Il documento, redatto dal gruppo di lavoro Iss, Ministero della Salute, Aifa e Inail, risponde a diversi quesiti sulle misure farmacologiche, di prevenzione e controllo delle infezioni da Coronavirus sorti con il progredire della campagna vaccinale contro il contagio e la comparsa delle diverse varianti del virus
La circolazione prolungata del virus Sars-CoV-2 e la comparsa di varianti virali, di cui solo alcune destano preoccupazione per la salute pubblica (Variant Of Concern, Voc), sono al centro di indagini per accertarne la presenza e la diffusione. Mentre la campagna vaccinale anti-Covid-19 è attualmente in corso, sono sorti diversi quesiti sulle misure di prevenzione e di controllo delle infezioni sostenute da varianti di Sars-CoV-2 sia di tipo non farmacologico sia di tipo farmacologico. Nonostante le conoscenze sulle nuove varianti virali siano ancora in via di consolidamento, vengono fornite specifiche indicazioni, basate sulle evidenze ad oggi disponibili, che possano essere di riferimento per l’implementazione delle strategie di prevenzione e controllo dei casi di Covid-19 sostenuti da queste varianti virali.
ANMA sta analizzando la problematica della vaccinazione anti SARS-CoV-2 nei luoghi di lavoro, il GdL ad hoc istituito, dopo aver avuto contatti diretti con gli Assessorati alla Salute di Regione Veneto e Regione Lombardia, ha approntato le prime indicazioni sul tema, che pubblichiamo in allegato.
Come sempre chiediamo la collaborazione di tutti gli Associati nell’informarci delle iniziative territoriali delle quali sono a conoscenza o nelle quali sono coinvolti.
I dubbi su alcuni dispositivi che hanno ricevuto il certificato di idoneità in Turchia, ma che in base alle analisi di laboratori indipendenti non rispondono agli standard di sicurezza: nessuna azienda italiana coinvolta
In particolare, alcuni test di laboratorio hanno dimostrato come alcuni modelli messi sul mercato ma dimostratisi poi non adeguati fossero dotati di un codice — CE2163 — che identifica un ente certificatore turco, Universalcert, diventato uno dei leader mondiali del settore.
A rivolgersi all’ente sono state una settantina di aziende europee; tra loro alcune italiane. Ma — lo vedremo — nessuno dei modelli non risultati a norma è stato prodotto da aziende italiane o europee.
Alcune mascherine in commercio, e dotate di quel marchio, sono state testate da un laboratorio indipendente in Cina, su richiesta di una società di import-export, che ha rilevato difetti in quasi tutti i modelli controllati, tutti di produzione cinese.
Una parte delle analisi sono poi state confermate da un laboratorio accreditato nel Guangdong, in Cina; altre sono state affidate a un altro laboratorio accreditato in Spagna.
Questo — va ribadito — non significa che tutti i modelli marchiati CE2163 siano fuori norma, anzi con quel codice si trovano mascherine di altissima qualità.
Significa però che alcuni modelli non hanno superato almeno due test indipendenti, uno dei quali in un laboratorio accreditato.
Ecco quali sono: Aixine aix m031, Whenzhou Opticar FFP2; Grdlight Ffp2, Meizhuangchen Ffp2, Ydao Ffp2, Max 02, JY Ffp2.
I report dei laboratori, di cui esistono anche i video, sono stati acquisiti anche dalle autorità europee che indagano sulla contraffazione sull’asse Italia-Cina. Il risultato del test indipendente sulla mascherina Whenzhou Opticar FFP2
Le ipotesi sul tavolo sono tre: che il codice sia stato messo in maniera illegale (cioè che alcuni produttori abbiano usato quel codice senza essere mai passati dall’ente certificatore), che il produttore abbia fatto certificare campioni diversi da quelli prodotti (cioè che i produttori abbiano mandato alcuni modelli all’ente certificatore per «passare l’esame», salvo poi mettere in commercio modelli meno performanti) o che la certificazione sia avvenuta in maniera troppo leggera.
Un’ipotesi, questa, sollevata sia dall’associazione dei produttori di equipaggiamento tecnico tedeschi sia da Assosistema di Confindustria, che hanno chiesto alla commissione di verificare l’enorme mole di certificazioni rilasciate da Universalcert.
L’ente ha preso posizione in maniera molto netta, assicurando che rispetta tutte le procedure di test e che i certificati emessi sono regolari. L’azienda ha anche invitato i consumatori a controllare direttamente sul sito la validità dei certificati.
Se questo fosse il caso, rimarrebbero dunque in piedi le altre due ipotesi, ovvero che si tratti di contraffazioni o che i campioni certificati siano diversi da quelli prodotti e che dunque si tratti di una truffa dei produttori all’ente certificatore.
Le aziende italiane: «Noi perfettamente in regola»
«Per la nostra azienda, da sempre attentissima alla qualità, non è piacevole essere accomunati a chi vende mascherine difettose» spiega Mohamed Achik, direttore generale della Real Care. «La società turca offriva tempi di attesa più brevi mentre i laboratori italiani facevano fatica a stare dietro alla domanda» aggiunge. L’azienda modenese che produce mascherine superperformanti ha comunque avviato le procedure per ottenere un certificato di conformità italiano che sostituirà quello turco.
Lo stesso ha fatto la pugliese Irudek, che oltre al certificato turco ne ha già ottenuto uno spagnolo.
Tra le società che hanno fatto verificare le mascherine c’è anche Gilania, i cui prodotti sono risultati conformi. «La scelta di andare in Turchia per molti è stata obbligata, le attese in Europa erano troppo lunghe. Ma per avere garanzie sulla qualità bisogna guardare il produttore non l’ente che certifica» fa notare Stefania Gander, imprenditrice bolzanina che pure produce mascherine che vengono certificate in Turchia.
Vaccinazione anti-COVID-19 nei luoghi di lavoro: il contributo del Medico Competente
Nel nostro Paese, trascorsi due mesi dall’avvio della campagna vaccinale anti-COVID-19, sono attualmente in discussione diverse strategie e ipotesi organizzative per l’implementazione dell’offerta, strategie che riguardano anche luoghi di lavoro diversi da quelli sanitari, in modo da consentire la più rapida somministrazione dei vaccini disponibili, con le priorità indicate dal Ministero della Salute, al fine di contrastare la diffusione del virus e, auspicabilmente, porre fine all’attuale fase di emergenza sanitaria quanto prima.
In questo contesto, tra i principali attori individuabili come partecipanti attivi al processo di informazione, programmazione e controllo dell’effettuazione dei piani di vaccinazione rientrano, a pieno titolo, i Medici Competenti (MC), come peraltro esplicitamente previsto nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2017-2019.
Il ministero della Salute ha presentato giovedì alla Conferenza unificata delle Regioni il nuovo piano di vaccinazioni, in cui ci sono diversi aggiornamenti rispetto al piano vaccinale approvato dal governo a dicembre. Il nuovo piano – che potrà subire qualche piccola modifica, ma niente di sostanziale – contiene criteri validi per tutto il territorio nazionale, ed elimina quindi la discrezionalità affidata finora alle Regioni.
Le vaccinazioni proseguiranno in base al criterio delle fasce d’età, dalle persone con più di 80 anni in giù, ma rispetto al piano precedente sono state identificate 5 nuove categorie in cui è divisa la popolazione, sulla base dell’età e della presenza di condizioni patologiche. La priorità verrà data alla categoria 1, e poi a scendere.
-Categoria 1. Elevata fragilità (persone estremamente vulnerabili; disabilità grave); • Categoria 2. Persone di età compresa tra 70 e 79 anni; • Categoria 3. Persone di età compresa tra i 60 e i 69 anni; • Categoria 4. Persone di età inferiore ai 60 anni con patologie o situazioni di compromissione immunologica che possono aumentare il rischio di ammalarsi, ma che non siano nella condizione di gravità delle persone estremamente vulnerabili; • Categoria 5: Resto della popolazione di età inferiore 60 anni.
A prescindere dall’età sono inoltre considerati prioritari nella somministrazione del vaccino il personale docente e non docente, scolastico e universitario, le Forze armate, di Polizia e del soccorso pubblico, dei servizi penitenziari e delle comunità residenziali.
Il nuovo piano prevede quindi che si continui con la fase 1 del piano vaccinale precedente, quella che riguarda gli anziani con più di 80 anni e che sfrutta i vaccini di Pfizer e Moderna, e che si completi la vaccinazione del personale sanitario, del personale della scuola, dei militari e delle forze dell’ordine. Il terzo vaccino autorizzato in Italia, quello di AstraZeneca, viene somministrato preferibilmente alle persone tra i 18 e i 65 anni, ma il 7 marzo il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato che potrà essere somministrato anche a chi ha più di 65 anni.
In parallelo però, tenendo conto delle disponibilità dei vaccini, potranno essere vaccinate le persone appartenenti alle 5 nuove categorie, in ordine decrescente, cominciando con le persone che hanno più di 70 anni.
Il nuovo piano prevede inoltre che, qualora le dosi di vaccino disponibili lo permettano, si possa vaccinare all’interno dei posti di lavoro, a prescindere dall’età. Le vaccinazioni dovranno però essere realizzate da personale sanitario autorizzato: l’idea, in questo modo, è di accelerare l’intero processo.
I ricercatori del NICO – Università di Torino hanno dimostrato per la prima volta gli effetti negativi dell’esposizione al PM sulle capacità rigenerative del tessuto nervoso Secondo l’OMS causa la morte prematura di circa 4 milioni di persone nel mondo ogni anno. Ma l’esposizione cronica ad alti livelli di polveri sottili – il famoso PM (particulate matter) – è anche associata a una prevalenza della Sclerosi Multipla in alcune popolazioni.
In particolare nei grandi centri urbani, dove i picchi di PM precedono sistematicamente i ricoveri ospedalieri dovuti all’esordio o alla recidiva di patologie croniche autoimmuni, tra cui la Sclerosi Multipla, come dimostrano numerosi studi epidemiologici. A oggi restano tuttavia da chiarire i meccanismi con cui l’esposizione al PM eserciti un effetto sul sistema nervoso centrale.
Grazie a un progetto pilota finanziato da AISM e la sua Fondazione FISM – Fondazione Italiana Sclerosi Multipla, le ricercatrici del NICO – Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi dell’Università di Torino hanno chiarito per la prima volta che l’esposizione al PM ha effetti negativi sulle capacità rigenerative del tessuto nervoso, e in particolare della mielina, il rivestimento degli assoni che – se danneggiato, come avviene nella SM – compromette la trasmissione delle informazioni fra i neuroni. Lo studio è nato grazie alla collaborazione tra i ricercatori del NICO Enrica Boda, Roberta Parolisi, Annalisa Buffo (Gruppo Fisiopatologia delle Cellule Staminali Cerebrali), Francesca Montarolo e Antonio Bertolotto (Gruppo Neurobiologia Clinica – CRESM, Centro di Riferimento Regionale SM dell’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano, TO) con il gruppo di ricerca di Valentina Bollati dell’Università di Milano e Andrea Cattaneo dell’Università dell’Insubria.
I risultati della ricerca – pubblicati sulla rivista Neurochemistry International – dimostrano in un modello animale che l’esposizione al PM2.5 ostacola la riparazione della mielina, inibisce il differenziamento degli oligodendrociti e promuove l’attivazione degli astrociti e della microglia, cellule che di norma svolgono funzioni di sostegno per i neuroni ma che – quando attivate dal sistema immunitario come accade nella Sclerosi Multipla – contribuiscono alla neuroinfiammazione.
“Nelle prime fasi di malattia, la mielina può comunque essere riparata da cellule gliali presenti nel tessuto nervoso, chiamate oligodendrociti, il che contribuisce alla remissione – purtroppo spesso solo temporanea – dei sintomi. Le ricerche in corso nei nostri laboratori sono importanti perché permettono di capire quali fattori possono ostacolarne la riparazione – sottolinea la prof.ssa Enrica Boda del NICO, Università di Torino – aggiungendo un tassello nella comprensione dei meccanismi di neurotossicità del PM. I nostri studi – continua – ora si focalizzano nell’identificare i meccanismi cellulari e molecolari che mediano il trasferimento del ‘danno’ dovuto all’inalazione del PM2.5 dai polmoni al sistema nervoso centrale. Riconoscere fattori di rischio ambientali modificabili – come l’inquinamento dell’aria – e i meccanismi che mediano le loro azioni può fornire informazioni importanti per prevenire le recidive della Sclerosi Multipla agendo su politiche ambientali, stile di vita e possibilmente, progettazione di nuovi strumenti di prevenzione e interventi terapeutici”. (Da università di Torino eLe scienze)
INTESA IN LOMBARDIA, VENETO E FRIULI VENEZIA GIULIA
La Lombardia getta il cuore oltre l’ostacolo e approva un protocollo d’intesa insieme con Confindustria, Confapi e l’Anma, l’associazione dei medici competenti. Altre Regioni stanno lavorando nella stessa direzione, in particolare Friuli Venezia Giulia e Veneto. Ma anche Puglie a Trentino Alto Adige. La Confindustria nazionale ha presentato un piano al governo per il coordinamento nazionale delle vaccinazioni in azienda. Inoltre, «in attesa delle determinazioni e dei protocolli specifici che la gestione commissariale straordinaria ha annunciato alle parti sociali», Confindustria ha avviato una ricognizione sull’intero sistema associativo. Le associazioni di tutto il territorio nazionale hanno ricevuto un questionario volto a identificare le imprese concretamente disponibili alla funzione di «fabbriche di comunità», quindi idonee per essere configurate come siti vaccinali e moltiplicare così quelli già attivi nel Paese.
Oltre 300-400 vaccinazioni potenziali
Tornando al protocollo lombardo, diventerà operativo quando comincerà la vaccinazione di massa. «È un allargamento ci consente di avere minore tensione sugli ospedali perché il vaccino potrebbe essere somministrato in altre strutture», dice la vicepresidente della Regione Lombardia, Letizia Moratti, ricordando che l’iniziativa non modifica la lista delle categorie che hanno la priorità, a partire dagli anziani. La delibera lombarda è stata inviata al commissario per l’emergenza Covid, il generale Francesco Figliuolo, che definirà le modalità con cui può essere applicata. «Apriamo le porte delle fabbriche per uscire più in fretta da questa emergenza — dice il presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti —. Basta chiacchiere, dobbiamo fare azioni, intervenire. I vincoli sono due: gli spazi dove fare le vaccinazioni e la disponibilità dei vaccini». E il sindacato? «Andremo nelle prossime settimane a condividere il protocollo e le modalità applicative con il sindacato come abbiamo fatto con i protocolli per la sicurezza in azienda — spiega Bonometti —. In poco tempo potremmo arrivare a vaccinare 300-400 mila lavoratori. Potremmo fare 150 mila vaccinazioni alla settimana, coinvolgendo anche i familiari dei dipendenti. Mi auguro che l’iniziativa parta subito». Per Maurizio Casasco, presidente di Confapi «coniugare salute e attività produttive è fondamentale». «Da medico cercherò di portare la mia esperienza e il mio contributo — continua Casasco — prima vacciniamo tutti meno contagi avremo e meno varianti avremo».
Tra le criticità, la conservazione dei vaccini
In realtà l’operazione “vaccinazione in azienda” ha alcune criticità da superare. Per cominciare non tutti i vaccini possono essere somministrati in fabbrica: quelli che devono essere conservati a -70 -80 gradi difficilmente possono essere utilizzati nei luoghi di lavoro. Inoltre le piccole aziende non hanno un medico competente e andrebbe quindi definita una modalità per intervenire in aree industriali con presidi logistici ad hoc. Tra i lavoratori dipendenti esistono poi categorie che aspettano con più ansia il vaccino. Tra questi i dipendenti della grande distribuzione che però non sono coinvolti da questo protocollo. «Anche Confcommercio ha manifestato l’interesse a essere coinvolta in questa sfida — ha detto l’assessore lombardo alle attività produttive Guidesi. Rassicurando i sindacati, che nei giorni scorsi avevano diffidato da fughe in avanti senza essere coinvolti: «Ci accompagneranno nella applicazione del protocollo».
Le richieste dei medici competenti
L’intesa coinvolge i cosiddetti medici competenti, quelli che si occupano della tutela della salute all’interno delle imprese. In Lombardia sono circa un migliaio. L’associazione della categoria, l’Anma, ha posto alcuni vincoli. Primo fra tutti: la volontarietà. A vaccinare, quindi, sarebbero solo i medici che si rendono disponibili. Il secondo: i medici avrebbero bisogno di una assicurazione aggiuntiva per la coperture dei rischi che possono derivare dallo svolgimento di un’attività che non è tra quelle comprese di solito tra le loro mansioni. In altre parole, i medici competenti sarebbero disponibili perché non ci sia un aggravio di spese a loro carico.
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IL NOSTRO COMMENTO
Come ho scritto nel titolo sulla carta tutto bello. A tutti noi viene la voglia di contribuire allo sforzo “bellico” nel debellare il covid. Peró analizziamo anche le criticità : È impensabile utilizzare vaccini diversi da quelli tipo Johnson e Johnson per questioni legate alla conservazione.
Altra criticità sarebbe legata alla possibilità di reperire i vaccini, avere a disposizione degli idonei locali, avere tempi sufficienti a controllare l assenza di effetti collaterali, avere a disposizione personale in grado di eseguire tutte quelle attività di registrazione digitale ed informatica della avvenuta vaccinazione. Cito il commento di un mio autorevole collega che mi ha insegnato la medicina del lavoro.. ” Guardiamo negliallegati i requisiti e principi generali per consentire in sicurezza le operazioni vaccinali. Ben difficilmente le aziende possano sobbarcarsi tutti gli oneri previsti e i medici tutte le responsabilità previste. Una per tutte: “Il medico competente che presiede la somministrazione vaccinale assume la responsabilità di tutto il percorso vaccinale e in particolare: – della verifica sulla corretta conduzione dell’operatività (adesione ai protocolli, applicazione delle regole di buona pratica vaccinale, ecc.); – della garanzia in merito all’approfondimento informativo per una consapevole adesione all’offerta vaccinale – del pronto intervento in caso di emergenza ed esercita ogni altra funzione che contribuisca ad assicurare il regolare svolgimento dell’attività”.
In Lombardia ci sono 817.999 imprese a vario titolo per 4.120.113 addetti. Diviso per i 1200 circa medici competenti vuol dire che ogni medico dovrebbe occuparsi di 680 aziende per un totale di 3433 lavoratori”
Dott. Alessandro Guerri specialista in Medicina del Lavoro
Segnalo inoltre il seguente linksu “quotidiano sanità”
Dall’orticaria all’eritema (simile a quello del morbillo). Fino alla vasculite. Sono diversi i possibili segni della malattia da coronavirus rilevabili sulla pelle.
Non soltanto tosse, febbre, bronchite o polmonite. L’infezione da Sars-CoV-2, al di là dei sintomi classici, può essere la causa anche di manifestazioni a livello cutaneo. Segni che difficilmente siamo portati ad associare alla Covid-19, la malattia provocata dal coronavirus. Ma che invece possono esserne una diretta conseguenza: con manifestazioni variabili anche in base ai diversi stadi della malattia. Soltanto un’ipotesi, fino a pochi mesi fa, adesso confermata da uno studio italiano pubblicato sul Journal of the American Academy of Dermatology. Sei le possibili «spie» della malattia rilevabili sulla superficie del nostro corpo.
SE COVID-19 SI SCOPRE ATTRAVERSO LA PELLE
Si tratta dell’orticaria, di un’eruzione simile a quella che si rileva nel morbillo, di una reazione pressoché analoga a quella rilevabile nei casi di varicella, della comparsa di lesioni accostabili ai geloni, di una ecchimosi da trauma (livedo reticularis) caratterizzata dalla presenza di sangue sotto la cute e di una vasculite, con la possibile comparsa di ulcere sugli arti inferiori. Queste le manifestazioni che gli specialisti hanno registrato osservato 200 pazienti che, nella prima ondata della pandemia, sono stati curati in 21 ospedali sparsi lungo la Penisola. Registrando anche altri parametri (età, sesso, presenza di altre malattie, momento e durata dei segni cutanei) e andando a incrociare le informazioni relative all’infezione con la comparsa dei sintomi (tutti i pazienti osservati erano risultati positivi al tampone molecolare) sullo strato più esterno del corpo, i dermatologi sono giunti alla conclusione che i rilievi sulla pelle erano una diretta conseguenza della malattia.
NEI GIOVANI SOPRATTUTTO I GELONI
La durata media delle manifestazioni cutanee osservata è stata di 12 giorni. Nel caso dei geloni, però, si è arrivati a superare le tre settimane. «Inoltre, abbiamo rilevato che i geloni erano il sintomo prevalente tra i giovani ed erano associati a una manifestazione quasi sempre asintomatica del virus – afferma Angelo Valerio Marzano, dermatologo dell’ospedale Maggiore Policlinico di Milano e prima firma dello studio -. Mentre tutte le altre manifestazioni erano collegate a una forma più o meno severa». A questo proposito, altri due studi avevano dato come assunto il fatto che le lesioni della pelle più gravi fossero correlate a una forma più grave di Covid-19. Stabilendo quindi una proporzione diretta tra sintomi cutanei aggressivi e gravità della polmonite interstiziale. Una corrispondenza che invece non è emersa dalla ricerca italiana. «Non sembra esserci alcuna correlazione diretta tra la gravità della manifestazione cutanea e quella della malattia da Sars-CoV-2 – prosegue il direttore della scuola di specializzazione in dermatologia e venereologia dell’Università degli Studi di Milano -. Piuttosto, una correlazione esiste tra aumento dell’età e aumento della gravità della malattia».
TORNASOLE DELLA SALUTE
Pur non avvertendo sintomi respiratori e ritenendosi al sicuro non avendo avuto contatti stretti con persone positive, in questa fase un’apparente orticaria, un eritema esteso, una improvvisa vasculite, ecchimosi e geloni vanno considerati possibili spie della malattia. E, secondo i ricercatori, devono indurre a fare un tampone. «Lo studio conferma che la cute può essere spia di una infezione da Sars-CoV-2 – dichiara Ketty Peris, direttrice dell’unità operativa complessa di dermatologia del Policlinico Gemelli di Roma e presidente della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (Sidemast), che ha sostenuto la ricerca -. Per questo motivo, è fondamentale controllare la nostra pelle, perché potrebbe metterci in guardia e avvisarci su quello che accade nel nostro organismo, dandoci la possibilità di muoverci in anticipo e aiutarci a fare una diagnosi precoce della malattia ed anche evitare possibili ulteriori contagi». Articolo di Fabio Di Todaro.
La pubblicazione, frutto di un lavoro tecnico di ricerca condotto dall’Inail, in collaborazione con l’ISS, è stata realizzata grazie al prezioso contributo delle regioni nella raccolta dei dati relativi al personale sanitario contagiato, consentendo di realizzare lo studio retrospettivo descritto nel volume.
ll documento affronta il tema del contagio tra il personale sanitario che, fin dalle primissime fasi, ha svolto un ruolo cruciale nella gegtione dell’epidemia sia per la cura in prima linea dei pazienti infetti, con il conseguente maggior rischio di esposizione, sia nell’assicurare la piena implementazione delle misure di prevenzione e controllo per il contenimento del contagio. Questo ha determinato un’elevata diffusione di contagi tra gli operatori sanitari con percentuali molto elevate rispetto ai casi registrati nella popolazione generale.
Una delle preliminari azioni è fornire al personale informazioni che, seppur di carattere generale, possono essere d’aiuto nel riconoscere i fenomeni e individuare gli interlocutori cui rivolgersi.
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