato) hanno portato a non valorizzare le potenzialità e a vedere le facilitazioni come scappatoia all’impegno, che invece è sicuramente stato un elemento fondamentale nel successo dei grandi nomi ora collegati alla dislessia. Il prossimo fronte di intervento, anche culturale, trascurato quando si parla solo di DSA, potrebbe essere quello dell’ A.D.H.D, cioè dell’iperattività (caratteristica accusata di essere medicalizzata invece che compresa).

Opportunità (inclusione, riconoscimento sociale e rigenerazione di talento) e rischi (creazione di “categorie protette”, distrazione di fondi welfare, moda culturale) ci sono tutti. La serietà nella costruzione dei processi di selezione, formazione e Diversity Management farà la differenza.

COME INAIL SCONTA CHI FA PREVENZIONE

L’Inail premia con uno “sconto”, sul tasso di premio applicabile, denominato “oscillazione per prevenzione“, le aziende che eseguono interventi per il miglioramento delle condizioni di prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in aggiunta a quelli previsti dalla normativa in materia (d.lgs. 81/2008 e s.m.i.).

Le aziende possono inoltrare domanda all’INAIL, relativamente ad interventi realizzati nell’anno precedente, entro il 28 febbraio, per via telematica, utilizzando il modulo OT24. La riduzione è applicata nella misura fissa dell’8% per i primi due anni. Dal terzo anno il tasso di riduzione varia a seconda delle dimensioni aziendali, e va dal 5% per le grandi imprese, al 28% per le micro imprese.

Promozione della salute nei luoghi di lavoro – Navigando nel sito internet dell’Ente, emerge un dato interessante: la tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, contempla altresì la salute dei lavoratori, intesa non soltanto come “forza lavoro”, ma come singoli individui, portatori di specifiche esigenze e necessità nel vivere quotidiano di ciascuno.

Nella sezione del sito Inail dedicata alle pubblicazioni, infatti, è disponibile una nuova scheda informativa curata dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Istituto, che prende in esame la promozione della salute e del benessere psicofisico di lavoratrici e lavoratori.

L’INAIL pertanto, come già accade nel resto del mondo, sposta la propria attenzione dal luogo di lavoro all’individuo, inteso sia come lavoratore che come soggetto sociale. In questa prospettiva, si pone al centro la persona ancora prima del lavoratore, puntando anche ad un miglioramento della qualità della vita dentro e fuori del contesto lavorativo.

Nella promozione della salute nei luoghi di lavoro il primo passo da compiere è un’analisi attenta dei bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici, adottando una visione multi-prospettica capace di leggerne e individuarne le caratteristiche, riconoscendo la rilevanza di aspetti quali l’età, il genere, la nazionalità, le condizioni di salute, le tipologie di contratto e l’estrema varietà delle condizioni socio-economiche.

Ma cosa si intende per promozione della salute e del benessere psicofisico di lavoratrici e lavoratori? Per fare qualche esempio si va da temi – presi dal modulo OT24 dell’INAIL – che riguardano nello specifico l’ impresa, come la “sottoscrizione di un codice etico aziendale”, la “acquisizione del Rating di legalità”, la “sottoscrizione di procedure e/o clausole aziendali anticorruzione, il “sostegno nel reinserimento di persone disabili” a temi che riguardano gli individui come ad esempio: programmi di educazione alimentare dedicati(alimentazione corretta); accertamenti medico-sanitari particolari in caso di gravidanza e/o allattamento; convenzioni per dipendenti con palestre per il benessere fisico o con mense che perseguono obiettivi di alimentazione corretta; campagne di prevenzione del fumo e dell’abuso di alcool e sostanze psicotrope; corsi di educazione ambientale; corsi di guida sicura; convenzioni con banche per mutui a tasso agevolato; orario flessibile e telelavoro; formazione continua per lo sviluppo professionale; progetti formativi/informativi di sensibilizzazione dei lavoratori sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro.

“Si può partire da piccoli progetti che non richiedono dispendio di grandi risorse ma che possono dare risultati interessanti – mi racconta un tecnico esperto del settore – come mettere dei cartelli e opuscoli che invitano ad una dieta sana a fianco dei distributori di cibo e bevande, inserendo anche nei distributori cibi più sani, oppure facendo convenzioni con mense e ristoranti che propongono pietanze secondo ben precisi programmi dietetici”.

L’importante è partire, se comprendo bene quanto afferma il tecnico esperto, poi col tempo si possono “allargare gli orizzonti” e proporre programmi più adeguati alle specifiche esigenze dei dipendenti.

Ma quali sono i vantaggi? – I vantaggi per le lavoratrici ed i lavoratori sono evidenti. Per le imprese, oltre allo sconto applicato dall’INAIL sul tasso di premio applicabile, ci sono dei vantaggi che vanno a toccare le cosiddette “prassi aziendali”, traducibili in: aumento della produttività e diminuzione del tasso di assenteismo.

Secondo un’indagine svolta da “Hays Journal”, sei dipendenti su dieci che aderiscono ad iniziative di wellness aziendale vedono crescere la propria produttività ed accumulano un minor numero di assenze per problemi di salute. Con l’allungamento dell’età pensionabile, le imprese si trovano ad avere lavoratori ultrasessantenni, ovvero nella cosiddetta “fase discendente”, con conseguenze rilevanti dal punto di vista della produttività aziendale.

Ce lo spiega Sergio Iavicoli, direttore del Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’INAIL: “Oggi le politiche di promozione della salute pongono uno sguardo particolarmente attento alla fascia di lavoratori e lavoratrici tra i 55 e i 64 anni. Tra questi in Europa, è stata registrata una percentuale di soggetti con patologie e disturbi di lunga durata superiore al 30%, percentuale che si dimezza nella fascia tra i 16 e i 44 anni. L’invecchiamento è infatti correlato a un alto rischio di problemi di salute, spesso di natura cronica, quali patologie muscoloscheletriche, bronchiti croniche, disturbi cardiovascolari, depressione. Promuovere la salute diventa quindi indispensabile affinché questi problemi non divengano invalidanti o disabilitanti”. Con gravi conseguenze sulla competitività delle nostre imprese.

Da piacenzasera.it

POLVERI DI LEGNO E NEOPLASIA POLMONARE.SECONDO STUDIO FRANCESE NON CI SONO EVIDENZE

Il presente studio mirava a studiare la relazione tra il rischio di neoplasia polmonare e l’esposizione professionale alla polvere di legno .

Sono stati valutati i  dati da 2276 casi e 2780 controlli sulle abitudini al fumo e sulla storia professionale , utilizzando un questionario standardizzato con un questionario specifico per le attività con l’esposizione alla polvere di legno. Sono stati utilizzati modelli di regressione logistica per calcolare gli OR e gli IC del 95% adeguati per età, area di residenza, fumo di tabacco, numero di periodi di lavoro ed esposizione a silice, amianto e gas di scarico da motore diesel (DME).

Risultati

Non è stata trovata alcuna associazione significativa tra neoplasia polmonare ed esposizione alla polvere di legno dopo aggiustamento per esposizione a fumo, amianto, silice ed DME. Il rischio di  contrarre un cancro ai polmoni è stato leggermente aumentato tra coloro che sono stati esposti alla polvere di legno per più di 10 anni e avevano  oltre 40 anni dalla prima esposizione.

Conclusione I  risultati dello studio  non forniscono un forte supporto all’ipotesi che l’esposizione alla polvere di legno sia un fattore di rischio per la neoplasia  ai polmoni. Questo studio ha dimostrato l’importanza di tenere conto del fumo e delle coesposizioni professionali negli studi su neoplasie polmonari ed esposizione a  polveri  di legno.

Da https://oem.bmj.com/

Liberamente tradotto

da Dott Alessandro Guerri medico specialista in medicina del lavoro