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DERMATITE DA MASCHERINE NEGLI OPERATORI SANITARI

Da DentalAcademy.it

In tempo di pandemia, i dispositivi di protezione individuale (Dpi), in particolare le mascherine, sono quanto mai essenziali per la sicurezza degli operatori sanitari. È stato però dimostrato che l’uso prolungato dei Dpi aumenta il rischio di dermatosi professionali. Tra le dermatiti professionali figurano la dermatite da contatto irritativa – a cui sono dovuti quattro casi su cinque – e la dermatite allergica da contatto.

Una revisione sistematica delle dermatosi professionali derivate dall’uso prolungato delle mascherine chirurgiche e dei respiratori FFP3 (N95) è stata recentemente pubblicata sul Journal of the American Academy of Dermatology a cura di un variegato team di studiosi di diversi ospedali e università statunitensi. «Abbiamo identificato – riassumono gli autori – 344 articoli, di cui 16 erano adatti per essere inclusi nella nostra revisione. Gli articoli selezionati erano incentrati sulle dermatosi professionali del viso negli operatori sanitari. È stata segnalata l’insorgenza di dermatite allergica in diversi soggetti, mentre la dermatite da contatto irritativa è risultata comune sulle guance e sul dorso del naso a causa della pressione e dell’attrito».

La dermatite da contatto irritativa, la forma più comune tra le malattie della pelle professionale, deriva da lesioni citotossiche dovute al contatto diretto con sostanze chimiche o irritanti fisici. Le manifestazioni si presentano clinicamente come eritema, desquamazione, edema e vescicole insieme a ulcerazioni e fessure nell’area di contatto. I sintomi riportati spesso includono dolore, pizzicore o bruciore più che prurito. I pazienti con una storia di dermatite atopica sono più suscettibili agli irritanti perché hanno difetti di barriera cutanea. I ricercatori americani hanno rilevato un’associazione della dermatite irritativa con un utilizzo prolungato della mascherina (più di sei ore).

Sono stati anche segnalati casi di eruzioni acneiformi dovute probabilmente a sfregamento o a occlusione (acne meccanica) in pazienti che in passato avevano già sofferto di acne. L’orticaria da contatto è stata piuttosto rara.

La dermatite da contatto allergica è invece una reazione di ipersensibilità di tipo IV ritardata che può svilupparsi in risposta agli allergeni nell’ambiente. In questo caso, i fattori di rischio sono i materiali di cui è composta la mascherina o che sono stati utilizzati per la sua realizzazione e sono ovviamente esacerbati dall’uso prolungato. La divulgazione incompleta e talvolta assente delle sostanze chimiche impiegate nella produzione dei Dpi rende difficile l’identificazione degli allergeni rilevanti. Gli autori hanno comunque identificato diverse fonti possibili di dermatite allergica, come i lacci elastici, la colla e la formaldeide rilasciata da questi dispositivi. Fili o cerchi metallici vengono utilizzati per modellare la mascherina sul viso; anche se è improbabile che questi fili siano a diretto contatto con la pelle, l’uso ripetuto o per lunghi periodi, lo sfregamento e la sudorazione possono provocare il rilascio e il trasferimento degli ioni metallici sulla pelle e scatenare reazioni allergiche in alcune persone predisposte.

Renato Torlaschi
Giornalista Italian Dental Journal

1. Yu J, Chen JK, Mowad CM et al. Occupational dermatitis to facial personal protective equipment in health care workers: a systematic review. J Am Acad Dermatol. 2021 Feb;84(2):486-494.

RISCHIO CHIMICO IN AGRICOLTURA: LA VALUTAZIONE DI INSETTICIDI E FUNGHICIDI SULLE FOGLIE.

da inail.it

Il Quaderno si inserisce nel filone di ricerca sulla valutazione del rischio chimico nei lavoratori del comparto agricolo e presenta un approccio completamente nuovo per la valutazione dell’esposizione.

A questo scopo è stato sviluppato un metodo quantitativo per l’analisi diretta di alcuni comuni pesticidi sulle foglie di due colture estremamente diffuse in Italia: l’olivo e la vite. L’obiettivo del progetto era quello di ottenere un metodo di analisi molto veloce ed affidabile per valutare l’effettiva esposizione dei lavoratori agricoli durante le operazioni di rientro in campo. L’uso di una innovativa interfaccia per spettrometria di massa, la desorption electrospray ionization interface, ha permesso di raggiungere tale obiettivo fornendo i valori di concentrazione dei residui dei pesticidi semplicemente scansionando la superficie della foglia. Tali valori sono direttamente correlabili, tramite un’equazione, all’esposizione dermica potenziale e quindi possono fornire una stima molto accurata della quantità potenzialmente assorbibile dal lavoratore. Il metodo sviluppato è risultato quindi essere sensibile e accurato ma anche molto rapido essendo privo di pretrattamento (scarsa manipolazione del campione da parte dell’analista); inoltre, la quantità di solventi usata in tutto il processo risulta decisamente esigua (nell’ordine di pochi millilitri). Tutti questi aspetti hanno contribuito a rendere il metodo anche ecologico e a basso rischio di esposizione per coloro che devono effettuare i controlli.




Prodotto: Volume – Collana Quaderni di ricerca
Edizioni: Inail – marzo 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Informazioni e richieste: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

FTALATI E INFERTILITÀ

da Inail.it

Gli ftalati sono un gruppo di molecole (esteri dell’acido ftalico) utilizzate in numerose produzioni, dai materiali per costruzione a contenitori per alimenti e pellicole, dispositivi medici e cosmetici. Alcuni ftalati hanno mostrato tossicità per l’uomo, in particolare agendo come interferenti endocrini. Attualmente il Reg. CE 1907/2006 REACH ha inserito in regime di autorizzazione 11 ftalati identificati come reprotossici. L’esposizione professionale a ftalati si realizza, potenzialmente, in tutti i contesti industriali, in cui questi composti chimici vengono prodotti e/o utilizzati per la realizzazione dei manufatti che li contengono, come ad esempio nelle produzioni di guarnizioni o tubi in gomma, prodotti a base di PVC e lacche industriali, ma anche in ambiti non industriali, come ad esempio nell’estetica, in quanto contenuti negli smalti per le unghie. La ricerca sull’esposizione professionale a sostanze con queste caratteristiche di pericolosità riveste sempre maggiore importanza ed ha condotto il Parlamento Europeo a proporre un aggiornamento della direttiva 2004/37/CE, dedicata alla protezione dei lavoratori da agenti cancerogeni e mutageni, con l’inserimento anche delle sostanze reprotossiche tra le sostanze di maggiore preoccupazione e che richiedono quindi una gestione specifica di prevenzione del rischio occupazionale.

L’azione dello stress ossidativo. Lo stress ossidativo riflette un disturbo nell’equilibrio tra la produzione e accumulo di specie reattive dell’ossigeno (ROS). I ROS vengono spazzati via dal sistema antiossidante, ma quando sono in concentrazione eccessiva, possono ossidare proteine, lipidi e DNA. L’esposizione ad agenti chimici pericolosi può produrre stress ossidativo. I prodotti di ossidazione che vengono escreti nelle urine sono considerati indicatori di effetto, ed evidenziano la presenza di sintomi precoci o situazioni disfunzionali reversibili che possono essere sfruttati per la prevenzione delle malattie professionali.

La ricerca dei laboratori Inail. Da diversi anni i laboratori Inail Dipartimento Medicina del Lavoro sono impegnati nella ricerca sull’esposizione a ftalati e sull’uso di indicatori di stress ossidativo come indicatori di effetti legati all’esposizione ad agenti chimici. Uno studio effettuato dai laboratori Rischio agenti chimici e sorveglianza sanitaria e promozione della salute in collaborazione con l’IRCCS San Raffaele di Milano su 52 uomini e 60 donne sottoposti ad un trattamento assistito della riproduzione ha confermato che i livelli urinari di biomarcatori dello stress ossidativo sono direttamente correlati con i metaboliti di alcuni ftalati urinari in entrambi i sessi. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Toxics. E’ possibile consultare l’articolo utilizzando il link sotto indicato.

FOCUS SUL LAVORO AGILE E POSTURE

In una situazione ancora legata alle necessità del contenimento del virus SARS-CoV-2 può apparire difficile operare un’adeguata analisi dei rischi delle tante attività che sono state provvisoriamente organizzate a distanza ( lavoro agile/smart working o telelavoro).

Tuttavia è indubbio che questa nuova organizzazione di lavoro sia destinata ad avere un impatto permanente sul mondo del lavoro e necessiti uno sviluppo di idonee strategie di prevenzione che tengano conto di questa futura evoluzione.

Smart working: ergonomia e disturbi muscoloscheletrici

Parlando di rischi nelle attività svolte in smart working, si ricorda innanzitutto che queste attività sono soggette a criticità ergonomiche e all’eventuale insorgenza di disturbi muscoloscheletrici (DMS).

A questo proposito si ricorda che tra le più frequenti patologie collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa figurano “quelle inerenti all’apparato muscoloscheletrico” che si traducono spesso in “costi gravanti sui datori di lavoro, motivo per il quale una loro risoluzione o miglioramento giova sia alla salute dei lavoratori sia ai bilanci delle imprese”.

Generalmente i disturbi muscoloscheletrici “interessano la schiena, il collo, le spalle e gli arti superiori, ma possono anche colpire gli arti inferiori. Riguardano dolori o danni ad articolazioni e tessuti e coprono un’ampia gamma di disturbi. A seconda del livello di serietà, possono portare all’impossibilità a recarsi sul luogo di lavoro e necessitare di cure mediche. Nei casi cronici più gravi, possono addirittura portare alla disabilità e all’abbandono forzato del posto di lavoro”.

Queste patologie possono essere causate da una combinazione di elementi e tra quelli inerenti all’attività lavorativa e al suo svolgimento “ricadono in generale i seguenti:

  • l’assunzione di posture scorrette o statiche; ritmi intensi di lavoro;
  • il mantenimento prolungato della stessa posizione in piedi o seduta;
  • la movimentazione di carichi, specialmente quando si ruota o si piega la schiena; movimenti ripetitivi o che richiedono uno sforzo
  • vibrazioni, scarsa illuminazione o lavoro in ambienti freddi”.

Tuttavia sono i primi tre elementi che “hanno la possibilità di manifestarsi anche in modalità smart working, mentre gli altri rischi sono pertinenti maggiormente per i lavoratori in solitudine che spesso si trovano ad operare in ambienti con caratteristiche non favorevoli che aggravano la gravità del rischio”.

Smart working: posture scorrette e utilizzo delle attrezzature

Riguardo alle mansioni svolte in modalità smart working si chiarisce che “non sono gli strumenti informatici (computer, cellulare ecc.) a causare eventuali dolori, ma le posture scorrette con cui li si utilizza mantenute a lungo”.

Ad esempio – continua il documento – “l’assunzione di posizioni di lavoro scorrette, come il mantenimento del computer appoggiato sulle ginocchia, l’utilizzo di sedie non ergonomiche o addirittura del proprio divano in una postazione domestica, può generare con il passare del tempo severi danni all’apparato muscoloscheletrico.

Anche l’utilizzo dello smartphone in maniera non ottimale può generare conseguenze importanti, soprattutto nei casi in cui per digitare lo schermo vengono utilizzati prevalentemente i pollici impugnando lo strumento con entrambe le mani. Protraendo infatti nel tempo uno stesso movimento c’è il rischio di sovraccaricare alcuni tendini della mano. Il caso più tipico è quello della tenosinovite stenosante, più comunemente nota come ‘dito a scatto’”, una disfunzione dal decorso lento che “parte da un lieve dolore (che sovente colpisce il pollice, da cui il fenomeno del ‘pollice da smartphone’) fino talvolta a degenerare fino al blocco permanente del dito”.

L’utilizzo prolungato e in posizione scorretta di strumenti informatici (computer, cellulare, ecc.) “può generare ulteriori problemi”.

Ad esempio si indica che negli ultimi anni “si sono riscontrati notevoli miglioramenti della definizione fornita dagli schermi delle apparecchiature digitali, i quali pur portando notevoli benefici hanno tuttavia indotto gli utilizzatori a mantenere una prolungata esposizione per il proprio apparato visivo e posizioni sicuramente meno ergonomiche definite ‘a tartaruga’ cioè con la testa sporgente verso lo schermo con le evidenti conseguenze per il rachide a lungo termine”.

Inoltre le apparecchiature digitali, a seguito di una prolungata attività di digitalizzazione, “possono far emergere condizioni come la sindrome del tunnel carpale” che è dovuta alla “compressione del nervo mediano al suo passaggio all’interno del tunnel carpale, un canale delimitato dalle ossa del polso e da tessuto connettivale. La sofferenza del nervo si manifesta con dolore, formicolii e alterazioni della sensibilità delle dita, spesso di notte o al risveglio. Se trascurata, potrebbe portare alla difficoltà di esecuzione anche di semplici movimenti”.

Smart working ed ergonomia: formazione e azioni di prevenzione

Il documento indica poi che per migliorare la prevenzione di questi problemi va dedicata massima importanza sia ai percorsi di informazione/formazione (quale “strumento per evidenziare i comportamenti e le posture corrette per i lavoratori”), sia alle “necessarie azioni di prevenzione che dovrebbero includere modifiche riguardanti:

  • gli spazi di lavoro, adeguandoli al fine di migliorare le posture lavorative;
  • le attrezzature, assicurando che siano ergonomiche e adatte ai compiti da svolgere;
  • un miglioramento della consapevolezza dei rischi, impartendo come già anticipato una formazione su buoni metodi di lavoro;
  • i compiti specifici dei lavoratori agili, cambiando metodi o strumenti di lavoro;
  • la gestione, invitando ad una pianificazione del lavoro in modo tale da evitare mansioni ripetitive o prolungate con posture scorrette, programmando pause, o pensando ad una eventuale rotazione delle funzioni fino ad una possibile riassegnazione del lavoro;
  • i fattori organizzativi, sviluppando una politica in materia di tutela dell’apparato muscoloscheletrico.

Infine si segnala che dal punto di vista ergonomico è importante ricordare sempre “quanto sia opportuno eseguire alcuni esercizi durante le pause”. Infatti come ormai dimostrato da tempo gli esercizi di ginnastica e di stretching consentono di “migliorare nettamente lo stato di salute”.

da unione artigiani province di milano : https://unioneartigiani.it/i-rischi-ergonomici-nel-lavoro-agile-posture-attrezzature-e-prevenzione/

SINTOMI DA BURN OUT NEL 70% DEI MEDICI LOMBARDI

da repubblica.

Indagine dell’Università Bicocca e di Anaao-Assomed: l’87,4% vede nella pandemia e nell’avvento della quarta ondata pandemica effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo.

Sono in prima linea da due anni, per curare e aiutare i loro pazienti non soltanto per malanni e problemi ordinari, ma anche per tutto quello che è connesso alla pandemia da Covid. E così anche loro, i medici, si sono ammalati. Ansia, depressione, stress: la pandemia ha influenzato lo stato psicologico del personale medico, e a dirlo questa volta è una indagine condotta dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca per ANAAO-ASSOMED Lombardia. Un fenomeno, quello del burnout – recentemente riconosciuto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) come una sindrome in grado di influenzare lo stato di salute – che nei medici lombardi, una tra le categorie occupazionali maggiormente soggette a stress lavorativi cronici, è stato rilevato in misura significativa. A risentirne non è solamente lo stato di salute dei soggetti coinvolti nella ricerca, bensì anche le prestazioni lavorative, le quali risultano essere nient’altro che “camera dell’eco” del malessere psicofisico indagato.

LE SOSTANZE PERICOLOSE CHE POSSIAMO BERE DALLE BOTTIGLIE DI PET

da ilfattoquotidiano

Tra le varie tipologie di plastiche usate nella nostra quotidianità, quella impiegata per fabbricare bottiglie per acqua minerale, bevande analcoliche, succhi di frutta e latte – il polietilene tereftalato o PET – è da sempre considerata la più nobile. L’elevata trasparenza, la facilità di lavorazione nei cicli industriali, unite alla sua economicità, l’hanno reso il terzo tipo di polimero più impiegato al mondo per gli imballaggi monouso.

Eppure anche il PET, come tutte le altre plastiche, può essere fonte di sostanze chimiche pericolose per la salute umana che dalla bottiglia possono finire nel liquido alimentare che beviamo. Lo ha messo in evidenza, in uno studio pubblicato nelle scorse settimane sul Journal of Hazordous Materials, un gruppo di ricercatrici e ricercatori inglesi, statunitensi e italiani.

Passando in rassegna la letteratura scientifica specializzata, gli esperti hanno evidenziato che centocinquanta sostanze possono essere rilasciate dal contenitore nelle bevande. E, in diciotto casi, per alcune di esse sono stati rilevati livelli di contaminazione che eccedevano le soglie di sicurezza per la salute umana fissate a livello europeo.

Ci sono numerose variabili che aumentano il rischio di contaminazione: le condizioni di conservazione, l’esposizione alle alte temperature e alla luce solare (e ai raggi UV), il ricorso a bottiglie piccole e meno spesse. Anche la lodevole azione di riempire più volte la stessa bottiglia, che molti di noi possono aver fatto per ridurre lo spreco di plastica, può rivelarsi una scelta non sempre sicura.

Tra le sostanze indesiderate compaiono aldeide e formaldeide, entrambe secondo la IARC (l’Agenzia internazionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Cancro) correlate ad alcune forme di tumore. A cui si aggiungono alcuni interferenti endocrini, la cui presenza è accidentale visto che non vengono impiegati nel processo di fabbricazione del PET. Tra questi i più tristemente famosi sono gli ftalati e il bisfenolo A, che causano serie conseguenze sul metabolismo, la fertilità, lo sviluppo sessuale e cerebrale. Anche l’antimonio, un metallo utilizzato nella produzione della plastica per le bottiglie e collegato a diverse patologie per l’essere umano, può essere ceduto dal contenitore alla bevanda. E, come evidenziano alcuni studi, i livelli di contaminazione di questo metallo possono essere maggiori in presenza di materiale riciclato: una soluzione a cui bisognerà ricorrere sempre di più nei prossimi anni in base a quanto stabilito nella direttiva europea SUP.

Per ridurre i rischi, gli studiosi raccomandano di intervenire sul design, prestando particolare attenzione a etichette e inchiostri, che sono spesso fonte di sostanze chimiche; accertarsi che le condizioni di conservazione siano ottimali; introdurre sistemi di “super pulizia” per la plastica proveniente dal riciclo. Bisognerebbe infine adottare sistemi di raccolta specifici per queste tipologie di contenitori, come i sistemi di deposito cauzionale adottati già da diversi anni in molte nazioni europee. Un sistema che dovrebbe vedere la luce anche in Italia, dando seguito a un emendamento approvato nel Decreto Semplificazioni e che ancora non è stato tradotto in realtà dai ministeri competenti.

È tuttavia evidente che per ridurre al minimo il rischio derivante da questa roulette chimica possiamo sempre scegliere di bere l’acqua di rubinetto: un’alternativa alla portata di tutti e quasi ovunque sicura nel nostro Paese.

IL CONTRIBUTO DEI LAVORATORI ALLA PREVENZIONE DEI DMS

da eu-osha

La partecipazione attiva dei lavoratori è fondamentale per individuare e risolvere i rischi dei disturbi muscolo-scheletrici (DMS).Il seguente articolo dell’EU-OSHA dà un’idea di come i lavoratori possono contribuire e propone alcuni esempi di partecipazione dei lavoratori finalizzati alla prevenzione dei DMS. Sono indicato i fattori di successo e i principi guida della partecipazione . Vi sono inoltre indicazioni e consigli di buone pratiche per le piccole imprese.

Dieci studi di casi approfonditi evidenziano una partecipazione efficace in vari settori. Esempi ne sono la partecipazione dei lavoratori alla concezione di una falegnameria sicura ed ergonomica e la formazione di personale alberghiero come coordinatori della prevenzione.

Qui l’articolo e la sintesi de La partecipazione dei lavoratori alla prevenzione dei rischi muscolo-scheletrici sul lavoro e 10 studi di casi

Maggiori informazioni: Spunti di conversazione per le discussioni sul luogo di lavoro sui disturbi muscolo-scheletrici. Documento di riflessione: Ergonomia partecipativa e prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici sul posto di lavoro

Documento di riflessione: Ergonomia partecipativa e prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici sul posto di lavoro

Scheda informativa: Mappatura del corpo e dei pericoli

Articolo OSHwiki: Realizzare un’ergonomia partecipativa

CORSO INAIL: MONITORAGGIO BIOLOGICO PER ESPOSIZIONE AD AGENTI CHIMICI

Il corso vuole rispondere all’esigenza di aggiornamento e supporto di datori di lavoro e aziende sanitarie in materia di sviluppo e validazione di metodi per il monitoraggio biologico dell’esposizione ad agenti di rischio, acquisizione di dati biologici correlabili con dati ambientali, epidemiologici e clinici, individuazione di valori di riferimento per l’esposizione occupazionale.

Il monitoraggio biologico (MB) è lo strumento d’elezione per conoscere realmente le dosi di sostanze pericolose a cui un lavoratore è stato esposto, soprattutto nel caso di sostanze assorbibili attraverso la pelle, in caso di uso di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, per valutare esposizioni pregresse in caso di incidente, per il registro dell’esposizione a cancerogeni. Per questo è utilizzato da molti datori di lavoro e aziende sanitarie, pur se in carenza di indicazioni normative.
Il Laboratorio rischio agenti chimici ha nei suoi obiettivi istituzionali lo sviluppo e validazione di metodi per il monitoraggio biologico dell’esposizione ad agenti di rischio, l’acquisizione di dati biologici correlabili con dati ambientali, epidemiologici e clinici, e l’individuazione di valori di riferimento per l’esposizione occupazionale. La diffusione di queste informazioni risponde all’esigenza di aggiornamento e supporto di datori di lavoro e aziende sanitarie.

Numero minimo di partecipanti 10
Numero massimo di partecipanti 30

Destinatari
Medici (tutte le discipline), tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, assistenti sanitari, chimici, biologi, fisici

Data scadenza iscrizione
10 maggio 2022


Calendario
25 maggio 2022, 08.30 – 17.00 + verifica finale

Modalità di iscrizione
L’iscrizione può essere effettuata contattando la segreteria organizzativa:
tel. 06.94181575, email: r.dml.corsi@inail.itm.catelli@inail.it

Crediti
Sono stati richiesti crediti ECM per medici (tutte le discipline), tecnici della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro, assistenti sanitari, chimici, biologi, fisici

Codice edizione
[AC_2022]

Data Inizio

25/05/2022

Durata

7 ore di didattica più verifica finale

Costo iscrizione

175.0 €

Luogo

Inail – P.le G. Pastore, n. 6 – 00144 Roma

PROGRAMMA DEL CORSO

CAMPI ELETTROMAGNETICI E AUTO ELETTRICHE

da ilsole24ore.it

L’auto elettrica è considerata la mossa chiave per migliorare la qualità dell’aria nelle città, favorire la mobilità sostenibile e accelerare la decarbonizzazione. Non è però una strada senza ostacoli, per diversi motivi, sia dal punto di vista delle emissioni che sotto il profilo della sicurezza.

Il tema che al momento preoccupa di più il mondo della ricerca è quello legato alla sicurezza per l’esposizione ai campi elettromagnetici di chi utilizza veicoli elettrici, sia come guidatore che come passeggero. I motivi sono più di uno ma il più importante è l’assenza, per ora, di regole standard e di strumenti di misurazione adeguati e affidabili. Il timore nel mondo scientifico è che con la produzione di massa di auto elettriche e in assenza di regole adeguate, «i costruttori possano cercare di ridurre i costi risparmiando sulle schermature protettive dai campi elettromagnetici, portando sul mercato modelli di auto elettriche con bassi livelli di sicurezza».

LISTE DI CONTROLLO DEI RISCHI DELLA SUVA

Liste di controllo.

Le liste di controllo della Suva sono molto efficaci per individuare e contrastare i pericoli in azienda. Le liste sono state realizzati da specialisti della sicurezza sul lavoro (MSSL) per essere utilizzate nella pratica. Le liste di controllo sono adatte per l’individuazione dei pericoli e la pianificazione delle misure sia nelle piccole che nelle grandi aziende.
Se l’azienda ha scelto di attuare una soluzione settoriale, le liste di controllo servono a prolungare l’efficacia nel tempo del lavoro preventivo.

ecco il link:

https://www.suva.ch/it-ch/prevenzione/il-sistema-di-sicurezza/individuazione-dei-pericoli-per-le-pmi#uxlibrary-material=052b65be9533fe92a2cfe25a331f3e4a&uxlibrary-material-filter=materialGroup:all

È possibile installare anche la specifica app:

App: Suva Safety App