Novità

LA PROTEZIONE DEI LAVORATORI AGRICOLI DAL COVID 19

Da Inail.it

Con il presente opuscolo si ritiene di poter fornire agli operatori agricoli del settore agro-zootecnico strumenti utili alla gestione della sicurezza e della tutela della salute, nel rispetto della normativa vigente, quali misure di prevenzione e protezione edeguate ed efficaci per mitigare l’esposizione e la diffusione del virus SARS-CoV-2 (igiene sul luogo di lavoro, misure di protezione individuale, gestione corretta delle attrezzature di lavoro).


Prodotto: Volume
Edizioni Inail –  2021
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

LA CLASSIFICA DEI LAVORI MENO A RISCHIO AL TEMPO DEL COVID

Esiste una classifica dei lavori che fanno bene alla salute. Quali sono i requisiti dei quali si tiene conto quando si sceglie un lavoro?

Nella maggior parte dei casi, le persone considerano tre aspetti fondamentali: attività quotidiana, luogo e salario. Sono veramente poche le persone che, invece, guardano le ricadute del lavoro da un altro punto di vista: cioè quali sono le conseguenze che questa scelta potrebbe avere sulla propria salute.

Ad ogni professione, infatti, possono corrispondere dei rischi per il proprio fisico, che possono variare: dallo spendere ore di fronte a uno schermo, al lavorare in luoghi pericolosi, e tanti altri. Uno studio è stato condotto da Lenstore, frutto di un sondaggio alla popolazione, per determinare quali sono le conseguenze del lavoro sulla salute fisica e mentale delle persone.

Lo studio muove da un dato preoccupante: quasi la metà degli italiani (47%) ha dichiarato di essere preoccupata che la propria salute fisica e mentale sia compromessa sul lavoro, aldilà del luogo fisico dove lo svolge.

Il risultato dell’indagine ha tradotto una classifica di 10 lavori che, secondo le risultanze, tutelano di più la salute. Si è partiti da una selezione accurata da una lista madre di 968 mestieri.

Alla base della ricerca c’è il rendere evidente quanto ci sia realmente una stretta connessione tra salute e lavoro, alla luce anche del periodo “particolare” causa Covid-19 che la popolazione mondiale sta vivendo.

Dunque ecco la classifica dei primi 10 lavori che “fanno bene alla salute”:

  • Contabili
  • Programmatori
  • Manager Informatici
  • Marketing Managers
  • Avvocati
  • Fisici
  • Maestri/ e di Scuola Media
  • Rivenditori al dettaglio
  • Architetti
  • Ricercatori medici

L’altra faccia della medaglia, sono i lavori più pericolosi per la salute dei lavoratori. Su tale classifica ha avuto un impatto decisamente rilavante il Covid-19.

  • Anestetisti
  • Veterinari
  • Poliziotti
  • Lavoratore su una piattaforma petrolifera
  • Assistenti di volo
  • Ispettori doganali
  • Dentisti
  • Pompieri
  • Paramedici e tecnici di emergenza medica

Si capisce come molti siano considerati lavori a rischio per le attività in ambienti pericolosi, ma anche per le esposizioni maggiori ai potenziali contagi da Coronavirus

Da mondosanità.it

STANCHEZZA CRONICA POST COVID 19

Da dottnet.it

Dolori muscolari, pulsazioni e pressione irregolari, e soprattutto uno stato di profonda stanchezza. Questi sintomi sono tipici di chi soffre del cosiddetto ‘long Covid’, che non riesce a guarire, ma ricordano molto quelli di un’altra patologia, la sindrome da fatica cronica, tanto che molti ricercatori, a partire dal direttore del Niaid Anthony Fauci, stanno suggerendo un legame tra i due fenomeni.  L’ultimo studio in ordine di tempo a ipotizzare una connessione è stato pubblicato su Frontiers in Medicine da alcuni ricercatori del Karolinska Institue e dell’università di Uppsala, e afferma che alcuni pazienti rimangono più a lungo in terapia intensiva perché si scatenano gli stessi meccanismi biologici alla base della malattia. In particolare, spiegano gli autori, la sindrome post Covid in chi è stato in terapia intensiva sarebbe causata dalla soppressione di un ormone prodotto dalla ghiandola pituitaria, da un ‘circolo vizioso’ tra infiammazione e stress ossidativo delle cellule e da una bassa funzionalità di un ormone della tiroide, problemi già osservati in chi ha la fatica cronica. “Date le similarità – concludono gli autori – una collaborazione attiva tra i ricercatori esperti nelle cure in terapia intensiva e nella fatica cronica potrebbe portare a esiti migliori in entrambe le situazioni”.

Il legame tra il Covid e la stanchezza cronica è ipotizzato da diversi ricercatori, soprattutto per quello che riguarda il cosiddetto ‘long Covid’, il fenomeno per cui i pazienti continuano ad avere sintomi, fra cui proprio la fatica cronica è uno dei più diffusi, per molti mesi dopo la malattia. Negli Usa il National Institute of Health, riporta il sito Medscape, sta per far partire due ricerche specifiche sui pazienti post Covid sul tema, e anche in Canada e in Gran Bretagna si stanno studiando pazienti con Covid cronico, soprattutto per capire i meccanismi comuni alle due patologie. Il problema della stanchezza si era presentato anche in alcuni pazienti che avevano avuto la Sars, spiega l’oncologo Umberto Tirelli, ex primario dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Aviano e direttore della Clinica Tirelli Medical Groupm specializzata nella fatica cronica, e in generale buona parte dei pazienti la sindrome si scatena dopo un’infezione. “Anche Anthony Fauci, Direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha speculato che molti pazienti hanno sviluppato una condizione molto simile a quella che si chiama Encefalomielite Mialgica/Sindrome da Fatica Cronica (Me/Cfs). Questa patologia – spiega l’esperto – si può sviluppare anche dopo altre malattie infettive, per esempio la mononucleosi, la malattia di Lyme, l’influenza, ed è stata osservata anche in pazienti che avevano avuto la Sars. Negli Usa si stima vi siano circa 2 milioni di persone affette da Me/Cfs secondo la National Academy of Medicine, in Italia circa 500mila persone. Effettivamente in questo momento, anche presso la nostra Clinica abbiamo un numero consistente di pazienti affetti da fatica cronica post Covid, a cui applichiamo gli stessi protocolli usati per la fatica cronica”.

Il cuore, dunque, è vittima in modo diretto del Covid-19. Le malattie cardiovascolari rappresentano infatti una complicanza dell’infezione da Sars-Cov-2 ma anche un fattore di rischio, tanto che 7 decessi Covid su 10 riguardano persone che soffrono di ipertensione, come detto. Inoltre, nei contagiati in caso di arresto cardiaco la probabilità di decesso è molto maggiore rispetto a chi non è infetto.  Ma gli effetti della pandemia colpiscono il cuore anche in modo indiretto, ritardando diagnosi e cura dell’infarto e aumentando il carico di stress. Aiutare a informarsi è l’obiettivo la Campagna per il Tuo cuore 2021, promossa dalla Fondazione per il Tuo cuore dell’Associazione Cardiologi Ospedalieri (Anmco), che nella settimana di San Valentino metterà 500 cardiologi a disposizione dei cittadini.  Ogni anno in Italia 240.000 persone muoiono per malattie cardiovascolari e chi ne soffre è, oggi, tra le principali vittime del Covid-19. “Secondo un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità, su 59.394 pazienti Covid deceduti in Italia – spiega Michele Gulizia, presidente di Fondazione per il Tuo cuore e direttore della Cardiologia dell’Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania – il 70% presentava ipertensione arteriosa, il 25% cardiopatia ischemica e altrettanti la fibrillazione atriale, il 20% scompenso cardiaco”. Tra le complicanze dovute al Sars-CoV-2 vi è l’aumento della coagulazione del sangue causata dalla reazione infiammatoria dell’organismo: “Questa – aggiunge Gulizia – rappresenta un rischio anche in chi non soffre di cuore, perché può provocare trombi che possono impedire l’afflusso di sangue al muscolo cardiaco”.

Sick woman sleeping on the table during work at home office. Directly above shot

  Il Covid-19, però, minaccia chi soffre di malattie cardiovascolari anche in modo indiretto. “A causa della pandemia – prosegue Gulizia – si è registrata una riduzione dei ricoveri per infarto pari al 48% e la mortalità è passata dal 4,1 al 13,7%. Dati allarmanti confermati da diversi studi che hanno rilevato una elevata mortalità, pari al 35%, per eventi cardiovascolari avvenuti al proprio domicilio”.  Uno dei problemi è quindi che si va meno in ospedale per paura del contagio, ma non solo. Una nuova ricerca svedese pubblicata sull’European Heart Journal, ha osservato che i contagiati da Sars-CoV-2 che erano stati colpiti da un arresto cardiaco avevano una probabilità molto maggiore di morire rispetto a coloro che ne sono stati colpiti ma non erano infetti. Un’altra insidia Covid-correlata per il cuore, sottolinea l’esperto, “deriva dallo stress accumulato con l’emergenza coronavirus e si sta manifestando con una maggiore incidenza di sindromi di Takotsubo, una cardiomiopatia più diffusa nelle donne e simile all’infarto ma in cui le coronarie non mostrano restringimenti significativi”.

Uno studio della Cleveland Clinic pubblicato su Jama Network Open, infatti, ha mostrato che il numero di pazienti con sintomi di cardiomiopatia da stress tra marzo e aprile è salito all’8% a fronte dell’1,7% del periodo pre pandemia. La prevenzione è quindi l’arma più importante, come ricorda il progetto “Cardiologie Aperte”.

NUOVO PIANO PANDEMICO 2021

Da insic.it

Con ACCORDO del 25 gennaio 2021 raggiunto in CONFERENZA PERMANENTE PER I RAPPORTI TRA LO STATO LE REGIONI E LE PROVINCE AUTONOME DI TRENTO E BOLZANO è stato approvato il Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu 2021-2023).

Non mancano nel piano pandemico diversi riferimenti alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare, nell’Appendice al documento, dove vengono fornite indicazioni di continuità aziendale, indicazioni per gli Operatori Sanitari e del personale non sanitario (Forze di Polizia).

Piano pandemico e continuità aziendale

Nel Piano antinfluenzale si prende atto che una pandemia può verificare fenomeni di assenteismo dei lavoratori a causa di malattie personali, assistenza a conviventi malati o timore di ammalarsi, e ciò può potenzialmente perturbare la continuità operativa. Pertanto, è necessario che le aziende si preparino tempestivamente ad adottare piani di preparazione tenendo conto delle loro dimensioni, della loro specifica importanza economica e assumendosi le responsabilità delle strategie da adottare.

In questo contesto, il datore di lavoro deve garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori attraverso misure quali organizzare risorse, strutture e procedure di lavoro, fornire raccomandazioni per le procedure da adottare all’interno dell’azienda.

Piano pandemico: le misure da porre in atto

Il Piano suggerisce alcune Misure da porre in atto:

  • la protezione della salute dei lavoratori al fine di ridurre il rischio di contagio tra i dipendenti e garantire la continuità delle attività aziendali;
  • la pianificazione delle risorse per consentire il lavoro in sicurezza e lo sviluppo di competenze specifiche affinché tutti siano preparati al meglio a svolgere i loro compiti in caso di pandemia.

Piano pandemico: pre-organizzazione

Prima dell’arrivo di una pandemia di influenza è necessario identificare il grado di esposizione del personale e verificare la disponibilità a svolgere l’attività lavorativa mediante soluzioni organizzative alternative, per far fronte a un tasso di assenze elevato. Nel Piano si sottolinea che

  • è indispensabile evidenziare le attività essenziali per l’azienda, i processi e i prodotti più importanti (prioritarizzazione/ posteriorizzazione).
  • è utile stimare il fabbisogno di materiale dal punto di vista delle misure igieniche come disinfettanti e mascherine protettive e di altre misure fisiche di protezione e provvedere al loro approvvigionamento;
  • è importante istruire il personale in merito ai compiti, alle responsabilità e competenze nell’ambito delle misure aziendali di gestione delle crisi.
  • devono essere stabiliti mezzi e canali di informazione che siano noti a tutto il personale prima dell’arrivo di una pandemia per aumentare le conoscenze specifiche sulla pandemia e sulle relative misure da adottare, creando un team di collaboratori formati ed esperti nella gestione della pandemia che definiscano e adottano le procedure aziendali in caso di pandemia.
  • si rende necessaria la riorganizzazione dei processi di lavoro (es. garanzia delle sostituzioni, reclutamento di personale supplementare, trasferimento di personale, rinuncia alle attività non urgenti e non assolutamente necessarie, adozione di smart-working)
  • l’accesso a risorse per l’adozione di misure che contribuiscono a contenere il rischio di contagio.

Cosa deve fare il lavoratore?

In base alle indicazioni generali offerte dal Piano, l lavoratore deve:

  • essere istruito sulle misure di comportamento personale da adottare: indossare mascherine chirurgiche o mascherine FFP secondo la valutazione dei rischi;
  • lavarsi spesso le mani con acqua e sapone o in assenza con soluzioni idroalcoliche, in particolare dopo aver starnutito, tossito o essersi soffiati il naso;
  • starnutire o tossire in un fazzoletto di carta o nella piega del gomito; mantenere una distanza di sicurezza interpersonale di almeno 1 m (cosiddetto distanziamento fisico);
  • identificare e comunicare precocemente eventuali sintomi influenzali; adottare le misure di protezione individuali per impedire la trasmissione della malattia.

Misure organizzative per le aziende

L’azienda deve quindi mettere in atto misure organizzative:

  • sospendere tutte le attività aziendali che prevedono assembramento di persone;
  • adottare misure sulla base degli aspetti epidemiologici della pandemia (teleconferenze, telelavoro, modifiche degli spazi di lavoro, installazione di barriere di protezione impermeabili tra i clienti e il personale);
  • provvedere alla disinfezione delle superfici contaminate con detergenti normalmente reperibili in commercio con una formulazione attiva nei confronti del patogeno responsabile della pandemia; programmare sanificazioni ordinarie e/o straordinarie degli ambienti; garantire la permanenza in sicurezza dei lavoratori presso la struttura e contestualmente limitare l’esposizione al rischio di contagio; in fase di organizzazione dei processi di lavoro, tenere conto della situazione familiare dei collaboratori e dei possibili obblighi di assistenza che ne possono derivare (p. es. cura di familiari malati, custodia di figli in età prescolastica e scolastica in caso di chiusura di asili o scuole ecc.)

Misure per gli Operatori Sanitari

Nel Piano si sottolinea che l’adesione a programmi di salute e sicurezza sul lavoro possono limitare la trasmissione e la circolazione dei virus influenzali pandemici e quindi mantenere i servizi sanitari attivi. Essenziale dunque:

  • Identificare gli OS che hanno fornito assistenza ai pazienti con infezione da influenza pandemica (casi confermati o probabili) o che si sono ripresi dall’influenza pandemica (casi confermati o probabili)
  • Avere un sistema per monitorare l’assenteismo sul lavoro per motivi di salute, specialmente negli OS che forniscono assistenza diretta ai pazienti critici ai fini di garantire la continuità assistenziale.
  • Scoraggiare il presenzialismo in presenza di malattia negli OS.
  • Garantire una continua formazione al personale sanitario sui rischi specifici e sulle misure di prevenzione e protezione da adottare e rafforzare le campagne di vaccinazione.
  • Prevedere per il personale ospedaliero e territoriale azioni volte al miglioramento dell’organizzazione del lavoro e strategie per incrementare una corretta comunicazione e percezione del rischio, prevedendo formazione sulle procedure di risk management.
  • In caso di pandemia valutare la possibilità di verificare la presenza di sintomi specifici negli OS che forniscono assistenza a pazienti affetti da influenza pandemica prima del turno lavorativo.
  • Predisporre per gli OS un sistema di sorveglianza delle malattie simil-influenzali raccogliendo informazioni specifiche per ogni setting al fine di migliorare, ove ce ne fosse bisogno, le procedure e i dispositivi di protezione adottati, e incoraggiare gli OS a segnalare loro eventuali stati febbrili.

Personale non sanitario (Forze di Polizia) le indicazioni del Piano pandemico

Gli interventi di prevenzione e protezione sono indispensabili soprattutto nei primi mesi di pandemia, quando ancora non è disponibile il vaccino si spiega nel Documento. Per ridurre la diffusione e la trasmissione delle infezioni occorre attuare idonee procedure di lavoro e avere a disposizione dei lavoratori idonei DPI.
Occorre, poi, che ogni Amministrazione istituisca a livello centrale una struttura di gestione dell’emergenza pandemica, cui sia preposto un Dirigente medico per ogni singolo Ente, con il compito di assicurare il coordinamento delle attività di prevenzione a livello periferico e di mantenere il collegamento con il Ministero della Salute.

Inoltre, opportuno:

  • Istituire una “Unità di crisi” da parte di ogni Amministrazione delle Forze di polizia x Individuare le misure di contenimento del rischio infettivo e monitorarne la loro efficacia.
  • Avviare le pratiche di approvvigionamento dei DPI durante la fase inter-pandemica, con la possibilità di averne una riserva. x Predisporre i criteri per l’assegnazione al personale di appropriati DPI.
  • Provvedere all’attività di formazione/informazione nei confronti degli operatori, anche attraverso i medici competenti, sull’adozione di corrette procedure igienico-sanitarie e sulle pratiche di lavoro sicure e sull’utilizzo di DPI.
  • Non appena il vaccino sia disponibile, garantirne la fornitura e distribuzione ai presidi sanitari delle Forze di polizia.
  • Fare in modo che le ASL/ASP stabiliscano anticipatamente un’intesa e un piano di comunicazione con le strutture sanitarie delle Forze di polizia presenti nel territorio di competenza e abbiano una stima preventiva del fabbisogno di vaccini per il personale preposto alla sicurezza e all’emergenza.
  • Fare in modo che, al momento della pandemia, i medici delle strutture sanitarie delle Forze di polizia possano operare coordinandosi con i Dipartimenti di prevenzione a livello territoriale.

VACCINAZIONE COVID E FORZA DELLA SUA IMMUNITA’

dal corriere.it

I vaccini ci proteggono anche dalle varianti del coronavirus? Ha senso prolungare l’intervallo tra la prima e la seconda dose per «proteggere» più persone o, addirittura, come proposto da alcuni,limitarsi a una sola iniezione ? I timori e i dubbi sull’efficacia dei vaccini anti-Covid sono legittimi di fronte alla situazione mondiale della pandemia.

Per quanto riguarda le varianti ( oggi preoccupa soprattutto la variante brasiliana) gli esperti non escludono che alcune mutazioni possano sfuggire agli anticorpi indotti dai vaccini oggi esistenti, ma sottolineano anche che i vaccini a base di Rna messaggero possono essere modificati con facilità in base a nuove esigenze. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha chiesto uno sforzo globale per sequenziare e condividere più genomi del virus, in modo da tracciare le mutazioni.

La variante inglese B.1.1.7 si sta diffondendo rapidamente nel Regno Unito, Irlanda, Danimarca. C’è poi la 501Y.V2, identificata in Sudafrica: in laboratorio alcune delle sue mutazioni, indicate con le sigle E484K e K417N, hanno mostrato di ridurre l’impatto degli anticorpi monoclonali e del plasma dei convalescenti. La variante P.1 identificata a Manaus in Brasile sembra avere mutazioni simili ed è già stata identificata in Giappone. Non sappiamo però come questi nuovi ceppi stiano influendo sul corso della pandemia. In Gran Bretagna è stato creato il consorzio G2P-UK per studiare gli effetti delle mutazioni emergenti. Finora Sars-CoV-2 non sembra essere diventato “resistente” ai vaccini, ma secondo l’Oms è urgente mettere in campo una sorveglianza efficiente per rilevare le varianti e vaccinare in fretta quante più persone possibile.

Un caso paradigmatico è quello di Israele, dove sono già stati somministrati quasi 2,5 milioni di dosi di vaccini (28% della popolazione). Una campagna massiccia, cui è stato affiancato un lockdown per potenziarne i risultati. I primi dati sembrano positivi. Clalit HMO, la più grande organizzazione di servizi sanitari israeliana, ha confrontato due gruppi: 200 mila vaccinati e 200 mila non vaccinati di pari età e profili di salute. Fino al dodicesimo giorno dall’inoculazione del primo gruppo, non c’era differenza nei tassi di infezione. Il 13esimo giorno, scrive il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, è successo qualcosa: il gruppo vaccinato ha mostrato un calo del 33% nel numero di persone infette, rispetto al gruppo non vaccinato. Nei giorni seguenti la differenza è rimasta, con un intervallo variabile tra il 20 e il 40%.
Israele rappresenta un «esperimento scientifico» anche sotto un altro aspetto: la possibilità di ritardare la seconda dose secondo la schedula prevista negli studi clinici. Un grosso azzardo, secondo molti esperti, perché la piena efficacia del vaccino si raggiunge solo a una settimana di distanza dalla seconda dose. Lo conferma una notizia riportata dal Times of Israel, secondo cui all’inizio di gennaio, tra i circa un milione di vaccinati, a circa 240 è stato diagnosticato il virus giorni dopo l’iniezione. Escluso che il vaccino possa essere in sé causa di infezione (dato che non contiene parti del virus), si tratta di una conferma della necessità di continuare a proteggersi dopo la prima dose, perché il corpo impiega tempo per produrre anticorpi efficaci.

Finora gli studi sul vaccino Pfizer hanno dimostrato che la protezione comincia a svilupparsi 8-10 giorni dopo la prima iniezione e solo al 50% di efficacia. Ecco perché la seconda dose, somministrata 21 giorni dopo la prima, è fondamentale: rafforza la risposta del sistema immunitario, portando l’efficacia al 95% e garantendo l’immunità. Un livello che viene raggiunto una settimana dopo la seconda dose, 28 giorni dopo la prima. Ecco perché chiunque si infetti pochi giorni prima di ricevere il vaccino o del raggiungimento della piena efficacia è ancora in pericolo di sviluppare sintomi. Un altro punto importante è che gli studi non hanno ancora determinato se il vaccino blocchi l’infezione e quindi la trasmissione: la mucosa nasale potrebbe comunque ospitare particelle virali in moltiplicazione (senza danneggiare il portatore, protetto dagli anticorpi) e non è escluso che, espellendole attraverso naso e bocca, il vaccinato possa trasmettere il contagio ad altri.

Ecco perché, di fronte a queste incertezze (che si chiariranno nei prossimi mesi con ulteriori studi), è importante seguire le regole. «Pensiamo sia bene rispettare il termine di intervallo di tre settimane fra prima e seconda dose – ha detto il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri -. Inoltre se ci si vaccina con Pfizer è consigliabile che la dose di richiamo la si faccia con lo stesso vaccino”. «È importante che la schedula vaccinale venga mantenuta e chi ha ricevuto la prima dose abbia la possibilità di avere la seconda nei tempi che sono stati dettati dall’approvazione – conferma a Sky Tg24 Marco Cavaleri, responsabile Strategia vaccini dell’Agenzia europea per i medicinali -. Andrebbe fatta a tre settimane, è ragionevole darla anche qualche giorno dopo ma è importante che avvenga in tempi il più vicini possibile a tre settimane. Più si aspetta e più c’è il rischio che il soggetto non venga protetto”. Con una strategia vaccinale che preveda l’uso per tutti di una prima dose ritardando il richiamo, «rischiamo di vaccinare il doppio e non proteggere nessuno – aggiunge Carlo Signorelli, docente di Igiene e Sanità pubblica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano -. Sono molto contrario a dilazionare le dosi di vaccino, facendo la prima dose e rimandando la seconda. Sarei molto rigoroso, invece, sulle indicazioni previste. Non ci sono dati che ci possano confortare su altre strategie. Se poi ci saranno altre evidenze le analizzeremo».

Clelia Di Serio è professore di Statistica medica presso la facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presso l’Università della Svizzera Italiana di Lugano. Ritiene che i dati possano aiutarci a comprendere meglio i meccanismi di diffusione della pandemia e gli effetti delle cure, ma solo se usati correttamente. E che l’efficacia dei vaccini dimostrata negli studi clinici non sia un numero su cui si può «trattare». «Bisogna essere particolarmente attenti dopo aver ricevuto la prima dose perché psicologicamente possiamo sentirci protetti, ma non è così – afferma -, ci sono stati infatti casi di infezioni, dovuti semplicemente al fatto che, come previsto, l’efficacia si raggiunge una settimana dopo la seconda dose. L’effetto di “falsa sicurezza” potrebbe essere devastante per la ripresa della circolazione del virus. Chi si vaccina dovrebbe sentirsi “protetto” solo dopo le due iniezioni, ma anche allora non è certo se sia protetto anche chi ci è vicino e non è vaccinato. Il compito del richiamo è quello di amplificare la risposta iniziale, non sappiamo che cosa possa succedere se ritardiamo questo passaggio. Il rischio, anzi, è che anche la seconda dose possa diventare inutile se trascorre troppo tempo, dato che potrebbe calare lo stimolo a produrre anticorpi. È fondamentale che Paesi, Regioni, Asl tengano da parte le scorte per somministrare le seconde dosi”.

Basandosi sull’analisi di quanto accaduto finora e sulle caratteristiche dei coronavirus, per Clelia Di Serio non bisogna fare confusione: il raggiungimento di un’eventuale immunità di gregge non è certo possa considerarsi l’obiettivo di questo vaccino nel medio periodo (come confermato dall’Oms). Innanzitutto non sappiamo quanto e per quanto a lungo il vaccino ci protegga da una reinfezione e dalla trasmissione e poi non sappiamo come e quanto velocemente il virus muterà e se i vaccini riusciranno ad adattarsi con la stessa rapidità. Il vaccino avrà sicuramente un effetto molto importante sull’abbassamento della curva dei decessi, delle infezioni e sul tasso di letalità, soprattutto se andrà a coprire le fasce fragili. “Sars-CoV-2, a differenza della prima Sars, provoca moltissime infezioni asintomatiche, ecco perché è difficile pensare di liberarcene definitivamente. Dovremo probabilmente imparare a conviverci – finché sarà endemico – e con il tempo stiamo diventando sempre più capaci di diagnosticarlo rapidamente, e curarlo. Per ora quello che possiamo e dobbiamo fare è continuare a seguire le regole di prevenzione (mascherina, distanziamento e igiene delle mani), anche dopo essere stati vaccinati. Si tratta dei primi vaccini a base di mRna che vengono sperimentati a livello di massa, non ne abbiamo avuti altri prima di questa pandemia, ecco perché serve molta prudenza. Ed è necessario che proceda parallelamente anche la ricerca di nuove terapie efficaci, per curare chi si ammala».

LE NUOVE NORME DI RADIOPROTEZIONE

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n.101 del 31 luglio 2020 che costituisce il nuovo testo sulla radioprotezione in Italia.

A distanza di 6 anni e mezzo dalla direttiva 2013/59/Euratom, l’Italia si dota di un provvedimento di recepimento che costituisce lo strumento normativo per l’atteso riordino della materia.

Clicca qui per scaricare il decreto legislativo in formato pdf.

DECRETO LEGISLATIVO 31 luglio 2020 n. 101:
Quali sono le principali novità in materia di radioprotezione?

TITOLO XI PROTEZIONE DEI LAVORATORI

L’articolo 109 (Obblighi dei datori di lavoro, dirigenti e preposti) dettaglia il contenuto della relazione (già oggi prevista), redatta dall’esperto di radioprotezione e dettaglia le informazioni che a tal fine il datore di lavoro deve rendere all’Esperto in Radioprotezione. Il comma 4, stabilisce, in conformità con la disciplina generale di tutela di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, che la relazione redatta dall’Esperto in Radioprotezione costituisce il documento di cui all’articolo 28, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, per gli aspetti relativi ai rischi di esposizione alle radiazioni ionizzanti ed è munita di data certa o attestata dalla sottoscrizione del documento medesimo da parte del datore di lavoro, nonché, ai soli fini della prova della data, dalla sottoscrizione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o rappresentante dei lavoratori per la sicurezza territoriale e dal medico autorizzato.

VALORI LIMITE LAVORATORI ESPOSTI (art. 146)

Una importante novità introdotta dal Decreto è rappresentata dalla riduzione consistente dei valori limite di esposizione per i lavoratori classificati esposti a radiazioni ionizzanti. In particolare risulta ridotto di più di sette volte il limite di dose equivalente al cristallino. Il limite fissato dal D.lgvo 230/95 di 150 millisievert /anno è stato ridotto a 20 millisievert/anno.

SORVEGLIANZA SANITARIA

L’articolo 134 “Sorveglianza sanitaria”, introduce novità rispetto al corrispondente articolo del D.lgvo 230/95 e smi nella parte in cui prevede che la sorveglianza di tutti i lavoratori esposti è affidata al medico autorizzato e non più suddivisa tra il medico competente per i lavoratori esposti di categoria B e il medico autorizzato per i lavoratori esposti di categoria A. Infatti, al comma 1, viene stabilito l’obbligo del datore di lavoro di provvedere ad assicurare mediante uno o più medici autorizzati la sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti e degli apprendisti e studenti in conformità alle norme del presente Titolo. Tale sorveglianza è basata sui principi che disciplinano la medicina del lavoro. Al comma 2, viene introdotto un periodo transitorio per consentire ai medici competenti di adeguarsi alla nuova previsione. Infatti, si prevede che i medici competenti di cui all’art. 25 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 che alla data di entrata in vigore della presente disposizione già svolgono l’attività di sorveglianza sanitaria sui lavoratori classificati esposti di categoria B possono continuare a svolgere tale attività anche senza l’abilitazione di cui all’articolo 138 per il termine di 24 mesi.

ESPOSIZIONE ALLE SORGENTI NATURALI DI RADIAZIONI IONIZZANTI

Il decreto legislativo 101/2020 di recepimento della direttiva 59/2013/Euratom introduce nel sistema regolatorio di radioprotezione moltissime novità per quanto concerne la protezione dall’esposizione dalle sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti, approfondendo il quadro regolatorio che era stato introdotto con il decreto legislativo 241/2000.
La protezione delle radiazioni ionizzanti da sorgenti naturali è oggetto del Titolo IV e affronta vari aspetti radioprotezionistici:
– Protezione dall’esposizione al radon negli ambienti di vita: questa per l’Italia è una importante NOVITA’ (nel D.Lgs 230/95 e smi tale argomento era esplicitamente dichiarato fuori dal campo di applicazione)
– Protezione dall’esposizione al radon negli ambienti di lavoro: sono contenute importanti modifiche rispetto al quadro normativo precedente.
– Protezione dei lavoratori e dei degli individui della popolazione dall’esposizione ai radionuclidi naturali presenti nelle materie e nei residui di “industrie NORM” (acronimo di Naturally Occurring Radioactive Material: indentifica quei materiali abitualmente non considerati radioattivi ma che possono contenere elevate concentrazioni di radionuclidi naturali per cui sono considerati di interesse dal punto di vista della protezione dei lavoratori e del pubblico).
– Protezione dalle radiazioni gamma emesse da nuclidi contenuti nei materiali da costruzione
– Protezione del personale navigante dall’esposizione alla radiazione cosmica, ecc.

Warning sign caution ionizing radiation Hazardous areas

Andiamo nel dettaglio, focalizzandoci sugli elementi principali: prima di tutto, in accordo con quanto raccomandato dall’ICRP 103, per le situazioni di esposizione esistenti (come la protezione dal radon negli ambienti di vita e di lavoro e la protezione dell’esposizione gamma dovuta ai materiali da costruzione) lo strumento operativo per la radioprotezione è il “livello di riferimento” al posto del “livello di azione”. Il “livello di riferimento” è definito come un valore di dose o di concentrazione di attività in aria (nel caso del radon) da intendere non come “soglia”, ma come un valore al di sopra del quale non è opportuno che si verifichi l’esposizione (attenzione: non è un limite!), quindi è prioritario adottare interventi protettivi. Tuttavia tali interventi si richiede che siano apportati anche al di sotto di tale livello, in osservanza del principio di ottimizzazione.

PROTEZIONE DAL RADON NEI LUOGHI DI LAVORO

Per quanto riguarda la protezione dal radon negli ambienti di vita e di lavoro, inquadrate come situazioni di esposizione esistenti, è fissato lo stesso livello di riferimento (pari ad una concentrazione media annua di 300 Bq/m3 ): questo certamente faciliterà l’attuazione della norma, delineando un quadro radioprotezionistico più omogeneo. Inoltre, per le abitazioni, come si vede dalla tabella 1, a quelle costruite dopo il 31/12/2024 si applicherà un livello di riferimento inferiore, pari a 200 Bq/m3.
Tabella1. Livelli di riferimento concentrazione media annua 
Le norme relative alla protezione dal radon nei luoghi di lavoro si applicano alle attività lavorative svolte in ambienti sotterranei, negli stabilimenti termali, nei luoghi di lavoro seminterrati e al piano terra se ubicati in aree prioritarie (opportunamente definite nell’art.11), oppure se svolte in “specifici luoghi di lavoro” da individuare nell’ambito di quanto previsto dal Piano di Azionale Nazionale Radon.
Nei luoghi di lavoro sopra citati è richiesta la misurazione della concentrazione di radon in aria media annua e nel caso superi il livello di riferimento, si richiede l’adozione di “misure correttive” volte a ridurre i livelli medi di radon indoor. Un’altra novità, al riguardo è l’istituzione della figura dell’ “esperto in interventi di risanamento radon”, un professionista che abbia il titolo di ingegnere o architetto o geometra e formazione specifica sull’argomento attestata mediante la frequentazione di corsi di formazione o aggiornamento universitari dedicati, della durata di 60 ore, su progettazione, attuazione, gestione e controllo degli interventi correttivi per la riduzione della concentrazione del Radon negli ambienti.
Nei casi in cui le misure correttive non siano sufficientemente efficaci da ridurre la concentrazione media annua di radon indoor sotto 300 Bq/m3 , si prevede una valutazione dell’esposizione o della dose efficace dei lavoratori e qualora risulti superiore al valore di 6 mSv/anno (o il corrispondente valore di esposizione al radon), tale situazione è da intendersi come una situazione di esposizione pianificata. Ovviamente tali adempimenti, sinteticamente descritti, vanno inquadrati nell’ambito degli obblighi previsti dal D.Lgs 81/08 e smi, quindi ad esempio le relazioni delle misurazioni di radon vanno a corredo del documento di valutazione dei rischi. E’ da notare che anche il fattore convenzionale di conversione utile alla stima della dose efficace da radon è stato aggiornato, alla luce della raccomandazione ICRP137.
L’adozione di un Piano d’Azione Nazionale Radon è un’altra innovazione importante perché aiuterà a definire:
– specifiche attività lavorative per le quali il rischio di esposizione al lavoro deve essere oggetto di attenzione
– strumenti metodologici necessari all’assolvimento degli obblighi previsti dalla legge,
– strumenti tecnici operativi (linee guida e procedure),
– strategie e criteri attraverso i quali le regioni potranno individuare le aree prioritarie, tenuto conto che un primo criterio di identificazione è già presente nel decreto. Il decreto infatti indica che le Regioni e le provincie autonome, laddove sono disponibili dati di concentrazione del radon (o normalizzati) al piano terra, definiscono “aree prioritarie” quelle in cui in almeno il 15% degli edifici si supera il valore di riferimento;
– misure per rendere le politiche sul radon compatibili e coerenti con quelle sul risparmio energetico o sulla Indoor Air Quality (IAQ) e con le politiche sul fumo di tabacco.

LA VALUTAZIONE DEL RADON: TEMPISTICHE, INTERVENTI, CADENZA

La prima valutazione della concentrazione media annua di attività del Radon deve essere effettuata entro 24 mesi dall’inizio dell’attività o dalla definizione delle aree a rischio o dalla identificazione delle specifiche tipologie nel Piano nazionale. Il documento che viene redatto a seguito della valutazione è parte integrante del Documento di Valutazione del Rischio (articolo 17 del D.lgs. del 9 aprile 2008, n. 81).
Cadenza delle misure:
• Ogni volta che vengono fatti degli interventi strutturali a livello di attacco a terra, o di isolamento termico
• Ogni 8 anni, se il valore di concentrazione è inferiore a 300 Bq m-3
Se viene superato il livello di riferimento di 300 Bq m-3, entro due anni vengono adottate misure correttive per abbassare il livello sotto il valore di riferimento. L’efficacia delle misure viene valutata tramite una nuova valutazione della concentrazione. In particolare:
• A seguito di esito positivo (minore di 300 Bq m-3) le misurazioni vengono ripetute ogni 4 anni.
• Se la concentrazione risultasse ancora superiore è necessario effettuare la valutazione delle dosi efficaci annue, tramite esperto di radioprotezione che rilascia apposita relazione (il livello di riferimento questo caso è 6 mSv annui).

CHI EFFETTUA LE MISURE (ART. 155)

Le misurazioni della concentrazione media annua di attività di radon in aria sono effettuati da servizi di dosimetria riconosciuti.
La determinazione della dose o dei ratei di dose, e delle altre grandezze tramite le quali possono essere valutati le dosi e i ratei di dose nonché delle attività e concentrazioni di attività, volumetriche o superficiali, di radionuclidi deve essere effettuata con mezzi di misura, adeguati ai diversi tipi e qualità di radiazione, che siano muniti di certificati di taratura secondo la normativa vigente. I soggetti che svolgono attività di servizio di dosimetria individuale e quelli di cui agli articoli 17, comma 6, 19, comma 4, e 22, comma 6, devono essere riconosciuti idonei nell’ambito delle norme di buona tecnica da istituti previamente abilitati; nel procedimento di riconoscimento si tiene conto dei tipi di apparecchi di misura e delle metodiche impiegate. Con uno o più decreti del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell’interno e della salute, sentiti l’ISIN, l’Istituto di metrologia primaria delle radiazioni ionizzanti e l’INAIL sono disciplinate le modalità per l’abilitazione dei predetti istituti, tenendo anche conto delle decisioni, delle raccomandazioni e degli orientamenti tecnici forniti dalla Commissione europea o da organismi internazionali.
Sono considerati istituti abilitati l’ISIN e l’INAIL.
I servizi di dosimetria devono possedere requisiti minimi previsti dall’art. 22 .
I contenuti della relazione tecnica e le modalità di effettuazione delle misure sono dettagliati nell’Allegato II

PROTEZIONE DALL’ESPOSIZIONE GAMMA DOVUTA AI MATERIALI DA COSTRUZIONE

Questo aspetto è di nuova introduzione nel sistema regolatorio italiano. Questa norma si riferisce ad alcune tipologie di materiali da costruzione presenti sul mercato quindi NON ai materiali già in opera: i materiali da costruzione che rientrano nel campo di applicazione della legge sono elencati nell’allegato II e di seguito riportati:

1. Materiali naturali

a) Alum-shale (cemento contenente scisti alluminosi).

b) Materiali da costruzione o additivi di origine naturale ignea tra cui:

• granitoidi (quali graniti, sienite e ortogneiss);

• porfidi;

• tufo;

• pozzolana;

• lava.

• derivati dalle sabbie zirconifere

 

2. Materiali che incorporano residui dalle industrie che lavorano materiali radioattivi naturali tra cui:

a. ceneri volanti;

b. fosfogesso;

c. scorie di fosforo;

d. scorie di stagno;

e. scorie di rame;

f. fanghi rossi (residui della produzione dell’alluminio);

g. residui della produzione di acciaio.

Questa normativa va ad integrare il Regolamento UE 305/2011 sui prodotti da costruzione in relazione alla marcatura CE e va ad integrare quanto previsto per la stesura della dichiarazione di prestazione: questi adempimenti coinvolgono il fabbricante, il mandatario, il distributore e l’importatore.

 

Per tale situazione di esposizione esistente, il nuovo decreto fissa un livello di riferimento pari ad 1 mSv/anno.

 

Per questi materiali che rientrano nell’elenco di cui all’allegato II, è necessario effettuare una misura delle concentrazioni di attività di Ra-226, Th-232 e K-40. Tali valori di concentrazione di attività sono necessari alla stima dell’ “Indice di concentrazione di attività – Indice I”. (foglio di calcolo per Indice di concentrazione di attività – Indice I disponibile sul Portale Agenti Fisici -sezione Radiazioni Ionizzanti naturali – metodiche di valutazione del rischio)

 

Se il valore dell’indice di concentrazione di attività è pari o minore di 1, il materiale in esame può essere utilizzato come materiale strutturale (quindi in grandi quantità) senza che il livello di riferimento sia superato.

 

Se il valore dell’indice I risulta superiore a 1, è necessaria una valutazione accurata del possibile contributo in termini di dose efficace, tenuto conto delle caratteristiche del materiale in termini di spessore e densità. Nei casi in cui il materiale è suscettibile di dare una dose>1 mSv/anno, tale materiale non può essere utilizzato per l’edilizia civile (materiale strutturale di abitazioni e di edifici a elevato fattore di occupazione) ma per scopi diversi, che vanno previsti che nei codici e nei regolamenti edilizi.

 

PROTEZIONE DALL’ESPOSIZIONE GAMMA DOVUTA AI MATERIALI CONTENENTI RADIOISOTOPI DI ORIGINE NATURALE (NORM)

Il Capo II del Titolo IV disciplina le “Pratiche che comportano l’impiego di materiali contenenti radionuclidi di origine naturale”, le cosiddette “industrie NORM. Nell’ambito del Titolo IV questa è forse tra le parti che hanno subito il cambiamento più importante rispetto alla normativa precedente.

Innanzitutto, queste sono già classificate come “pratiche”, mentre prima erano “attività lavorative” che entravano nel sistema di radioprotezione solo se sussistevano determinate condizioni (superamento del livello di azione).

In altri termini le attività che ricadono nell’ambito di applicazione della norma hanno l’obbligo – entro dodici mesi dall’entrata in vigore del decreto (entro il 27 agosto 2021) o dall’inizio della pratica, di provvedere alle misurazioni delle concentrazioni di attività dei materiali presenti nel ciclo produttivo e nei residui di lavorazione, avvalendosi di organismi riconosciuti. Nel caso in cui i risultati delle misurazioni siano superiori ai livelli di esenzione è necessaria la nomina di un Esperto in Radioprotezione che procederà all’attuazione degli adempimenti di radioprotezione prescritte per la tutela dei lavoratori (art. 22).

 

L’articolo 22 prevede esplicitamente che la relazione tecnica contenente gli esiti delle valutazioni effettuate dall’Esperto in Radioprotezione siano parte integrante della valutazione dei rischi ai sensi del D.lgvo 81/08.

 

I settori industriali ai quali si applicano le nuove norme sono più numerosi rispetto al passato; ad esempio, i cementifici, la geotermia, gli impianti per la filtrazione delle acque di falda ecc. sono settori prima non coinvolti dalla normativa di radioprotezione. Nell’ambito dei settori industriali di cui all’allegato II (vedi Tabella II-1) , si considerano le attività che comportano:

a) l’uso o lo stoccaggio di materiali che contengono radionuclidi di origine naturale;

b) la produzione di residui o di effluenti che contengono radionuclidi di origine naturale.

 

Come sempre nel caso delle pratiche, gli strumenti di radioprotezione sono i livelli di esenzione, i livelli di allontanamento e il limite di dose. In questo caso i livelli di esenzione e di allontanamento hanno gli stessi valori: essi sono stati definiti per i lavoratori e per gli individui della popolazione sia in termini di concentrazione di attività, sia in termini di dose efficace nell’allegato II.

 

Si prevede che l’esercente di tali pratiche provveda alla misurazione della concentrazione di attività sui materiali presenti nel ciclo produttivo, sui residui ed eventualmente effluenti. Nel caso in cui tali valori di concentrazione risultino inferiori ai livelli di esenzione in termini di concentrazione di attività, la pratica si può considerare “esente” dagli obblighi di notifica ed “uscire” dal sistema di radioprotezione, con la sola richiesta di ripetere tali misurazioni radiometriche con cadenza triennale.

 

Nel caso i suddetti valori siano superiori livelli di esenzione in termini di concentrazione di attività, è necessario valutare la dose efficace ai lavoratori e all’individuo rappresentativo: se dalle valutazioni risultano non superati i livelli di esenzione in termini di dose al lavoratore e all’individuo rappresentativo, la pratica ha una nuova opportunità per considerarsi “esente” dagli obblighi di notifica ed “uscire” dal sistema di radioprotezione, con la sola richiesta di ripetere tali valutazioni con cadenza triennale.

 

In caso di superamento dei livelli di esenzione in termini di dose al lavoratore e all’individuo rappresentativo si applica quanto previsto ai titoli XI e XII inerenti rispettivamente la protezione dei lavoratori e la protezione della popolazione.

 

Tabella II-1 Settori industriali “NORM”

 

L’adozione di misure correttive e la ripetizione dello schema sopra descritto può determinare nuove condizioni.

Un aspetto molto importante è l’allontanamento dei residui prodotti da industrie NORM, per i quali è stata quindi introdotta una classificazione (altra novità molto importante) tra “esenti” (se il contenuto radiologico è inferiore ai livelli generali di allontanamento, intesi quindi con livelli di non rilevanza radiologica) e non “esenti”.

I residui “esenti” sono fuori dal campo di applicazione del sistema di radioprotezione e necessitano di autorizzazione per essere gestiti, smaltiti nell’ambiente, riciclati o riutilizzati nel rispetto della disciplina generale delle emissioni in atmosfera o della gestione dei rifiuti di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

I residui “non esenti” vanno smaltiti in discariche autorizzate, in possesso di requisiti descritte nella norma all’articolo 26 e con e secondo le modalità di cui all’allegato VII. La norma è molto complessa e articolata, (anche ricca di molte eccezioni).

 

In questa nota di sintesi è impossibile riportare molti dettagli, per cui si rimanda ad un’attenta lettura dell’intero decreto. Ulteriori dettagli in merito agli organismi di misura, alle autorità a cui la documentazione va trasmessa/notificata, alle figure professionali che supportano l’esercente nell’assolvimento degli obblighi e ulteriori approfondimenti saranno a breve disponibili sul Portale Agenti Fisici.

 

 

A cura di

Iole Pinto (Azienda USL Toscana Sud Est- Laboratorio Sanità Pubblica – Siena)

Rosabianca Trevisi (INAIL Settore Ricerca – DiMEILA) da puntosicuro

INFEZIONE COVID: IMMUNITÀ PER 5 MESI

Da Dottnet.it

La maggior parte delle persone contagiate dal Covid-19 e poi guarite resta protetta per almeno 5 mesi successivi dal rischio di ammalarsi nuovamente. E’ quanto indica uno studio condotto a campione dal Public Health England, organismo pubblico della sanità britannica, che evidenzia peraltro come una percentuale, ancorché minoritaria, non risulti immune dal rischio di essere nuovamente colpita dal virus.   I ricercatori hanno rilevato che l’83% dei guariti dal Covid-19 ha meno possibilità di riammalarsi, un tasso d’immunità medio molto alto grazie alla duratura presenza di anticorpi rilevata nell’organismo, che riducono il rischio di un secondo contagio ma non quello di trasmissione del virus. Lo studio è stato condotto attraverso il monitoraggio di oltre 20mila operatori sanitari, tra giugno e novembre 2020, compreso personale clinico in prima linea: tramite test regolari è stato possibile misurare la quantità di anticorpi residui da un’infezione passata.  La dottoressa Susan Hopkins, responsabile della ricerca, ha dichiarato alla Bbc che i risultati appaiono molto incoraggianti dal momento che l’immunità sembra durare più di quanto alcuni medici e scienziati avevano inizialmente ipotizzato.

SOSPESO PER IL 2021 L’ALLEGATO 3B

Il Ministero della Salute, con circolare del 14 gennaio 2021,  alla luce del carico di lavoro dei medici competenti, della difficoltà della situazione legata alla gestione dell’emergenza COVID-19 e della peculiarità operativa della sorveglianza sanitaria periodica in questa fase pandemica, sospendere l’invio dell’allegato 3B per tutto il 2021.

scarica la circolare in formato pdf: circolare _sospensione allegato 3b art 40

EFFETTI SUL FISICO DI 25 ANNI DI SMART WORKING

Obesi, con la gobba e gli occhi affaticati per il lavoro al computer. Così diventeranno le persone che lavorano da casa secondo l’elaborazione grafica di un modello fatta dalla piattaforma di ricerca del lavoro DirectlyApply. Con l’aiuto di esperti, la società ha creato Susan, smart worker del 2045, per sensibilizzare il pubblico sui problemi per la salute del lavoro da remoto, diventato una prassi per molti con la pandemia.

“Il tuo tragitto quotidiano per andare al lavoro, dal letto alla scrivania, ti può far guadagnare più tempo libero e indipendenza, ma le ripercussioni fisiche per la mente e il corpo sono molte. Ne varrà la pena per il futuro?”, scrivono i responsabili di DirectlyApply.

Vedere Susan fa piuttosto impressione. Molti smart worker che in questi mesi stanno facendo esperienza di una vita con solo cinquanta passi al giorno (quelli dalla camera alla cucina) e con pochissime interazioni sociali si scopriranno già sulla buona strada per diventare molto simili a Susan.

Immagine: DirectyApply

La mancanza di movimento può portare a una postura sbagliata, con la schiena curva e il collo allungato in avanti. La posizione sbagliata può provocare la sindrome del “tech neck”, con la cervicale infiammata e il doppio mento. Lo sguardo sempre fisso sul computer può far venire gli occhi rossi e nel lungo periodo avere effetti negativi sulla vista. In più stringere gli occhi per vedere meglio può far aumentare le rughe. Scrivere sulla tastiera per lungo tempo può portare dolori al polso e alle mani. La scarsa esposizione al sole può causare la mancanza di vitamina D e la conseguente perdita di capelli. Le occhiaie, quelle le conosciamo già tutti. A tutto questo si aggiungono pallore, obesità, stress. I pantaloni del pigiama non sono un problema di salute, ma mostrano la scarsa vita sociale di chi lavora da casa, che non è un fattore irrilevante per il benessere psico fisico.

Immagine: Directy Apply

Sono tutti problemi di cui soffre Susan e di cui finiranno per soffrire molti lavoratori da casa se non adottano alcune buone abitudini. DirectlyApply ne elenca alcune che vi riportiamo qui:

  • Mantenere una routine aiuta a gestire il tempo e a conservare la salute psicologica
  • Coltivare le relazioni social
  • Fare esercizio fisico, in particolare esercizi o discipline come lo yoga, per la postura corretta
  • Separare la vita privata da quella professionale (una, divisione difficile per molti) lavoratori da casa che da quando è cominciata la pandemia lavorano più ore del previsto, non riescono mai a staccare e arrivano sull ‘orlo del burn out).
  • Utilizzare con saggezza il proprio tempo libero
  • Collaborare con i colleghi, anche se a distanza

Da it.mashable.it

Immagine di copertina: DirectlyApply

COVID 19: PIÙ SINTOMI PER I FUMATORI

Da dottnet.it

Chi fuma sigarette presenta un numero di sintomi del Covid-19 più elevato rispetto ai non fumatori e corre un rischio doppio di esser ricoverato. E’ quanto emerge dallo studio pubblicato oggi sulla rivista scientifica Thorax dai ricercatori del King’s College di Londra. I ricercatori hanno analizzato i dati di utenti inglesi dell’app Zoe Covid Symptom Study, di cui l’11% erano fumatori. Durante il periodo di studio (24 marzo e aprile 2020), i fumatori avevano il 14% di probabilità in più, rispetto ai non fumatori, di sviluppare la classica triade di sintomi che suggeriscono la diagnosi di Covid-19: febbre, tosse persistente e mancanza di respiro. I fumatori positivi al Sars-Cov-2 inoltre avevano il 29% di probabilità in più di avere oltre 5 sintomi associati a Covid-19 e il 50% di probabilità in più di averne oltre 10, tra cui perdita dell’olfatto, diarrea, affaticamento, confusione e dolore muscolare. Infine, avevano più del doppio delle probabilità di andare in ospedale.  “Alcune indagini nei mesi passati hanno suggerito un effetto protettivo del fumo sul rischio Covid-19. Tuttavia, gli studi in quest’area possono essere facilmente influenzati da pregiudizi nel campionamento, nella partecipazione e nella risposta.

I nostri risultati mostrano invece chiaramente che i fumatori corrono un rischio maggiore di soffrire di una gamma più ampia di sintomi Covid”, spiega Mario Falchi, ricercatore capo e docente senior al King’s College di Londra. Diminuire il vizio fumo, suggeriscono gli autori, potrebbe anche contribuire a ridurre il carico del sistema sanitario derivante dall’aumento dei ricoveri in ospedale.