Novità

UN ECOGRAFO GRANDE COME UN CELLULARE

In un momento in cui la rapidità delle diagnosi è essenziale e l’accesso alle cure ospedaliere è spesso ridotto a causa del Covid-19, GE Healthcare ha presentato Vscan Air, un nuovo ecografo wireless che offre immagini di alta qualità, capacità di scansione total body e la condivisione sicura dei dati.

Si tratta di un dispositivo compatto, della dimensione di un cellulare.

Vscan Air, con la sua doppia sonda offre esami accurati – sia superficiali che profondi – anche direttamente a casa del paziente.

Ecografia portatile, la proposta di GE Healthcare

Mettendo a disposizione l’innovativa tecnologia ecografica portatile di Vscan Air, GE Healthcare punta a fornire un supporto importante al settore sanitario messo fortemente sotto pressione dalla pandemia.

L’ecografo portatile è infatti uno strumento essenziale per ottenere rapidamente immagini diagnostiche tanto all’interno quanto all’esterno dell’ospedale.

In questo modo, permettendo di ridurre l’accesso dei pazienti nei reparti e minimizzare il rischio di contagio.

Inoltre, diversi studi dimostrano che il risultato dell’esame ad ultrasuoni ottenuto grazie all’ecografo portatile è paragonabile sia ai raggi X che alla TAC per quanto riguarda l’esame dei polmoni dei pazienti affetti da Covid-19.
Il nuovo sistema a ultrasuoni presentato da GE Healthcare è uno dei più piccoli e leggeri dispositivi portatili.
Peraltro, può contare su un’elevata qualità dell’immagine e un avanzato software di visualizzazione.

ecografia
Vscan Air

Secondo la società, fra i benefici anche un’interfaccia molto semplice ed intuitiva e la condivisione sicura dei dati. Questo grazie ad una specifica applicazione per mobile.

Insieme alla massima portabilità e al risparmio energetico ,anche una facile pulizia delle sonde e la loro resistenza.

Vscan Air, grazie alle sue dimensioni ridotte, si rivela un prezioso strumento di diagnosi anche nel mondo dello sport. Infatti, può essere utilizzato ovunque, anche in pista.

GE Healthcare ha precorso i tempi nel settore ecografia. Infatti, la società già ne 2010 lancio Vscan, il primo ecografo tascabile a colori.

Da allora ha continuato a rivoluzionare il modo in cui i medici visitano i pazienti.

Da 01health.it

GIMLE IL GIORNALE ITALIANO DI MEDICINA DEL LAVORO ED ERGONOMIA

Il Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia è una rivista scientifica che si occupa di Medicina del Lavoro (Medicina Occupazionale e ambientale, Igiene del Lavoro e ambientale, Tossicologia occupazionale) ed Ergonomia (Valutazione del rapporto uomo/lavoro, Riabilitazione occupazionale, Psicologia del Lavoro, Bioingegneria).

La rivista pubblica articoli originali, revisioni di letteratura, lettere all’editor e recensioni inerenti le tematiche che la caratterizzano.

Riportiamo qui di seguito il link degli ultimi due numeri disponibili on line

MIX DI VACCINI :IL PARERE DI GARATTINI

da Adnkronos

AstraZeneca e seconda dose,

Garattini: “Vaccini diversi? Non c’è problema”

Le parole del farmacologo e fondatore dell’Istituto Mario Negri

Sul vaccino AstraZeneca e la seconda dose con un prodotto diverso, “uno studio inglese e uno spagnolo indicano che dopo” la prima somministrazione “si può fare un vaccino a Rna messaggero, ottenendo un buon risultato dal punto di vista della risposta anticorpale. A livello di sicurezza non c’è problema. D’altra parte non ci sono ragioni teoriche per pensare che non si possano usare due vaccini diversi”. Lo ha affermato farmacologo Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto Mario Negri, in una intervista sul quotidiano La Repubblica.

È difficile obbligare a fare un richiamo diverso. Io dico di essere pragmatici: lasciamo ai cittadini la scelta della dose, proprio per aumentare la copertura vaccinale – ha aggiunto Garattini – È stata fatta non poca confusione e infatti i cittadini hanno tanti dubbi, giustificati. Il problema non le singole persone. È mancato un sistema di comunicazione efficiente da parte del servizio sanitario nazionale. Il responsabile finale è il ministero alla Sanità. Ha il compito di prendere decisioni e spiegarle bene. Secondo me a livello governativo doveva esserci una persona che, con l’aiuto di altre, rappresentasse ogni giorno il parere dell’autorità sanitaria. Illustrasse cosa succedeva e le decisioni che venivano prese. Qui si danno annunci ma non si spiegano”.

“Le aziende hanno attinto a conoscenze non sviluppate da loro ma dalla ricerca di base, con soldi pubblici. Poi hanno avuto grandi facilitazioni dal punto di vista economico, ricevendo decine di miliardi di euro. Chi è stato sottoposto agli studi ha partecipato gratuitamente. – ha continuato Garattini – Le aziende avrebbero dovuto mettere a disposizione i loro prodotti per i Paesi a basso reddito. Hanno perso una grande occasione per mostrare solidarietà”

“È impossibile che un Paese industrializzato come il nostro non possa fare i vaccini per suo conto. Se c’è bisogno di terza dose, se va cambiato il vaccino o fatto ogni anno, che facciamo, aspettiamo il grazioso compiacimento delle multinazionali che ci mandano quello che vogliono loro al prezzo che vogliono loro?”, ha concluso Garattini.

VADEMECUM SULLE SPIROMETRIE

Con il nascere dell’epidemia Sars2-Cov mi sono posto immediatamente il problema dell’ ‘esecuzione degli esami spirometrici in sicurezza.

Ho deciso da subito che in considerazione dei potenziali rischi infettivi e il timore indotto nei lavoratori era maggiore del beneficio e pertanto ho

sospeso tali esami se non in casi selezionati . Con il modificarsi delle condizioni epidemiologiche e con il diffondersi della vaccinazione deve essere ovviamente reintrodotto questo esame in piena sicurezza. Per questo ho riportato alcune parti di un un articolo comparso su Ippocrate shop ed ho riportato anche le consuete linee guida per l’esecuzione di una spirometria di qualità. Repetita juvant.

Dott Alessandro Guerri

medico specialista in medicina del lavoro

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In tempo di Covid-19 l’unico modo per eseguire esami spirometrici in sicurezza è utilizzare i filtri per spirometri.

Con l’avvento del coronavirus il boccaglio in cartone usa e getta, solitamente utilizzato per le spirometrie, non è più sufficiente per proteggere il vostro paziente da eventuali contagi.

Il boccaglio purtroppo non evita la contaminazione della turbina. Di conseguenza quest’ultima potrebbe diventare veicolo di contagio per tutti coloro che eseguiranno le spirometrie.

Perché il filtro per spirometri evita il contagio da Covid-19 durante l’esecuzione delle spirometrie?

I filtri per spirometri, prima di essere messi in commercio, devono superare rigorosi test di funzionalità. Il primo test riguarda la resistenza al flusso in ottemperanza con le regole imposte dall’ATS. Il secondo test riguarda la capacità di filtraggio.

Il test della capacità di filtraggio che risponde al quesito “perché il filtro per spirometri evita il contagio da Covid-19”.

Questa tipologia di test consiste nel riprodurre un’espirazione forzata, con uno strumento apposito, che contenga all’interno del flusso particelle con dimensioni differenti. Le particelle più piccole che vengono messe in contatto con il filtro hanno dimensioni pari a 0.027 Micron, tenete ben in mente questo valore.

La dimensione del Coronavirus Covid-19 è di 0,1-0,05 Micron, quindi, se il filtro è in grado di bloccare particelle da 0,027 Micron, il Covid-19, essendo molto più grande, verrà “intrappolato” dallo  spunbond di polipropilene.

Di conseguenza la vostra turbina non verrà contaminata e i pazienti che eseguiranno le spirometrie successivamente non rischieranno il contagio.

Come è fatto un filtro per spirometri e perché blocca il coronavirus Covid-19?

Il filtro per spirometri è costituito da una struttura in copolimero di acrilonitrile-stirene anallergico e atossico e dall’anima filtrante in spunbond di polipropilene. E’ proprio lo spunbond di polipropilene che filtra Virus e batteri e non ne permette il passaggio verso la turbina.

Il filtro presenta ai lati un terminale anatomico dove poggiare la bocca per eseguire la spirometria e un cilindro con diversi calibri, a seconda della marca di spirometro che avete, da inserire all’interno della turbina.

PERCHÉ IL BOCCAGLIO NON È PIÙ SICURO?

differenza-turbina-filtro-per-spirometri-Cosmed

Il boccaglio usa e getta non protegge e non ha mai protetto la turbina e l’operatore dalla contaminazione di batterie e virus (tra cui il Covid-19).

Il boccaglio non ha nessuna capacità filtrante, è un semplice cilindro in cartone che evita alla bocca del  paziente di entrare in contatto diretto con lo spirometro ma non blocca nessun agente patogeno. Di conseguenza tutti i virus e i batteri si depositeranno sulla rete e sull’anima della turbina, conoscendo la lunga sopravvivenza del Coronavirus Covid-19 sulle superfici potete immaginare quanti pazienti potranno essere potenzialmente contagiati.

filtri anti covid 19 per spirometri
Filtri antivirali per spirometri cosmed
filtri antivirali per spirometri mir
Filtri antiviarli per spirometri mir
Filtri antivirali per spirometri Sibelmed

ECCO POI LE “REGOLE ” PER L’ESECUZIONE DELLA SPIROMETRIA A REGOLA D’ARTE

LONG COVID : COME VALUTARE SE SI È GUARITI.

Da HUFFPOST

 Giovanni Puglisi – Primario Pneumologo Emerito dell’Azienda Ospedaliera S.Camillo-Forlanini di Roma)

Ora che l’estensione del programma vaccinale sta gradualmente limitando la diffusione Covid-19, si rafforza l’interesse clinico-terapeutico sulle conseguenze della malattia rappresentate da un gruppo di sintomi denominato Long Covid.

Con questa espressione si vuole evidenziare che il termine guarigione quando si parla di Covid-19 non è propriamente adeguato se si prende in considerazione la sola negativizzazione del tampone nel senso che la malattia prosegue anche dopo la fase acuta per il perdurare di vari disturbi. In buona sostanza il risultato negativo del tampone non basta per dichiarare il paziente guarito.

Numerosi pazienti continuano a segnalare alcuni sintomi, ramificazioni della patologia, per un tempo protratto (tuttora non ben chiaro quanto a lungo; nella mia esperienza al momento posso testimoniare non meno di 2-3 mesi) che non consente a chi è sopravvissuto alla malattia di ritornare alla vita e al lavoro in idonee condizioni di salute.

Pazienti reduci da un Covid-19 lieve, moderato o grave possono rivelare i sintomi post-Covid: affanno, astenia, dolori articolari, palpitazioni, disturbo dell’olfatto e del gusto, vertigini, diarrea, complicazioni di carattere neurologico, stati depressivi, ovviamente con le dovute differenze. È infatti bene sottolineare che i soggetti che si riprendono con più difficoltà sono quelli che hanno avuto necessità di essere ricoverati (in particolare in unità di terapia intensiva) e Il 70% circa di questi pazienti con maggiore probabilità presenta un aumentato rischio di mortalità, di un nuovo ricovero e di una serie di patologie a carico di uno o più organi.

Mi preme soffermarmi sui problemi cardiovascolari e respiratori dovuti al Covid-19. Per quanto riguarda i primi, l’esperienza insegna che le infezioni virali possono provocare disturbi del ritmo cardiaco, causare una malattia cardiovascolare o aggravarne una pregressa, arrecare disturbi a carico delle arterie coronariche. Nel meccanismo patologico delle citate affezioni sembrano entrare in gioco un’azione infiammatoria sistemica accompagnata da uno stato infiammatorio a livello dei vasi arteriosi.

Sono tuttavia ancora da chiarire, e oggetto di ricerca, diversi aspetti legati alle sequele cardiovascolari, come per esempio le modalità temporali di persistenza delle complicazioni. Esperienza pratica e dati della letteratura scientifica hanno ampiamente dimostrato che i danni e le conseguenze principali dell’infezione da coronavirus sono a carico dell’apparato respiratorio.

Come si è già detto, dopo la fase acuta problematiche cliniche possono seguitare a manifestarsi nel tempo e numerosi pazienti stentano a riprendersi, in particolare per quanto riguarda il ritorno alla normalità funzionale respiratoria. Dopo l’infezione da coronavirus, lo studio della funzionalità respiratoria del paziente ha un ruolo fondamentale per diagnosticare gli eventuali danni intervenuti a carico dell’apparato respiratorio, definirne la severità e indirizzare la terapia. In sintesi, ecco gli strumenti diagnostici utilizzati nella valutazione del profilo funzionale respiratorio del soggetto.

La spirometria rappresenta il più semplice e comune test di funzionalità respiratoria ed ha scopi: di carattere diagnostico (diagnosi delle malattie delle vie aeree e del parenchima polmonare come asma, BPCO, interstiziopatie e diagnosi di malattie professionali nei soggetti con esposizione occupazionale) anche con finalità medico-legali; di monitoraggio (stima della risposta alla terapia farmacologica e dei processi riabilitativi, valutazione del decorso e della evoluzione della malattia, indicazioni di carattere prognostico); di screening (fumatori, soggetti esposti a inquinanti ambientali per motivi professionali, soggetti che svolgono attività sportiva); di carattere epidemiologico e di ricerca.

Non è questa la sede per parlare delle tecniche di esecuzione dell’esame spirometrico e del significato diagnostico che detto esame è in grado di fornire, né dell’importanza dei volumi polmonari, giova tuttavia citare che l’indagine consente di differenziare le sindromi ostruttive da quelle restrittive.

Nelle patologie respiratorie ostruttive è ridotto il calibro delle vie aeree con conseguente ostacolo al flusso respiratorio per cause quali: asma, BPCO, enfisema; nelle patologie restrittive (sono queste implicate nel decorso post-Covid) è presente una riduzione dei volumi polmonari per: ridotta distensibilità della parete toracica, perdita di parenchima polmonare, fibrosi polmonare, compressione polmonare, debolezza dei muscoli respiratori.

Tra i parametri rilevabili, nelle sindromi restrittive assume importanza la Capacità Polmonare Totale (TLC), cioè il volume di aria complessivo contenuto nei polmoni dopo una inspirazione massima. La forma restrittiva è presente nell’eventuale insorgenza di una fibrosi polmonare conseguente a una polmonite interstiziale in soggetto con infezione da coronavirus e l’esame spirometrico consente di stadiarne la gravità (ecco la sua importanza) in particolare attraverso la valutazione della capacità polmonare totale, parametro pertanto indispensabile, considerato normale quando è maggiore dell’80% del valore atteso.

Una volta che la diagnosi di pneumopatia restrittiva è stata posta, la spirometria ripetuta nel tempo può essere utile per valutare i cambiamenti dei parametri funzionali, che possono essere correlati alla progressione della malattia o alla risposta alla terapia. Un’altra indagine preziosa e incruenta è Il test di diffusione alveolo-capillare del monossido di carbonio (CO) noto come DLCO (Diffusion Lung CO) che valuta una parte importante della respirazione; il processo di diffusione dell’ossigeno e dell’anidride carbonica dall’ambiente alveolare al sangue capillare e viceversa attraverso la membrana alveolo-capillare con un meccanismo di diffusione passiva. Il test consente di valutare l’integrità di tale membrana per mezzo di una classificazione di gravità delle alterazioni della DLCO.

Nella polmonite interstiziale e nella sua evoluzione fibrotica, caratteristica del Covid-19, ci troviamo di fronte ad un’alterazione dell’interstizio polmonare che rappresenta il tessuto di rivestimento degli alveoli; tale alterazione, danneggiando gli alveoli e la membrana alveolo-capillare, può compromettere gli scambi gassosi e determinare una grave insufficienza respiratoria.

L’emogasanalisi arteriosa, eseguita tramite un prelievo di sangue dall’arteria radiale per valutare gli scambi gassosi in pazienti con patologia polmonare, è indispensabile per fare diagnosi di insufficienza respiratoria cronica e monitorarne il decorso. Esame indicato quando la saturazione di ossigeno nel sangue, la SpO2, misurata con un semplice saturimetro, scende a valori al di sotto del 93%.

Completa lo studio della funzionalità respiratoria il test del cammino, test che valuta la capacità di esercizio del paziente attraverso la misurazione della distanza che è in grado di  percorrere in un tempo di 6 minuti. Riflette il livello di capacità funzionale di esercizio giornaliera del paziente. Utile nella gestione del paziente dopo infezione da Coronavirus è la valutazione radiologica attraverso la TAC del torace ad alta risoluzione. Questa indagine radiologica è in particolare impiegata nella diagnosi delle interstiziopatie e fibrosi polmonari. È un esame che non utilizza mezzo di contrasto e che permette di ottenere immagini ad alta definizione.

Le indagini diagnostiche sopra esposte sono indubbiamente utili nel processo assistenziale al paziente che si trova nella fase post acuzie di Covid-19. Non è ancora tuttavia ben definita una elaborazione organica delle procedure temporali di effettuazione delle indagini che permetterebbe di uniformare i comportamenti dei professionisti spesso troppo liberi di prescrivere esami che meriterebbero un’applicazione basata su studi, approfondimenti e conoscenze rigorose. Si può dire la stessa cosa per gli aspetti terapeutici della materia.

Esprimo un pensiero forse anche banale: al paziente che sta sviluppando una evoluzione fibrotica post-Covid e che è stato trattato con dosi consistenti di cortisonici, è idoneo riprendere la terapia cortisonica per “accompagnare” il processo fibrotico verso una fase più soddisfacente? Credo che per questi problemi di natura diagnostico-terapeutica, sia necessario l’intervento delle istituzioni come il ministero della salute, l’AIFA, e delle Società scientifiche (che  d’altra parte hanno già ottenuto buoni risultati nella prevenzione e nella fase acuta della malattia da Covid-19), affinché promuovano la divulgazione di protocolli o raccomandazioni idonee a sostenere i nostri pazienti reduci da Covid-19.

LAVORARE TROPPO FA MALE AL CUORE E NON SOLO.

E se a dirlo sono l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e l’Organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo), non è un monito da prendere alla leggera. Ma qual è il limite da tenere d’occhio? Lavorare 55 ore o più a settimana – si legge in una meta-analisi pubblicata oggi su ‘Environment International’ – aumenta il rischio ictus del 35% e di morire d’infarto del 17% rispetto a chi si limita a 35-40 ore di lavoro a settimana.

In quella che è la prima analisi globale della perdita di vita e salute associata al lavoro, gli esperti stimano che nel 2016 ben 398 mila persone siano morte per ictus e 347 mila per una cardiopatia dopo aver accumulato almeno 55 ore a settimana di lavoro. Tra il 2000 e il 2016 il numero di morti per malattie cardiache legate a orari di lavoro prolungati è aumentato del 42%, e quello di ictus del 19%.

Un rischio particolarmente insidioso per gli uomini (72% dei decessi riguarda i maschi), le persone che vivono nell’area del Pacifico occidentale e nel Sud-Est asiatico e i lavoratori di mezza età o anziani. La maggior parte dei decessi registrati dai ricercatori riguardavano infatti persone tra i 60 e i 79 anni che avevano lavorato almeno 55 ore a settimana tra i 45 e i 74 anni.

Non solo: gli orari prolungati di lavoro sono responsabili di un terzo delle malattie collegate al lavoro. E oggi? Il fenomeno di quanti lavorano in modo eccessivo è in aumento e riguarda circa il 9% del totale della popolazione mondiale.

Inoltre la pandemia del Covid-19 ha acceso i riflettori sulla gestione del tempo di lavoro e ha accelerato una serie di processi che potrebbero ulteriormente prolungare la giornata lavorativa.

“La pandemia ha considerevolmente cambiato il modo in cui molte persone lavorano – ha sottolineato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus – Il telelavoro è diventato la norma in numerosi settori di attività, facendo spesso ‘scomparire’ i confini tra casa e lavoro. D’altronde numerose aziende sono state costrette a ridurre o interrompere le loro attività per risparmiare soldi e le persone che continuano a lavorare finiscono per avere un orario di lavoro prolungato”.

Però attenzione: “Nessun lavoro vale un rischio di ictus o di malattia cardiaca. I Governi, i datori di lavoro e i lavoratori devono collaborare per mettere a punto dei limiti che proteggano la salute dei lavoratori” stessi, ha detto il Dg dell’Oms.

Da fortunehealth

ESPOSIZIONE PROFESSIONALE A FARMACI ANTINEOPLASTICI

Attualmente vengono utilizzati più di 100 farmaci antineoplastici di cui molti classificati come cancerogeni certi per l’uomo e fin dal 1970 studi epidemiologici condotti su infermieri che manipolavano farmaci antiblastici senza l’utilizzo di dispositivi di protezione hanno mostrato aumentato il rischio di tumori ed effetti sul sistema riproduttivo.

Immagine Esposizione occupazionale a farmaci antineoplastici in ambito sanitarioa

Il documento presenta una panoramica delle conoscenze attualmente disponibili sulla problematica relativa all’esposizione occupazionale a farmaci antineoplastici in ambito sanitario.


Prodotto: Fact sheet
Edizioni: Inail – 2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

Da Inail.it

UNA “BANCA DATI” EUROPEA SUI DISTURBI MUSCOLOSCHELETRICI

L ‘agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro mette a disposizione una banca dati sulla gestione dei disturbi MUSCOLOSCHELETRICI correlati con le attività occupazionali.

Si possono consultare gli articoli OSHwiki ovvero report semplici e concisi che presentano i ” fatti chiave” e consigli su come lavorare con i disturbi reumatici e muscoloscheletrici (RMD), strategie di intervento precoce e gestione della lombalgia. E il nostro database di facile ricerca è ricco di casi, risorse visive e strumenti pratici e indicazioni sull’argomento.

Considerando che una persona su quattro nell’UE affetta da DMS cronici, comprendere queste condizioni e come gestirle è fondamentale, che tu sia un lavoratore, un datore di lavoro o un de politico.

Leggi l’articolo OSHwiki su come lavorare con le malattie reumatiche e muscoloscheletriche 

Consulta gli articoli OSHwiki sui primi interventi MSD gestione delle condizioni lombari 

Cerca le risorse sulle malattie croniche negli strumenti pratici e nel database di orientamento 

MIGRANTI: PIU’ RISCHIO COVID E DISTURBI MUSCOLOSCHELETRICI

da Osha.eu

Un nuovo studio dell’EU-OSHA rileva che i lavoratori migranti tendono maggiormente ad avere impieghi che implicano contatti con altre persone e che non possono essere svolti da casa. Tali posizioni sono altresì associate a una maggiore incidenza di disturbi muscolo-scheletrici.

Tale documento, grazie a una specifica metodologia statistica basata sui dati di sondaggi ufficiali, illustra in dettaglio il rischio di esposizione per settore e per paese e suggerisce misure per la tutela della salute dei lavoratori migranti durante e dopo la pandemia, incluse campagne informative e sostegno economico e all’occupazione.

Consulta il documento di riflessione su COVID-19 e disturbi muscolo-scheletrici: doppio carico di rischi per i lavoratori migranti in Europa?

Scopri le risorse per i luoghi di lavoro nella crisi di COVID-19

Consulta gli orientamenti per garantire la tutela dei lavoratori stagionali  e la scheda informativa sulla tutela dei lavoratori stagionali  della Commissione europea.

Visita gli ambiti prioritari della campagna «Ambienti di lavoro sani e sicuri»