Da quanto tempo non si sentiva parlare di antimonio? Il suo simbolo chimico, Sb, deriva dal latino Stibium ed è un metallo che vanta gli utilizzi più svariati e grotteschi: da colorante per le decorazioni del palazzo di Nabucodonosor a pillole dagli effetti lassativi, da sostanza con effetti afrodisiaci a medicinale per trattare la febbre elevata. Potrebbe addirittura essere stato la causa, tra le varie ipotizzate, della morte di Wolfgang Amadeus Mozart.
Nonostante fin dall’antichità sia nota l’elevata tossicità, l’antimonio triosside viene ancora oggi ampiamente utilizzato e, da alcuni anni a questa parte, è tornato al centro dell’attenzione per la sua possibile cancerogenicità per gli esseri umani. La preoccupazione maggiore è data dal fatto che anche moltissimi oggetti di uso comune lo contengono, tra questi i giochi e i tappetini di plastica per i bambini, oltre ai ritardanti di fiamma utilizzati nella composizione dei materiali plastici, all’imballaggio usato per gli alimenti e al materiale a base di BPA (bisfenolo A), come le bottiglie dell’acqua minerale e delle bibite.
Proprio queste sono entrate nel novero delle leggende, di cui l’antimonio vanta un’antica tradizione, essendo utilizzato come catalizzatore per la polimerizzazione nella plastica.
Secondo un messaggio allarmistico di parecchi anni fa, ancora in circolazione e attribuito a Sheryl Crowe, star della scena musicale pop sopravvissuta a un cancro al seno, bere l’acqua contenuta nelle bottiglie di plastica dopo l’esposizione al sole provoca il cancro: “Se sei una di quelle persone che lascia la sua bottiglia di plastica in macchina durante i giorni caldi e bevi l’acqua dopo, quando torni in macchina, corri il rischio di ammalarti di cancro al seno! … Sheryl Crow ha detto, nel corso del programma di Ellen, che in questa maniera aveva contratto il cancro al seno. I medici hanno spiegato che il caldo fa sì che la plastica emetta tossine tossiche [sic!] che portano a contrarre il cancro al seno”.
Alcuni studi scientifici hanno da tempo dimostrato che le bottiglie in BPA rilasciano antimonio se esposte al sole, ma la cancerogenicità dell’antimonio presente negli alimenti non è ancora stata dimostrata.
Cosa dicono gli ultimi studi
Un recente studio condotto in Qatar e apparso su Environmental Monitoring and Assessment ha misurato la quantità di antimonio presente nelle bottiglie di plastica esposte al sole tra i 24 °C e i 50 °C. Le analisi sono state condotte su 66 marche di acqua in bottiglia: la concentrazione di antimonio variava dai 0.168 ai 2.263 μg/L a 24 °C e dai 0.240 ai 6.110 μg/L a 50 °C. Quindi, il rilascio di antimonio è maggiore all’aumentare della temperatura e, a 50 °C, supera il limite raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che è di 6.11 μg/L..
Uno studio analogo, pubblicato su Environmental Science and Pollution Research, è stato condotto in Cina giungendo a conclusioni sovrapponibili: la marca con minor quantità di antimonio nella plastica ha aumentato in maniera sensibile la concentrazione di Stibium nell’acqua dopo 24 ore di esposizione a temperature superiori ai 40° C. Per questo, conservare le bottiglie d’acqua a temperatura normale non rappresenta un rischio di contaminazione da antimonio.
“Come tutte le materie plastiche, i materiali e gli oggetti in PET (comprese le bottiglie) rientrano nel regolamento quadro sui materiali a contatto con gli alimenti 1935/2004 e in particolare nel regolamento (UE) 10/2011 sulle materie plastiche” dichiara a OggiScienza un portavoce dell’EFSA.
“In base a tale regolamento, il triossido di antimonio è autorizzato per la produzione di materie plastiche con un limite massimo di migrazione specifica (LMS), ovvero la quantità rilasciata, di 0,04 mg per kg di prodotto alimentare. Va notato che, conformemente a tale regolamento, gli ‘aiuti alla polimerizzazione’ non inclusi nell’elenco dell’Unione possono essere presenti negli strati plastici di materiali o oggetti di plastica”.
In arrivo una revisione della letteratura scientifica
Per quanto riguarda la valutazione della sicurezza del triossido di antimonio effettuata dall’EFSA, l’ultima è stata effettuata dal gruppo di esperti AFC (Food Additives, Flavourings, Processing Aids and Materials in Contact with Food) nel gennaio 2004. “La valutazione si è conclusa con una restrizione di 40 µg/kg di prodotto alimentare che è stato utilizzato per fissare il limite massimo di migrazione specifica. Tale restrizione consentirebbe di assegnare il 10% della DGA (dose quotidiana ammissibile) ai materiali destinati al contatto con gli alimenti” conclude EFSA.
Sulla cancerogenicità dell’antimonio triosside, la forma più pericolosa, è in corso dal 2017 un processo di revisione della letteratura e dei dati degli esperimenti condotti su animali da parte del National Toxicological Program (NTP) su indicazione del National Institute of Occupational Safety and Health (NIOSH).
Amy Wang, responsabile del progetto di valutazione dell’antimonio al NTP, spiega a OggiScienza che “il documento elaborato dal suo gruppo di ricerca basa il proprio razionale sulla potenziale diffusione a livello di esposizione occupazionale e su un database di esperimenti su animali per valutare la cancerogenicità dell’antimonio. Negli Stati Uniti, la fonte più importante per l’esposizione lavorativa all’antimonio la troviamo nella produzione di ritardanti di fiamma alogenati utilizzati nella gomma e nei tessili, nel processo di produzione dei materiali a base di PET, negli impianti di produzione chimica, nelle fonderie e impianti di lavorazione dei metalli. Inoltre, come additivo, nella lavorazione del vetro, nei pigmenti colorati, nei quadri, nella ceramica e nel cemento”.
L’esposizione quotidiana
Per quanto riguarda la tossicità dell’antimonio a livello alimentare, Wang precisa che “la forma di antimonio presente negli alimenti non è l’antimonio triosside. L’esposizione nell’ambito della vita quotidiana è legata all’inalazione di aria contaminata, dai fumi di impianti o alla presenza nella polvere all’interno delle case”.
Una valutazione in linea con quanto rileva l’OMS che, nel report Antimony on drinking water(2003) indicava come, a livello mondiale “i livelli di antimonio, misurati attraverso l’analisi del sangue e delle urine, sono diminuiti nel tempo. Tuttavia, livelli di antimonio nelle urine si riscontrano nelle fasce più povere e deprivate della popolazione, che lo assorbono soprattutto per inalazione, sia di aria ambientale che nelle case”.
La conclusione a cui è giunto il NTP nel 2017 è la raccomandazione che questa sostanza, l’antimonio triossido, sia inserito nel Report on Carcinogens (RoC) come ‘ragionevolmente atteso cancerogenico per l’uomo’ (Reasonably Anticipated to Be A Human Carcinogen). La decisione finale dipenderà dalle valutazioni del Segretario americano del Dipartimento della Salute. “Noi” conclude Amy Wang “auspichiamo possa essere presa entro il 2019”.
da agorabox.it
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