Fino al 90% delle infezioni della cornea è causata da batteri che non rispondono al trattamento antibiotico. Ciò avviene soprattutto a causa di un uso inappropriato dei farmaci antimicrobici; il fenomeno è inoltre aggravato dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici. È l’allarme lanciato in vista della Giornata europea degli antibiotici, che ricorre il prossimo 18 novembre, dalla Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (Siso). Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza nelle infezioni oculari è in aumento anche in ambito oculistico. Stafilococco, Streptococco e Pseudomonas Aeruginosa sono tra i super-batteri con livelli più alti di resistenza individuati in campo oftalmologico. “Questi patogeni interessano per la grande maggioranza infezioni corneali, che registrano le più alte resistenze agli antibiotici con 9 casi su 10 insensibili alle terapie”, spiega Vincenzo Sarnicola, membro del consiglio direttivo Sito. Sul banco degli imputati soprattutto l’uso eccessivo di colliri antibiotici contro le congiuntiviti. “L’uso fai da te degli antibiotici è un grave errore”, avverte Scipione Rossi, direttore dell’Oftalmologia dell’ospedale San Carlo di Nancy di Roma e segretario tesoriere di Siso. “La maggior parte delle congiuntiviti infatti è di origine virale e gli antibiotici risultato inefficaci. Ma l’antibiotico-resistenza nelle infezioni oculari è anche il conto che si paga per le troppe prescrizioni degli antibiotici da parte del medico di base o del farmacista e per l’uso profilattico pre e post operatorio”, aggiunge Rossi. Ad aggravare la situazione il cambiamento climatico e l’inquinamento: “a causa dell’erosione del buco dell’ozono si rischia un’eccessiva esposizione alle radiazioni ultraviolette”, spiega Vincenzo Sarnicola. In particolare “le onde più lunghe indeboliscono la superficie oculare che è la sua maggiore difesa contro i microbi, rendendola più vulnerabile alle aggressioni dei patogeni esterni”. Inoltre, “il biossido di zolfo contenuto nelle polveri sottili rende più acido il film lacrimale rendendola più suscettibile alle infezioni batteriche”, conclude l’esperto.
Secondo i risultati di uno studio pubblicato su JAMA Psychiatry, un programma guidato di riduzione dello stress basato sulla mindfulness è efficace nei pazienti con disturbi d’ansia quanto l’uso di escitalopram, il farmaco standard per il trattamento di questo problema. I medicinali attualmente prescritti per i disturbi d’ansia possono essere molto efficaci, ma alcuni pazienti hanno difficoltà a ottenerli, non ne traggono benefici o trovano difficile tollerare gli effetti collaterali. «Gli interventi standardizzati basati sulla mindfulness, come la riduzione dello stress basata sulla mindfulness (MBSR), possono ridurre l’ansia, ma prima di questo studio tali interventi non erano stati messi a confronto con farmaci anti-ansia noti per la loro efficacia» afferma Elizabeth Hoge, del Georgetown University Medical Center di Washington DC, USA, prima autrice del lavoro. I ricercatori hanno reclutato 276 pazienti tra giugno 2018 e febbraio 2020 da tre ospedali di Boston, New York City e Washington DC, e li hanno randomizzati a ricevere MBSR o escitalopram. L’intervento MBSR è stato offerto settimanalmente per otto volte tramite lezioni di persona di due ore e mezza, una lezione nel fine settimana della durata di un giorno, ed esercizi quotidiani di pratica a casa per 45 minuti. I sintomi di ansia dei pazienti sono stati valutati al momento dell’arruolamento e al completamento dell’intervento, oltre che a 12 e 24 settimane dopo l’arruolamento. Alla fine dello studio, 102 pazienti avevano completato l’intervento MBSR e 106 avevano completato la terapia. Gli esperti hanno valutato la gravità dei sintomi di ansia utilizzando una scala da 1 a 7. Entrambi i gruppi hanno visto una riduzione dei loro sintomi di ansia, mediamente di 1,35 punti per MBSR e di 1,43 punti per il medicinale, scendendo da circa 4,5, con una diminuzione di circa il 30%. Gli autori fanno notare che, sebbene la mindfulness funzioni, non tutti sono disposti a investire il tempo e gli sforzi necessari a completare con successo tutte le sessioni necessarie, e fare pratica a casa regolarmente. I ricercatori hanno condotto una seconda fase dello studio durante la pandemia che ha comportato uno svolgimento dei trattamenti in videoconferenza online e che sarà al centro di analisi future, e intendono esplorare gli effetti dell’MBSR anche sul sonno e sulla depressione.
Il fact sheet intende promuovere la valutazione e gestione del rischio di esposizione a Legionella spp. negli ambienti di vita e di lavoro in considerazione delle normativa vigente in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008), delle “Linee guida nazionali per la prevenzione e il controllo della legionellosi” (Accordo Conferenza Stato-Regioni del 7 maggio 2015) e della recente Direttiva (UE) 2020/2184 concernente la qualità dell’acqua per il consumo umano che ha introdotto un parametro pertinente la valutazione del rischio Legionella nell’acqua dei sistemi di distribuzione domestici.
Tra gli altri fattori che contribuiscono all’evoluzione dell’occhio secco ci sono anche problemi ambientali, patologie sistemiche e locali o farmaci.
“Tra le cause più comuni dell’occhio secco (o ‘dry-eye’) ci sono l’invecchiamento e le variazioni ormonali. È per questo che le donne in gravidanza o in menopausa rappresentano il gruppo più numeroso tra i pazienti che soffrono di questa sindrome”. A farlo sapere il dottor Luigi Marino, referente di AIMO per la Regione Lombardia, in occasione di un incontro sul tema che si è svolto nell’ambito del 13esimo Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana Medici Oculisti, il primo organizzato congiuntamente con la Società Italiana di Scienze Oftalmologiche (SISO). L’evento, che si è aperto oggi nella Capitale, è in programma fino a sabato 12 novembre presso le aule del Centro Congressi Europa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Largo Francesco Vito, 1). Tra gli altri fattori che contribuiscono all’evoluzione dell’occhio secco, intanto, ci sono anche fattori ambientali, patologie sistemiche e locali o farmaci. Ma cosa si intende esattamente con il termine ‘dry-eye’? “Una serie di condizioni patologiche che causano la formazione di aree corneali o congiuntivali secche, asciutte (‘dry spots’), conseguenti ad una insufficiente lubrificazione della superficie oculare- ha spiegato Marino- Spesso il ‘dry eye‘ viene confuso con una congiuntivite, è quindi molto importante che sia formulata una diagnosi corretta e per una perfetta diagnosi ci vuole il medico oculista”.
Ma partendo dal fattore età, man mano che questa avanza, tutto l’organismo ha delle trasformazioni, così anche la composizione delle lacrime varia. “Di fatto con l’invecchiamento si riduce il bisogno di bere, ha proseguito l’esperto- la pelle diventa rugosa e le palpebre lasse modificano la regolare forma ed architettura palpebrale. Inoltre, con il tempo, le patologie palpebrali modificano i dotti e alterano la produzione ghiandolare di Meibomio. Si avranno così lacrime con un ridotto contenuto di lipidi, che porteranno ad una rapida e precoce evaporazione della parte acquosa del film lacrimale, creando una condizione di squilibrio nelle lacrime e la sindrome da disfunzione del film lacrimale, appunto l’occhio secco”. Quanto alle variazioni ormonali, invece, alcuni ormoni (gli androgeni) stimolano la produzione di lacrime. “Per questo variazioni di livelli ormonali possono ridurre la normale produzione di lacrime. Stati fisiologici come la gravidanza e il ciclo mestruale- ha fatto sapere ancora Marino- influiscono sulla produzione di lacrime; infatti, in menopausa, si hanno quadri clinici oculari davvero drammatici”. È dunque abbastanza intuitivo capire perché l’occhio secco e tutte le patologie connesse siano “così comuni dopo i 50 anni, soprattutto se si è donna”.
Tra le cause dell’occhio secco, inoltre, c’è anche l’utilizzo di lenti a contatto, che si collocano sulla cornea sul film lacrimale assorbendo una grande quantità di film lacrimale. “L’uso (ma soprattutto l’abuso) di lenti a contatto concorre al provocare una sindrome da disfunzione del film lacrimale– ha aggiunto il dottor Marino- Questo succede specialmente quando non si impiegano lenti a contatto ‘usa e getta’ o giornaliere e per la corretta e necessaria igiene si impiegano soluzioni conservanti ricche di sostanze a lungo andare dannose”. Farmaci sistemici che hanno come effetto collaterale un ‘occhio secco’ sono invece gli ansiolitici, i sedativi, gli antidepressivi, gli antistaminici, i decongestionanti nasali, i contraccettivi orali o i diuretici. Diversi studi internazionali, infine, confermano che l’uso prolungato di un monitor, ma anche di un semplice smartphone o tablet, provoca la manifestazione di disturbi oculari come bruciore, arrossamento, lacrimazione, sensazione di secchezza oculare, fastidio alla luce, senso di affaticamento e annebbiamenti visivi transitori.
A prendere parte al Congresso, anche alcuni dei principali opinion leader internazionali nell’ambito del ‘dry-eye’, riuniti in una tavola rotonda con l’obiettivo di provare a costruire tutti insieme delle “semplici ma precise” Linee guida su questa sindrome: “L’occhio secco è una patologia multifattoriale piuttosto complessa, perché può avere molte sfaccettature e spesso non è facile impostare la giusta terapia- ha detto la dottoressaRomina Fasciani, Dirigente medico presso il Policlinico ‘A. Gemelli’ UCSC di Roma e membro del consiglio direttivo di AIMO- Molti oculisti pensano che sia sufficiente gestire questa sindrome con le lacrime artificiali, ma non è così scontato e il tema è in realtà molto più complesso. Per questo sarebbero necessarie delle indicazioni chiare su come orientarsi in un panorama complicato come quello dell’occhio secco. L’obiettivo della nostra tavola rotonda, allora, è proprio quello di riuscire ad elaborare delle Linee guida sul ‘dry eye’, cioè un documento condiviso che abbia un consenso il più largo possibile e sia naturalmente aperto, oltre che ai soci di AIMO e SISO, anche a tutta la popolazione oftalmologica italiana”.
Per il trattamento dell’occhio secco, intanto, sono a disposizione due nuove tecnologie. Ne ha parlato in occasione del Congresso il dottor Carlo Orione, socio fondatore di AIMO e referente dell’Associazione per la Regione Piemonte: “La prima è il Jett plasma, una nuovissima tecnologia che con un elettrodo d’oro decheratinizza il bordo palpebrale riaprendo le ghiandole- ha detto- e con quello d’argento le svuota dal Meibum solido e ripolarizza le cellule ghiandolari riattivandole. Utilizzando un elettrodo d’argento si agisce invece sulle ghiandole di Meibomio con tre risultati: il primo, si porta la temperatura a 45 gradi sciogliendo il Meibum; il secondo, si induce cambiamenti di polarità della membrana cellulare ionizzandole e migliorando così l’interscambio metabolico; il terzo è che solitamente le cellule hanno una carica negativa all’interno della loro membrana, per cui l’invecchiamento causa una distribuzione irregolare delle cariche elettriche con perdita del potenziale di membrana e altera i canali del sodio e del potassio, perdendo la sua capacità di assimilare sostanze nutritive. Stimolando quindi la depolarizzazione di membrana si ha una successiva ripolarizzazione con un aumento di perfusione sanguigna delle ghiandole che riprendono a produrre un Meibum oleoso”.
La seconda tecnologia è la ‘Dry Eye Dual System’, che secondo l’esperto è “l’unico strumento che permette di utilizzare contemporaneamente due tecnologie – ha aggiunto- e la novità è quella di usarla direttamente. La luce pulsata si utilizza anche per l’epilazione, ed è proprio per quello che si è iniziato ad utilizzarla indirettamente per evitare il contatto sulle ciglia; ma se noi utilizziamo i filtri a 530 micron siamo sicuri di non danneggiare il bulbo pilifero che si trova a 640 micron di profondità. Importantissima in questo senso è la protezione dell’occhio con appositi gusci colorati o meglio ancora neri”. La IPL causa dunque la “riduzione dei vasi sanguigni teleangectasici, che rilasciano fattori infiammatori all’occhio (citochine e chemochine): se chiudiamo le teleangectasie il ciclo infiammatorio si riduce. La IPL inibisce quindi le citochine, che vengono rilasciate dai neovasi ed infiammano le GHM, e opprime l’attività delle metalloproteinasi, una famiglia di enzimi la cui funzione principale è la degradazione delle proteine della matrice extracellulare”. È stato dimostrato, tramite biopsia, che l’IPL riduce “drasticamente” il Demodex e “sembra che l’IPL agisca danneggiandone la membrana citoplasmatica. Nel 2019, infine, è stato pubblicato un lavoro su ‘The Ocular Surface‘, che dimostra come i neuroattivatori possano stimolare la ghiandola lacrimale e le ghiandole del Meibomio”. Ed è per questo motivo che “abbinando la radiofrequenza alla luce pulsata il risultato è migliore”, ha concluso infine l’esperto
Negli ultimi gli anni la disinfezione ha acquisito un’importanza fondamentale per contrastare le infezioni causate da agenti biologici sempre più aggressivi, per i quali spesso essendo resistenti anche ai farmaci più innovativi non sono disponibili efficaci terapie farmacologiche.
Nelle strutture sanitarie e assimilabili si è avuto un forte aumento negli anni delle infezioni correlate all’assistenza. Il fact sheet descrive gli aspetti correlati al rischio biologico ed all’attuazione della disinfezione ambientale e delle superfici nell’ambito delle attività assistenziali e quelle clinico-diagnostiche e/o terapeutiche. Quanto sopra in relazione alle attuali conoscenze tecnico-scientifiche, all’innovazione tecnologica ed agli adempimenti della vigente legislazione.
Il testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, negli oltre cinquanta anni decorsi dalla sua entrata in vigore, è stato oggetto di interventi del legislatore finalizzati a modificarne o integrarne taluni articoli.
In alcuni casi, gli interventi di modifica sono stati reiterati sulla medesima disposizione. Nella presente pubblicazione non sono indicate tutte le modificazioni che si sono succedute nel tempo, ma soltanto quelle per effetto delle quali la formulazione della disposizione è quella attualmente vigente.
Eccolo … Napo è di nuovo in azione con il nuovo filmato di Napo Eu-Osha che analizza i rischi da agenti cancerogeni sul lavoro e la prevenzione.
Il filmato Eu-Osha affronta con il suo consueto modo accattivante la problematica dei rischi sul lavoro correlati a fumi, silice, polveri di legno e quindi di edilizia, meccanici e falegnami. Sono analizzate alcune tipiche situazioni di rischio dando primarie e immediate soluzioni preventive
Un video affronta le sostanze cancerogene che possono essere generate nei siti e nei processi industriali con uso di sostanze chimiche .
Articolo di Federico Lucia da” il fatto quotidiano”
L’imprescindibile diritto dei lavoratori di prestare la propria attività senza incorrere in infortuni e malattie ha, nel tempo, accentuato l’importanza del ruolo assunto dalla vigilanza. Il Preposto – e cioè colui che sovrintende e vigila sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori sia degli obblighi di legge, sia delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza (d.lgs. 81/2008, cosiddetto Testo Unico) – è stato nel tempo ricondotto quasi ad una figura di “allenatore sul campo” della sicurezza, stante la sua centralità nel farsi portatore della cultura del “lavoro sicuro”.
Il recente D.L. 146 del 2021 è intervenuto per potenziarne ruolo e poteri, così da migliorare l’efficacia del più articolato sistema di vigilanza aziendale.
Identificare correttamente il Preposto è cruciale nelle realtà complesse
In una realtà complessa in cui per Datore di Lavoro e Dirigente risulta difficile verificare il regolare svolgimento dell’attività e l’adozione di comportamenti sicuri da parte dei lavoratori, il ruolo del Preposto assume un carattere imprescindibile sotto il duplice aspetto della leadership e dell’esperienza.
Trattasi infatti di una figura che dovrebbe distinguersi per livello di seniority (il lavoratore maggiormente esperto dell’attività o del processo lavorativo su cui è chiamato a vigilare) e anche per leadership, disponendo quindi di un adeguato e riconosciuto grado di autorità e autorevolezza tale per cui possa configurarsi un carattere di preminenza, se non gerarchica per lo meno funzionale, rispetto al team che è chiamato a coordinare.
Vi è di più: perché tale ruolo risulti efficace, il Preposto deve essere individuato tra le figure funzionalmente più vicine ai lavoratori che svolgono l’attività oggetto di presidio. Potremo definirlo quasi come il “capo di prossimità” del lavoratore e che, diversamente dagli altri manager, può intervenire prontamente e direttamente per modificare un comportamento insicuro ed impedire il verificarsi di un incidente.
Adeguata conoscenza del processo lavorativo, vicinanza al lavoratore, autorità e autorevolezza diventano quindi caratteristiche imprescindibili del Preposto. Un’errata scelta comporterebbe infatti, oltre che una criticità dal punto di vista organizzativo della sicurezza della sicurezza, anche la vanificazione della nomina: ricordo, infatti, che l’art. 299 del d.lgs. 81/2008 esplicita che la posizione di garanzia delle figure di Datore di Lavoro, Dirigente e Preposto grava su colui che esercita nel concreto (di fatto) i poteri direttivi associati a tali figure. A nulla gioverebbe al Datore di Lavoro, pertanto, formalizzare la nomina a Preposto ad una figura che non dispone delle caratteristiche sopra individuate: oltre ad essere priva di valore giuridico, lo esporre sia alle sanzioni derivate dalla mancata identificazione, che da quelle potenziali dovute alla mancata vigilanza.
I nuovi poteri del Preposto: da “allenatore” a vero e proprio “manager” della sicurezza
La vecchia formulazione del Testo Unico il Preposto vedeva il Preposto come colui chiamato a sovrintendere l’attività lavorativa, segnalando ai superiori gerarchici eventuali criticità di sicurezza rilevate. Solo in caso di pericolo grave ed immediato (emergenza) la legge poneva obbligo di intervento diretto con lo scopo di interrompere l’attività lavorativa.
È facile dunque comprendere come a tale figura, pur cruciale, fossero a conti fatti associati poteri più reattivi che proattivi, diminuendo enormemente la portata della sua funzione in chiave preventiva. Segnalare un’anomalia prevede infatti un gap temporale tra la rilevazione della stessa, la sua presa in carico e la sua risoluzione. Gli stessi preposti, poiché non adeguatamente coperti da un chiaro mandato derivante dalla Legge, si trovavano inermi di fronte a talune situazioni.
Il DL 146/2021 è intervenuto in maniera chiara e netta, esplicitando quei poteri direttivi che nella precedente formulazione non erano chiaramente definiti.
Il Preposto è ora una figura proattiva, non soltanto reattiva: può interrompere l’attività lavorativa se ravvisa deficienze nelle attrezzature e nei dispositivi di sicurezza, così come nei comportamenti del lavoratore. Può inoltre richiamare direttamente il lavoratore che trasgredisce alle direttive di sicurezza, innescando in tal modo l’iter disciplinare interno, senza necessariamente dover attendere l’esito dell’escalation verso i superiori gerarchici.
Da allenatore sul campo, il Preposto è divenuto ora arbitro della partita, andando così a chiudere il cerchio su una vigilanza che prima era enunciata ma che risultava imperfetta nella sua applicazione reale. Ritengo tale evoluzione un importante passo avanti verso il raggiungimento di una cultura della sicurezza maggiormente pervasiva e capace di rispondere con forza alle mutevoli esigenze organizzative di un contesto lavorativo in continua evoluzione.
I microRNA sono promettenti biomarcatori di esposizione precoce a sostanze dannose non solo in ambito clinico ma anche nel settore occupazionale.
Dati preliminari delle campagne di biomonitoraggio, analizzati mediante statistica mutivariata, hanno evidenziato correlazioni altamente significative tra microRNA differenzialmente espressi in lavoratori esposti a composti organici volatili presenti nei metaboliti urinari e impiegati nella verniciatura della cantieristica navale. L’obiettivo del Laboratorio interazioni sinergiche tra rischi è quello di approfondire il ruolo dei microRNA quali biomarcatori innovativi di esposizione ambientale ed occupazionale e di verificarne l’utilizzo come strumento prognostico per prevenire eventuali patologie indotte da tali composti presenti nell’ambiente di lavoro.
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