Eczema, psoriasi e dermatiti sono alcune delle malattie cutanee più diffuse tra la popolazione over 60. Con la teledermatologia, nuova frontiera nel campo della medicina virtuale, si può monitorare “a distanza” l’evoluzione di un’infiammazione, di un neo o lesione della pelle. Ciò è possibile grazie all’ausilio di app e sistemi di intelligenza artificiale all’avanguardia che, specie durante la pandemia Covid-19, sono stati di supporto agli specialisti laddove le visite in presenza erano contingentate alle situazioni di emergenza. I risultati della sperimentazione image-based (basata sulle immagini ndr) sono stati soddisfacenti al punto che, in futuro, lo screening digitale potrebbe favorire la diagnosi precoce del melanoma cutaneo.
La teledermatologia (TD, la sigla) è un nuovo modo di approcciare alla diagnostica dermatologica. In buona sostanza, si tratta di un servizio sanitario (virtuale) che consente al paziente di avere accesso rapido alla consulenza specialistica senza doversi necessariamente recare presso lo studio medico.
Al riguardo, è bene precisare che la teledermatologia non si sostituisce in alcun modo alle visite in presenza. Anzi. Se si tratta della prima visita o di monitorare l’andamento di malattie che richiedono l’impiego di apparecchiature specifiche, si consiglia di concordare un appuntamento col dermatologo di riferimento.Per ciò che concerne le attività di follow-up quali, ad esempio, il monitoraggio di una lesione cutanea o di una dermatite, invece, la “consulenza virtuale” può essere un’ottima soluzione per implementare il servizio erogato dallo specialista e coinvolgere il paziente nella gestione della patologia di cui soffre.
Come funziona l’approccio image-basedMacchie rosseIl Machine Learning.
La teledermatologia si basa su un approccio image-based, vale a dire, sulla raccolta di immagini, l’analisi AI (Intelligenza Artificiale) e il Machine Learning. Quest’ultimo è un processo automatizzato basato su algoritmi in grado di lavorare su immagini cliniche e dermoscopiche. Ciò significa che quando arriva la foto di una lesione cutanea di un paziente, ad esempio, il sistema la valuta in automatico.
I dati di tipo clinico vengono acquisiti anche via smartphone mentre i restanti (genomica, proteomica eccetera) provengono da altre fonti come gli Electronic medical record. I modelli di Machine Learning processano questi dati per poi arrivare a formulare diagnosi, valutare l’efficacia della terapia e il decorso della malattia.
Grazie a questo metodo di analisi è possibile differenziare, ad esempio, le lesioni benigne da quelle maligne. Il Microsoft ResNet 152 model, per citare uno degli algoritmi più innovativi, riesce a eseguire ben 12 diagnosi, tra cui, il carcinoma basale, quello squamoso, il carcinoma intraepiteliale e il melanoma.
Le app
Allo stato dell’arte, la teledermatologia è utile soprattutto per le attività di follow-up, ossia, il monitoraggio di una specifica condizione cutanea. Al riguardo esistono già moltissime app, disponibili su varie piattaforme, che consentono di controllare lesioni o macchie sospette della pelle.
UmSkinCheck
Si tratta di un’app gratuita attiva sia su sistemi Apple che Android. Lanciata dall’Università del Michigan, UmSkinCheck viene adoperata per l’esame e la sorveglianza di lesioni sospette e precancerose.
MoleMapper
È disponibile sullo store di Apple. MoleMapper è stata sviluppata dal biologo statunitense Dan Webster e serve a tenere sotto controllo i nevi (particolari tipi di nei ndr) che potrebbero evolvere in forme maligne. Le immagini restano sullo smartphone dell’utilizzatore che può inviarle allo specialista di riferimento o, previo consenso, ai ricercatori per indagini periodiche (survey).
Miiskin
Miiskin è un’app ideata dall’omonima compagnia danese che, nel 2020, si è aggiudicata il premio Best Digital Health Platoform di Euronext. Si rivolge sia ai pazienti che ai provider ed è utile, non solo per la diagnosi precoce del melanoma cutaneo ma anche per monitorare l’andamento di patologie quali, ad esempio, psoriasi o dermatite atopica.
VisualDx
Si tratta di un’app gratuita disponibile su diversi sistemi operativi (denominata Aysa per iOS e Android). VisualDx è in grado di rilevare più di 200 condizioni dermatologiche. Il funzionamento è molto semplice: le immagini vengono elaborate dai sistemi Machine Learning cosicché lo specialista può visionarle e valutare l’andamento della terapia oppure, se necessario, consigliare al paziente ulteriori esami.
I VANTAGGI DELLA TELEDERMATOLOGIA.
Il supporto della telemedicina, applicata in ambito dermatologico, è vantaggioso sia per il paziente che per il medico. In primis può sopperire alla carenza di specialisti che, in molti Paesi d’Europa, sono sempre meno. Non solo.
Se pensiamo ad alcune aree remote del nostro territorio dove, per motivi e contingenze varie, molte persone non riescono ad avere accesso ai servizi sanitari ordinari (in presenza), la consulenza virtuale è sicuramente una valida alternativa assicurando una continuità terapeutica al paziente.
Lo stesso discorso vale per gli over e in generale le persone impossibilitate negli spostamenti oppure, come accade in Francia, la teledermatologia può essere utile per monitorare l’andamento di una particolare condizione cutanea nei bambini.
I vantaggi sono notevoli anche per il paziente che, partecipando attivamente all’esame diagnostico attraverso l’invio di foto, viene coinvolto nella gestione della malattia. Senza contare, inoltre, che il riscontro a una eventuale evoluzione anomala di un neo o lesione della pelle è immediato.
L’obiettivo principale della teledermatologia resta, però, quello della diagnosi precoce di condizioni cutanee invalidanti o tumori della pelle. Dunque, essa è anche un importante strumento di prevenzione che, in futuro, potrà essere di supporto agli specialisti per diagnosticare tempestivamente l’evoluzione in forma maligna di nei o altre lesioni cutanee.
Corriamo il rischio di perdere il lavoro per colpa dell’Intelligenza artificiale cosiddetta “generativa”? ChatGPT, lo strumento di OpenAI su cui Microsoft ha appena scommesso miliardi, è stato messo alla prova nelle ultime settimane a suon di test accademici e abilitazioni professionali. Con risultati impressionanti. Tecnicamente, e con i dovuti distinguo, il chatbot sarebbe in grado di passare una serie di esami nel campo dell’avvocatura, della medicina e della business administration – senza alcun tipo di addestramento specifico.
Il primo e meno recente studio (Performance of ChatGPT on USMLE) ha messo alla prova ChatGPT con l’esame di abilitazione alla professione medica negli Stati Uniti. Il chatbot ha ottenuto risultati “pari o vicini alla soglia di superamento” per tutte le sezioni degli esami, dimostrando “un alto livello di concordanza e di intuizione nelle sue spiegazioni. I risultati suggeriscono che [questi sistemi] possono avere il potenziale per aiutare la formazione medica e, potenzialmente, il processo decisionale clinico”.
Nel secondo studio, GPT Takes the Bar Exam, il chatbot ha affrontato le domande dell’esame di Stato per l’abilitazione alla professione forense. Il sistema IA ha risposto correttamente a oltre il 50% dei quesiti (laddove le probabilità di azzeccarli indovinando sono del 25%) e ha passato due sezioni specifiche, illeciti civili e prove testimoniali. Tanto che, secondo gli autori dello studio, i risultati suggeriscono che un sistema del genere sarà in grado di superare l’intero esame “nel prossimo futuro”.
Infine, nel terzo studio (Would Chat GPT3 Get a Wharton MBA?), Christian Terwiesch, professore presso la prestigiosa scuola di business dell’Università della Pennsylvania, si è accorto che il sistema è in grado di surclassare alcuni dei suoi studenti all’esame sul corso di operation management, uno dei campi di studio più importanti in un programma di master in business administration. “[ChatGPT] compie un lavoro straordinario con le domande di base sulla gestione delle operazioni e sull’analisi dei processi, comprese quelle basate su casi di studio. Non solo le risposte sono corrette, ma le spiegazioni sono eccellenti”.
Non mancano i limiti. Talvolta il sistema commette errori di calcolo sorprendenti, a livello di matematica di prima media, scrive Terwiesch, e la versione attuale di ChatGPT “non è in grado di gestire le domande più avanzate di analisi dei processi , anche quando sono basate su modelli abbastanza standard”. A ogni modo, il chatbot è “straordinariamente bravo” a modificare le sue risposte dietro suggerimenti umani: nei casi in cui inizialmente non riusciva ad abbinare il problema al metodo di soluzione corretto, il sistema è stato in grado di correggersi dopo aver ricevuto un suggerimento appropriato da un esperto umano.
Per il professore di Wharton è il momento di ripensare l’educazione aziendale: servono nuove politiche d’esame, nuovi programmi di studio incentrati sulla collaborazione tra umani e IA e non solo. Ironicamente, ha detto Terwiesch al Financial Times, la fluidità di linguaggio e le dubbie capacità matematiche rendono il chatbot un concorrente diretto per chi finisce in consulenza: i suoi studenti “potrebbero affinare la loro capacità di giudizio rispetto alle forti prestazioni del chatbot, interpretando il ruolo di quel consulente intelligente che ha sempre una risposta elegante, ma che spesso si sbaglia”.
L’esortazione di Terwiesch si unisce al coro crescente di accademici che stanno iniziando a vietare l’utilizzo di ChatGPT dopo essersi accorti che il sistema può produrre una ricerca su qualsiasi argomento, qualitativamente simile a quella di uno studente statunitense medio, in pochi secondi, cosa che – secondo loro – rischia di portare le tesi e gli essays all’irrilevanza. “Sono uno degli allarmisti”, ha dichiarato a FT il professor Jerry Davis (Ross Business School dell’Università del Michigan), che lunedì ha convocato una riunione di facoltà per discutere le implicazioni dello studio di Terwiesch. “È tempo di un ripensamento da cima a fondo”.
Per estensione, il problema si applica anche a una serie di lavori qualificati, un tempo considerati immuni dall’automazione. Nello scenario più estremo, gli analisti immaginano che l’IA possa alterare il panorama occupazionale in modo permanente. Uno studio di Oxford stima che il 47% dei posti di lavoro statunitensi potrebbe essere a rischio. Tuttavia, come ha scritto Annie Lowery sull’Atlantic, a memoria d’uomo nessun tipo di tecnologia ha causato perdite massicce di posti di lavoro tra lavoratori altamente istruiti.
Almeno per il momento, i sistemi come ChatGPT non possiedono quello che chiameremmo spirito critico: crea risposte sul modello di cosa esiste già, senza alcuna autorità, comprensione, capacità di correggersi autonomamente, identificare idee nuove o interessanti. Insomma, non può uscire dal seminato. Dunque è più probabile che la rivoluzione IA finisca per potenziare la produttività e l’efficienza dei lavoratori che sapranno imbrigliare questi sistemi, piuttosto che far sparire interi segmenti di professionisti. Per metterla comeKara McWilliams, che lavora applicando l’IA all’apprendimento e alla valutazione: “Ricordate quando è entrata in scena la calcolatrice e c’era una grande paura di usarla? Sono dell’idea che l’IA non sostituirà le persone, ma le persone che usano l’IA sostituiranno le persone”.
Qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell’attività lavorativa per esposizione all’amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, escludendo l’esposizione della sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la modifica dell’attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie.
È stato pubblicato il nuovo Bando dell’INAIL per incentivare le imprese a realizzare nel 2023 progetti per il miglioramento documentato delle condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori.
INAIL ha pubblicato il nuovo Bando ISI per il 2023; come ogni anno, sono finanziabili diversi Assi di finanziamento:
Progetti per micro e piccole imprese operanti nel settore della produzione primaria dei prodotti agricoli.
Assolombarda è a disposizione per la comprensione delle regole per presentare la domanda di ammissione al Bando (Avviso regionale) e per ottenere i bonus ai fini del punteggio: la condivisione dei progetti deve avvenire preliminarmente alla data di chiusura della procedura informatica per la compilazione delle domande.
Dal 21 febbraio 2023 vi saranno sul sito INAIL aggiornamenti su tempistiche e moduli.( Da Assolombarda)
Il Ministero del Lavoro nella risposta all’interpello n. 1 del 1° febbraio fornisce chiarimenti in merito alla salute e sicurezza dei lavoratori in smart working. I datori di lavoro possono nominare ulteriori medici competenti per le attività di sorveglianza sanitaria.
I datori di lavoro possono nominare ulteriori medici competenti, oltre a quelli indicati per la sede aziendale, per consentire la sorveglianza sanitaria dei dipendenti che lavorano in smart working.
Lo chiarisce la Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero del Lavoro nella risposta all’interpello n. 1 del 1° febbraio 2023.
In questo modo, come avvenuto durante l’emergenza sanitaria, sarà assegnato un medico più vicino ai lavoratori che svolgono l’attività lavorativa presso il proprio domicilio o comunque lontano dalla sede di lavoro, garantendo loro maggiore sicurezza.
Tutti i medici competenti nominati assumeranno gli obblighi e le responsabilità previste dalla legge.
Smart working e sorveglianza sanitaria: il datore di lavoro può nominare più medici competenti
Il Ministero della Lavoro con la risposta all’interpello n. 1 del 1° febbraio 2023 chiarisce i dubbi avanzati da Confcommercio e relativi alle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori che operano in regime di smart working.
In particolare, è stato chiesto se i datori di lavoro potessero continuare, così come è stato durante l’emergenza sanitaria, le attività di sorveglianza sanitaria affidando l’incarico a medici competenti diversi da quelli già nominati per la sede dell’azienda e più vicini al luogo di lavoro dei dipendenti che svolgono l’attività da remoto.
In primo luogo, il Ministero sottolinea come la prestazione di sorveglianza sanitaria spetti anche a tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, indipendentemente dall’ambito in cui questa viene svolta, come specificato dall’articolo 3, comma 10 del DL n. 81/2008.
“Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro fornisca attrezzature proprie, o per il tramite di terzi, tali attrezzature devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III. I lavoratori a distanza sono informati dal datore di lavoro circa le politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare in ordine alle esigenze relative ai videoterminali ed applicano correttamente le Direttive aziendali di sicurezza.”
Spetta al datore di lavoro nominare il medico competente che effettuerà la sorveglianza sanitaria in tutti i casi previsti dalla legge. Questo, poi, collabora anche con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi: “anche ai fini della programmazione, ove necessario, della sorveglianza sanitaria, alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori, all’attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori, per la parte di competenza, e all’organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro.”
Nei casi di aziende con più unità produttive o di gruppi d’imprese il datore di lavoro può nominare più medici competenti ma deve individuare tra di loro uno che svolga funzioni di coordinamento.
Smart working e sorveglianza sanitaria: le indicazioni per i datori di lavoro
Come stabilito dall’articolo 22, comma 1, della legge n. 81/2017, il datore di lavoro deve garantire anche la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità agile.
Pertanto, è tenuto a consegnare, almeno ogni anno, al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza un’informativa scritta, nella quale sono individuati i rischi generali e quelli specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
Alla luce di quanto esposto, la Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro del Ministero ritiene che il datore di lavoro possa effettivamente nominare più medici competenti, individuandone uno con funzioni di coordinamento nei casi previsti.
Ogni medico competente nominato assumerà tutti gli obblighi e le responsabilità in materia di salute e sicurezza ai sensi della normativa vigente.
In linea generale, infine, come stabilito dal comma 3 dell’articolo 29 del DL n. 81/2008, il datore di lavoro sarà tenuto a rielaborare il documento di valutazione dei rischi:
in caso di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori;
in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione;
in seguito a infortuni significativi;
quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenziano la necessità.
I datori di lavoro, dunque, possono individuare e nominare medici competenti, in aggiunta a quelli nominati per la sede dell’azienda, per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori che svolgono l’attività in smart working.
Con la sentenza emessa, il 22.12.2022, nella causa C-392/21, la Corte di Giustizia UE afferma che il datore deve farsi carico del costo dei dispositivi per la vista acquistati dai propri dipendenti addetti al videoterminale, attraverso il rimborso delle spese sostenute o mediante la fornitura diretta di lenti o occhiali.
Il fatto affrontato
Il dipendente ricorre giudizialmente al fine ottenere dal datore la fornitura di occhiali resisi necessari a causa del peggioramento della sua vista ricollegabile all’uso continuo del videoterminale nel luogo di lavoro. Il Tribunale rumeno – investito della questione – chiede alla CGUE, mediante un rinvio pregiudiziale, se tale diritto sia contemplato dalla Direttiva89/392 (che promuove il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori) e/o dalla Direttiva 90/270 (che richiede il rispetto delle prescrizioni minime finalizzate a garantire un migliore livello di sicurezza per i posti di lavoro dotati di videoterminali).
La sentenza
La Corte di Giustizia rileva, preliminarmente, che l’art. 9 della Direttiva 90/270 prevede che i lavoratori addetti ai videoterminali beneficino di un adeguato esame degli occhi e della vista, sia prima di iniziare l’attività che durante l’esecuzione della stessa, in modalità periodica e nel caso in cui subentrino disturbi visivi.
Per la sentenza, al diritto di visita agli occhi, se occorre, è necessario associare la fornitura di dispositivi di correzione, senza oneri a carico dei dipendenti interessati.
Su tali presupposti, la CGUE afferma che, in tali circostanze, il datore è obbligato a fornire direttamente il dispositivo di correzione (lenti o occhiali) resosi necessario o a rimborsare il relativo costo nel caso in cui la spesa sia stata già sostenuta dal lavoratore.
Il caffè e latte o il cappuccino potrebbero avere significativi effetti antinfiammatori.
da dottnet.it
Lo rivelano due studi dell’Università di Copenaghen rispettivamente pubblicati sul Journal of Agricultural and Food Chemistry e sulla rivista Food Chemistry
Il caffè e latte o il cappuccino potrebbero avere significativi effetti antinfiammatori sulle persone. Lo suggeriscono due studi dell’Università di Copenaghen rispettivamente pubblicati sul Journal of Agricultural and Food Chemistry e sulla rivista Food Chemistry. Il primo studio, su cellule immunitarie in provetta, mostra che i polifenoli (composti antiossidanti di cui è ricca frutta e verdura ma anche il caffè) e le proteine (presenti in cibi come carni, latticini) reagiscono insieme generando un’importante azione antinfiammatoria sinergica. Nel secondo studio, condotto sulle bevande tanto amate dagli italiani, gli esperti hanno dimostrato la stesa azione sinergica tra antiossidanti del caffè e proteine del latte non appena i due liquidi sono uniti insieme. Il prossimo passo sarà di valutare direttamente sugli amanti del ‘cappuccio’, gli effetti antinfiammatori dell’unione di latte e caffè. Intanto un lavoro dell’Università di Bologna pubblicato sulla rivista Nutriens mostra che il caffè aiuta ad abbassare la pressione del sangue.
Il diabete interessa non solo come concezione biologica di malattia, ma soprattutto sotto l’aspetto economico-sociale, perchè agita problemi sulla prognosi lavorativa ed eventuali interferenze patogene che possono determinarsi tra ambiente e lavoro.Diverse ricerche hanno dimostrato che agenti occupazionali sono direttamente coinvolti nella patogenesi del diabete mellito.
Alcune caratteristiche lavorative rivestono un ruolo importante nell’insorgenza e/o complicanze del diabete mellito: per tali motivi il diabete si può considerare una patologia lavoro-correlata.I diabetici sono nelle condizioni fisiche e psichiche di praticare qualsiasi lavoro.Il lavoro in particolare nel diabete di tipo 2 può essere causa del diabete in seguito a fattori di rischio psicosociali (stress), per sforzi fisici eccessivi, per lavori notturni (per come verrà detto in seguito) per sedentarietà ma anche per essere a contatto con agenti fisici (sbalzi di temperatura, squilibri di pressione atmosferica, rumore intenso) e chimici come metalli (piombo, mercurio, bismuto, arsenico, idrogeno arsenicale, manganese, selenio, tallio, cobalto, dicromato di sodio – cfr. Yangho Kim et al. In “Scienze of the total environment – 2011; Chun Fa Huiang et al. in “Kaohsiung journalof medical Sciences), solventi (solfuro di carbonio, acetone, tricloroetilene), derivati del benzolo, ossido di carbonio, glicoli, cianuri, pesticidi (vacor, amitraz) o i piretroidi (una classe di insetticidi e acaricidi di sintesi – Jimsons Wang et al. In “chemosphere – 2011), idrocarburi aromatici alogenati (TCDD)Secondo un’indagine statistica, il 35% dei giovani diabetici ha avuto difficoltà al momento dell’assunzione in un posto di lavoro, mentre il 34% dei datori di lavoro non ha neppure preso in considerazione l’assunzione di chi è affetto da diabete.Si tratta di difficoltà e discriminazioni ingiustificate.In teoria non esiste ostruzionismo da parte dei datori di lavoro ad assumere un lavoratore diabetico, tuttavia di fondo sussistono dei timori che il soggetto diabetico si ammali più facilmente con la conseguenza che in molti casi viene preferito il non diabetico proprio nella convinzione che costui non possa accampare giustificazioni di salute per chiedere un giorno di riposo o l’interruzione del lavoro per praticarsi l’iniezione di insulina o fare lo spuntino delle dieci e così via.
La tutela del lavoratore diabetico in Italia
In Italia la tutela del lavoratore diabetico passa attraverso la legge 115 del 16 marzo 1987, emanata per interessamento delle varie associazioni diabetologiche allo scopo di tutelare il diabetico nel luogo di lavoro e prevenire qualsiasi discriminazione. L’art. 1, lett. D) della citata legge indica la necessità di “agevolare l’inserimento del diabetico nella scuola, nelle attività sportive e nel lavoro” mentre l’art. 8 comma 1 stabilisce che la malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non costituisce motivo ostativo … per l’accesso al lavoro pubblico e privato, salvo i casi per i quali sono richiesti specifici e particolari requisiti attitudinali (quindi sono le complicanze e non la malattia diabetica ad indurre ad una condizione invalidante lavorativa), escludendo qualsiasi forma di discriminazione nei riguardi dei malati di diabete, riconoscendo loro il diritto di accedere, ove le loro condizioni fisiche lo permettano, a posti di lavoro sia pubblici che privati, ottenere l’iscrizione alle scuole di ogni ordine e grado e l’accesso alle discipline sportive.Tale legge è stata integrata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104, che concede al diabetico, quando sia riconosciuta una situazione di gravità, tre permessi mensili retribuiti per effettuare i regolari controlli. Premesso che nelle liste delle malattie per le quali sussiste l’obbligo di denunzia (Decreto dell’11 dicembre 2009) e nella tabelle delle malattie professionali (D.M. 9 settembre 2008) non vi è alcun riferimento al diabete, è ormai condiviso da tutti gli addetti ai lavori (diabetologi, medici dei lavoro, assistenti sociali, associazioni dei diabetici, etc) che il diabete mellito, ben compensato, non debba rappresentare un ostacolo per l’inserimento nel mondo del lavoro non implicando una riduzione della capacità lavorativa; solamente le manifestazioni acute di scompenso e le complicanze croniche tardive possono compromettere le prestazioni psico-fisiche del lavoratore.
Sono, pertanto, i pregiudizi, la scarsa conoscenza dei progressi compiuti dalla ricerca e dalla terapia che possono rendere ragione degli atteggiamenti preclusivi di alcuni datori di lavoro: i diabetici, se ben controllati e in buone condizioni generali, possono svolgere quasi tutti i mestieri e le professioni (con pochissime eccezioni assolute) e l’esperienza e le statistiche dimostrano che la loro abilità, così come il rendimento lavorativo, sono pari agli altri.Relativamente allo stato di salute il diabetico, c’è da dire che il lavoratore diabetico controlla la propria salute con una regolarità che sicuramente non è abituale tra le persone non diabetiche mentre anche il tempo riservato alla cura della malattia è assai limitato (2-4 mattine l’anno se non delle semplici ore per le analisi 2-6 volte l’anno per le visite mediche).
uno svolgimento costante dell’attività professionale e che
non comportano un pericolo per la vita propria e per quella di altre persone affidate al lavoratore diabetico, in conseguenza di una crisi ipoglicemica improvvisa.
A titolo esemplificativo sarebbero auspicabili
le professioni sanitarie (un medico diabetico può capire meglio la patologia rispetto a medici che conoscano la materia solo in astratto),
le professioni tecniche (ingegneri, geometri, etc.),
le professioni economiche giuridiche (forense, commercialista, etc.),
attività assistenziali e sanitarie (infermieri, fisioterapisti, etc.),
occupazioni inerenti l’amministrazione (impiegati, funzionari, etc.) e il commercio (commessi, etc.), occupazioni di carattere religioso (parroco, diacono, etc.), attività didattiche (insegnanti, etc.), occupazioni artigianali (meccanici, giardinieri, fabbri, sarti, etc.).
B) sconsigliate quelle attività che comportano un pericolo per la propria ed altrui incolumità (trapezista, spazzacamino, guida alpina, etc.) oppure un alto stress in quanto questo fattore potrebbe facilmente determinare squilibri glicemici fino alle chetoacidosi. In particolare per quei diabetici di tipo 1 che vanno facilmente incontro a chetosi o a crisi ipoglicemiche – a causa dello squilibrio tra disponibilità o meno dell’insulina di fronte alle richieste periferiche – sono preferibili attività professionale di tipo sedentario, sempre restando possibile l’attività fisica, in particolare dopo il pasto principale quando più necessaria e l’utilizzazione dei carboidrati ingeriti. Sono sconsigliati lavori che possono comportare lesioni cutanee (muratore, etc.) proprio per la difficoltà di rimarginarsi soprattutto in caso di lesioni frequenti, profonde ed in particolare se provocate da materiale presumibilmente infetto; nessun problema nel caso in cui si tratta di abrasioni superficiali da materiale “pulito”. Sono altresì sconsigliate quelle che favoriscono alterazioni circolatorie degli arti inferiori anche se un lavoro condotto in posizione eretta (quindi viene interessato soprattutto il sistema venoso) ha poca importanza per il diabete. Ancora sono sconsigliati i mestieri del pasticciere, dell’oste, del panettiere o del cuoco purchè non si lascino tentare dalla gola, in particolare con gli assaggi. C’è da dire che se il cuoco si limita ad assaggiare le pietanze, come poi generalmente fanno i cuochi, questa attività la si può svolgere in perfetta tranquillità e con reale vantaggio; c’è da considerare altresì che l’abitudine alla presenza dei dolci potrebbe portare all’indifferenza verso gli stessi; Sconsigliati, infine, tutti quei mestieri che richiedono un’attività in continuo movimento, con cambi di ambienti e di cucine, di alzatacce al mattino presto, di discussioni continue. Dipende dal carattere e dall’accettare con piacere o meno questo tipo di attività e di adattare la condizione del diabetico a questo tipo di vita (ad es. evitare pietanze unte e abbondanti, bibite gasate, etc. ) e che comunque comportano un modo di vita irregolare con una notevole difficoltà di poter mantenere un equilibrio glicemico adeguato.
Vietate:la professione del vigile del fuoco (art. 2 del D.M. 3 maggio 1993, n. 228),di controllore e assistente di volo (solo se si fa uso di farmaci non orali come l’insulina – Personal licensing, dell’International Civil Aviation Organization – ICAO);attività che richiedono il libretto di navigazione (pilota di aerei, navi , treni e autocarri – Regio Decreto Legge 14 dicembre 1933 n. 1773) mentre per gli autobus ed autocarri pesanti sono queste attività soggette a controllo medico, quindi sconsigliate ma comunque non vietate.attività militare: il diabete mellito è una malattia che porta all’esonero del servizio militare e per il militare di carriera questa malattia costituisce un intralcio e la sospensione del servizio attivo a meno che non sia trasferito all’amministrazione o comunque ad uffici, nel qual caso la sua vita in pratica è quella dell’impiegato.casi in cui il medico aziendale ritenga che una persona con diabete in certe condizioni (con complicazioni invalidanti) non possa svolgere una mansione senza rischio per la sua salute: in questi casi l’Azienda – se non può mettere a disposizione una mansione diversa – può licenziarlo. In tali casi il diritto alla salute, inviolabile, si ritorce contro il diabetico.
Problemi nel mondo del lavoro
Il diabetico si trova ad affrontare nel mondo del lavoro diversi problemi:1) stress: attualmente le condizioni di lavoro sono nettamente migliorate sia in termini di entità della fatica sia in termini di grado di rischio fisico e/o chimico, ma sono aumentate le occasioni di stress legate ai lavori a turni e/o notturni; lo stress è questo un fattore psicosomatico legato alla personalità del soggetto, al suo adattamento al lavoro o all’ambiente: c’è chi per evitare lo stress di lavoro può tardare l’ingresso in ufficio in modo da evitare il traffico mattutino soprattutto nelle grandi città. Ad aumentare lo stress contribuiscono altri fattori come la rincorsa al successo, all’apprensione e al lavoro dirigenziale, tutti fattori che possono determinare un certo livello di ansia che può riflettersi sulla glicemia senza considerare come ad un aumento dell’attività lavorativa possa correlarsi una diminuzione dell’attività fisica. Infine anche lavori che richiedono una concentrazione continua e prolungata possono essere fattori di stress lavorativo che influiscono sulla glicemia.
Attività e sforzi fisici: questo fattore può causareipoglicemie nel caso di lavori ove è richiesto uno sforzo fisico notevole (lavaggi a mano delle auto, carico scarico merci, etc.) oppureiperglicemie nel caso di lavori sedentari (impiegati, rappresentanti di commercio, etc.).3) Alimentazione: per questo fattore sussistono problemi legati allamensa aziendale dove non sono previsti mai pietanze dedicate per il diabetico (salvo ricorrere alla sola pasta o riso in bianco, per primo e carne lessata, per il secondo).rispetto degli orari del pasto. Il problema è marcato nel caso dei cuochi, dei baristi e dei camerieri.4) Trasferta: questo fattore riguarda i rappresentanti di commercio o i funzionari pubblici o provati che per ragioni di lavoro siano costretti a spostarsi sul territorio nazionale e straniero per le ragioni già sopra dette.Inoltre non bisogna dimenticare alcune condizioni di ridotta attitudine al lavoro che differenziano i soggetti diabetici dalla restante popolazione e riguardano:1) guida professionale,2) lavori ad altezza dal suolo: il problema riguarda principalmente le crisi ipoglicemiche che potrebbero far precipitare il lavoratore al suolo;3) rotazione su turni: risulta pregiudicato l’equilibrio glicemico non venendo mai rispettati gli orari dei pasti.4) lavoro notturno: uno studio (pubblicato dall’Harvard School of Public Health) ha dimostrato chi fa il turno di notte ha una possibilità di ammalarsi doppia rispetto agli occupati di giorno: lavorare di notte, quindi, è un importante fattore di rischio per la salute e può provocare diabete e obesità. L’indagine prende in esame due gruppi di donne, rivelando che quelle di loro impiegate durante le ore notturne ( almeno tre volte al mese) hanno una possibilità di ammalarsi di diabete due volte maggiore rispetto agli occupati di giorno. “Più a lungo dura il lavoro a rotazione, più aumenta il rischio”. Lo ha spiegato il professor Frank Hu, coordinatore del team di medici che ha effettuato la ricerca. La percentuale infatti è del 5 per cento per i primi due anni, ma sale al 20 per cento nella fascia dai due ai nove anni, addirittura al 40% dai dieci ai diciannove. Per chi supera i vent’anni il rischio sfiora il 60 %. Gli esperti di Harvard ritengono che la ragione sia da attribuire sia al fatto che lavorare di notte scombina il nostro orologio biologico, sia a ragioni comportamentali: per esempio, i dipendenti notturni tendono a fumare di più e mangiare porzioni di cibo maggiori e pietanze meno sane. Il coordinatore ha quindi consigliato un “controllo preventivo” del diabete per i soggetti che si riconoscono in questo ritratto. In ogni caso, ha specificato l’indagine, saranno necessarie altre ricerche per confermare i risultati ottenuti. In tutto il mondo attualmente circa 346 milioni di persone soffrono di diabete: la maggioranza soffre di diabete di tipo 2, ovvero la patologia causata da eccesso di peso corporeo e inattività fisica. Nel corso del tempo, la malattia può danneggiare organi vitali, tra cui reni, nervi e cuore. Il professor Joel Zonszein, direttore del Montefiore Medical Center di New York, ha sottolineato anche gli altri fattori di rischio: “Lo studio dimostra l’associazione tra lavoro notturno, obesità e diabete – a suo giudizio -. Non è solo il turno di notte, ma anche il fatto che per questi dipendenti c’è più lavoro e più fumo. Sono tutte cose collegate”.
Ottenere l’esonero dal lavoro notturno è automatico per i disabili e non troppo difficile per gli insulino dipendenti. Per lavoro notturno s’intende qualunque organizzazione del lavoro che preveda almeno 80 turni annuali nei quali il dipendente opera per almeno 7 ore consecutive delle quali una o più ore sono comprese nell’intervallo fra mezzanotte e le cinque del mattino. L’art. 2 del D. Lgs 532/1999 prevede l’esonero dal lavoro notturno per alcune categorie di lavoratori, fra cui non sono comprese esplicitamente le persone con diabete. Un diabetologo potrebbe però certificare, soprattutto nel caso di insulino trattamento, la necessità di non modificare i ritmi sonno-veglia per garantire l’equilibrio glicemico. Questa certificazione, consegnata direttamente all’azienda o attraverso il Medico competente (il medico ‘aziendale’ ai sensi della Legge 626/94) oppure avvalorata dal servizio Territoriale di Medicina del Lavoro, potrebbe essere sufficiente a chiedere l’esonero dal lavoro notturno. Il lavoro notturno, recita la legge 903/1977 art. 5, 2° comma, non deve essere prestato dalla lavoratrice o dal lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 104/92. Pur in mancanza di una specifica indicazione, per analogia questo divieto può essere esteso al lavoratore diabetico disabile che benefici della legge 104/92. Riepilogando l’ambiente di lavoro è importante per il diabetico in quanto occorre tener conto della sua necessità di un’alimentazione ad orari prestabiliti, della somministrazione di farmaci nelle ore indicate. Il lavoro non deve essere troppo traumatizzante sul piano psicologico, né provocare forti ansie, non obbligare alla partecipazione di turni di lavoro che settimanalmente siano spostati di otto ore e divengano anche notturni, perché rompono il ritmo sonno-veglia, l’orario delle terapie e quello dei pasti. La continua variazione degli orari di lavoro, infatti, favorisce lo scompenso metabolico in quanto diventa difficile stabilire l’equilibrio insulinico in base alle diverse situazioni lavorative.È preferibile un lavoro all’aperto perché il diabetico necessita come, ma ancor di più di tutti gli altri, di una discreta attività fisica. Il lavoro al chiuso in particolare quello secondario, in particolare quello amministrativo, è altamente sconsigliato: tuttavia in tali casi si può sopperire ad esempio recandosi in ufficio a piedi a passo svelto e comunque utilizzare il meno possibile automobile mezzi pubblici; preferire le scale anziché l’ascensore, insomma cercare di muoversi il più possibile in quei momenti della giornata che offrono dette opportunità. (..)da diabetescore.it
Questo video tratto dal sito oshanline.com mostra la capacità “salvavita” dei DPI AR/FR (classificati contro l’arco/resistente alla fiamma) simulando un arco elettrico in una comune condivisione di lavoro a 4080 volt. Il manichino utilizzato per la simulazione è vestito con una camicia e pantaloni AR/FR, realizzati con GlenGuard. Le caratteristiche del tessuto e degli indumenti più appropriati può salvare vite umane ed evitare gravi conseguenze per l’infortunato .
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