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VACCINO COVID :COME AVVERRA’ LA VACCINAZIONE IN ITALIA

Da Doctor33.it

Gli italiani avranno la possibilità di vaccinarsi contro il coronavirus. E la priorità sarà data agli operatori sanitari, ai dipendenti degli ospedali e agli anziani ospiti delle case di riposo. Tanto si evince dalla comunicazione del Commissario all’Emergenza Covid Domenico Arcuri inviata alle regioni il 17 novembre scorso. Nella nota si chiede alle giunte una “Raccolta di informazioni per il piano di fattibilità della prima fase di somministrazione del vaccino Covid-19”. Nell’ambito dell’Advanced Purchase Agreement, iniziativa dell’Unione europea per l’acquisto del più ampio portafoglio possibile di vaccini, Pfizer Biontech arriverebbe prima, a fine gennaio, quando – afferma il documento commissariale – è prevista la consegna dei primi 3,4 milioni di dosi destinate a 1,7 milioni di italiani, da inoculare in due fasi: prima somministrazione e richiamo.

Pfizer, che ha appena annunciato la conclusione della fase 3 di sperimentazione con efficacia al 94% (crescita di anticorpi specie negli anziani over 65), fornirà il vaccino direttamente al punto di somministrazione in borse di conservazione contenenti massimo 5 scatole da 195 fiale (975 dosi a scatola). Per 15 giorni dalla consegna le scatole possono restare nelle borse di conservazione del fornitore; nelle celle frigorifere a una media di -75°C possono essere tenute 6 mesi. Le regioni sono chiamate da Arcuri ad individuare le strutture individuate come punti di consegna e capaci di conservare i vaccini alle condizioni sopra citate. Si tratta di ospedali che dovranno essere in grado di vaccinare minimo 2 mila persone in 15 giorni e fare da “hub” per la consegna di vaccini alle Rsa e ad altri centri vaccinali. Ogni ospedale-punto di consegna dovrà indicare il numero del personale complessivo operante, quello del personale sanitario e sociosanitario in grado di raggiungere la struttura in massimo un’ora, dei congelatori idonei di cui dispone e dei volumi complessivi da essi offerti. Le residenze per anziani dovranno indicare il numero di personale e di ospiti e dovranno poter essere raggiungibili entro un’ora da ospedali che abbiano in dotazione il vaccino. Quest’ultimo andrà usato al massimo entro 6 ore dall’estrazione dalle borse o dalla cella di conservazione. In una fase successiva si passerà a somministrare i vaccini ai cittadini a partire dai fragili, quindi dagli anziani.
Va detto che ancora né Ema in Europa né Fda negli Stati Uniti hanno approvato in commercio i vaccini, ed è normale perché tutti e tre i prodotti nel mirino dell’Ue – ci sono pure i vaccini di Janssen-Moderna e di Oxford-Irbm-AstraZeneca – stanno per ultimare le fasi di sperimentazione. Peraltro, il primo lotto del vaccino Pfizer si troverà davanti popolazioni strategiche da vaccinare e per questo ne è prevista la distribuzione tramite hub ospedalieri, cosa che non dovrebbe avvenire per i lotti successivi che dovrebbero essere somministrati con i canali tradizionali (inclusi i drive-through).


Difficilmente il vaccino sarà obbligatorio, il Tar Lazio ha da poco bocciato la disposizione della Regione che imponeva l’antinfluenzale. Se l’immunizzazione funziona, sarà però vantaggioso sia nel tornare al lavoro in presenza sia nei contatti tra pazienti e ambulatori, specie ospedalieri, tanto più se i mancati vaccini rendessero vana la possibilità di liberarsi del virus.

INFERMIERI I PIÙ COLPITI DA COVID

Da Dottnet.it

Lo studio ha valutato 546 operatori sanitari che avevano una esposizione diretta con i pazienti Covid in due ospedali del New Jersey e 283 operatori non sanitari senza contatto diretto con i pazienti

Tra gli operatori sanitari sono in particolare gli infermieri ad avere una maggiore prevalenza di infezione da Sars-CoV-2. A dirlo è una ricerca della Rutgers University, pubblicata sulla rivista Bmc Infectious Diseases, che ha analizzato quanto accaduto nella prima fase della pandemia Covid-19.  Lo studio ha valutato 546 operatori sanitari che avevano una esposizione diretta con i pazienti Covid in due ospedali del New Jersey e 283 operatori non sanitari senza contatto diretto con i pazienti. Tra tutti i partecipanti allo studio, oltre il 7% degli operatori sanitari è risultato positivo al nuovo coronavirus rispetto ai tassi molto più bassi di test positivi che invece venivano dagli altri operatori ospedalieri non sanitari. Chi ha riferito di prendersi cura di cinque o più pazienti con Covid-19 (sia sospetto, sia confermato), e coloro che hanno trascorso una percentuale maggiore del loro tempo nelle stanze dei pazienti, avevano maggiori probabilità di risultare positivi all’infezione. Dei 40 operatori sanitari infetti, più della metà (25) erano infermieri. I lavoratori delle unità di terapia intensiva hanno avuto i tassi di infezioni più bassi tra gli operatori sanitari. Secondo gli studiosi, questo potrebbe essere dovuto dall’uso più coerente dei dispositivi di protezione individuale.

fonte: Bmc Infectious Diseases

I VACCINI SARS2-COV PRONTI AL VIA

Ormai stiamo entrando in una fase dove parlare di vaccinazione di covid non é più solo una speranza lontana. In queste prossime settimane le informazioni relative ai nuovi vaccini ed alle problematiche correlate alla somministrazione di ognuno di essi occuperà a cadenza regolare giornali e media. Dobbiamo abituarci.  Molti vaccini  sono già in fase avanzata di sperimentazione, quindi nella fase 3, altri sono in fase più sperimentale.

Ecco i vaccini ormai pronti al via:
Il virus inattivato scelto da Sinovac (Cina), la via dell’RNA da Pfizer e Moderna (Usa), gli adenovirus che trasportano antigeni da AstraZeneca (Uk), Sputnik (Russia), Cansino (Cina), Johnson & Johnson (Usa), la proteina Spike da Novavax (Usa) e Sanofi (Francia). Speriamo di essere giunti ad un nuovo inizio per tutti noi. Intanto é già pronto un piano vaccini.

Tra le priorità del governo c’è quella di “somministrare il vaccino anti-Covid direttamente nelle strutture ospedaliere e, tramite unità mobili, nei presidi residenziali per anziani”. E’ quanto si legge nel Piano per i vaccini contro il coronavirus che il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha inviato ai presidenti delle Regioni e ai ministri della Salute e degli Affari Regionali. La somministrazione su larga scala avverrà attraverso i drive-in.

Nel rincorrersi delle notizie, che provoca non pochi su e giù alle quotazioni dei titoli in borsa, è facile dar ascolto più a slogan e ad altisonanti annunci mediatici che alle questioni davvero rilevanti per il futuro della pandemia. Ecco allora alcuni punti di attenzione, per evidenziare analogie e differenze tra quelli che al momento sembrano i primi vaccini pronti ad arrivare sul mercato: Bnt162b (Pfizer-Biontech) e mRna1273 (Moderna).

Il meccanismo di funzionamento a mRna

Le due soluzioni vaccinali funzionano di fatto allo stesso modo. Il vaccino contiene le informazioni genetiche (sotto forma di rna messaggero) affinché i ribosomi delle nostre cellule possano produrre la proteina spike del coronavirus Sars-Cov-2. Questa proteina – che coincide con quella attraverso cui il virus si aggancia alle cellule bersaglio – una volta in circolo stimola una risposta immunitaria, portando il corpo a generare anticorpi neutralizzanti e cellule T, proprio come se fossimo stati attaccati dal vero virus.

Questo meccanismo è diverso rispetto ai vaccini più tradizionali, in cui la proteina spike viene iniettata direttamente, ed è una grossa novità dal punto di vista dell’approccio all’immunizzazione che accomuna le due formulazioni. Entrambe, peraltro, richiedono una doppia iniezione, a qualche settimana di distanza: 21 giorni per Pfizer e 28 per Moderna.

L’annuncio (solo) mediatico

Si tratta di un altro punto decisivo, valido per tutte e due. A oggi non abbiamo a disposizione alcuno studio scientifico sulla fase 3 (ossia quella finale) della sperimentazione, ma solo una comunicazione ai media basata “sull’analisi dei dati preliminari. Anche se non c’è motivo di credere che le informazioni siano false, è importante distinguere la fase mediatica dell’annuncio da quella scientifica, che passa per il vaglio della comunità degli scienziati, per la peer review e per rigorose valutazioni sulla validità degli studi e dei risultati.

Si ritiene comunque probabile che i paper scientifici arrivino a breve, entro qualche settimana. E in questo contesto i pochi giorni di distanza tra i due annunci mediatici (fatti sempre di lunedì, peraltro) potrebbero non essere affatto indicativi di chi completerà l’iter per primo.

Quasi un 5% di scarto

Sembra quasi una gara al rialzo. La settimana scorsa Pfizer-Biontech aveva annunciato un’efficacia del proprio vaccino nel prevenire il Covid-19 poco superiore al 90%. Poi è arrivata la Russia sbandierando un 92%. E infine Moderna ha dichiarato un’efficacia del 94,5%.

Questi numeri meritano due considerazioni. Anzitutto, sono tutti molto più grandi di quanto si sperasse. Già un’efficacia al 50% sarebbe stata ritenuta un buon risultato, ed essere nell’ordine del 90%-95% significherebbe un traguardo eccezionale. Non è chiaro, però, quanto queste percentuali siano destinate a essere confermate, sporattutto se si guarda alla cifra delle unità. Trattandosi di numeri sperimentali ancora relativamente piccoli, in cui un solo caso di differenza sposterebbe i valori in modo significativo, non è difficile credere che la valutazione di efficacia possa variare come minimo di qualche percento, e inoltre bisognerà valutare eventuali oscillazioni in funzione della fascia d’età. Dunque la differenza di efficacia del 5% per ora non è significativa né indicativa.

94/164 e 95/151

Affinché la sperimentazione di fase 3 possa dirsi conclusa, occorre raggiungere una prestabilita soglia nel numero di persone che hanno contratto il Covid-19 tra i partecipanti allo studio (nel gruppo dei vaccinati o in quello di controllo, a cui è stato somministrato un placebo). Per il vaccino Pfizer-Biontech si è parlato di 94 casi su un totale di 164 da raggiungere, mentre Moderna per la propria sperimentazione ne ha annunciati 95 (di cui 90 nel gruppo di controllo), ma con una soglia fissata a 151. La differenza nel traguardo dipende dal numero di partecipanti coinvolti, che sono 43mila nel primo studio e 30mila nel secondo.

Covid vaccino Teco milano

In entrambi i casi le proiezioni lasciano immaginare che serva ancora qualche settimana per arrivare alla conclusione dell’indagine, ma è impossibile al momento essere più precisi. Curiosamente, peraltro, le due sperimentazioni sono iniziate nello stesso giorno, il 27 luglio scorso.

Temperatura e tempi di conservazione

Come abbiamo già raccontato in altre occasioni, le modalità di conservazione del vaccino sono decisive per la gestione logistica delle dosi, e possono fare la differenza tra l’una e l’altra formulazione. Da quanto sappiamo al momento, il vaccino Pfizer-Biontech ha bisogno di temperature basse e dell’ordine dei -75°C (o comunque tra i -70°C e i -80°C). Solo negli ultimi giorni prima dell’iniezione può essere portato in un normale frigorifero: a una temperatura di 4°C, infatti, può resistere per 5 giorni.

La formulazione di Moderna, invece, può essere conservata ad appena -20°C (dunque parrebbe avere un importante vantaggio competitivo) per un massimo di 6 mesi di stoccaggio. Poi deve restare conservata tra i 2°C e gli 8°C fino a un massimo di 30 giorni (non più un massimo di 7 giorni, come si stimava), e a temperatura ambiente per una ulteriore mezza giornata. Si tratta di informazioni non ancora definitive e certificate, ma la differenza tra i -75°C e i -20°C potrebbe rivelarsi un punto fondamentale.

Quando saranno disponibili?

Per il vaccino di Moderna, se tutto filerà liscio, si prevede che l’uscita dal territorio statunitense delle prime dosi non accadrà nel 2020, mentre nel Nord America già entro dicembre saranno sfornati i primi 20 milioni di dosi. Al momento non ci sono date certe, ma c’è la promessa di arrivare entro fine 2021 a produrre tra 500 milioni e 1 miliardo di dosi. Leggermente diversi, ma non così lontani, i numeri di Pfizer-Biontech: 1,3 miliardi di dosi prodotte entro il prossimo anno, ma già i primi 50 milioni entro questo dicembre.

In entrambi i casi, e come peraltro già sta accadendo anche per altri candidati, la sperimentazione procede di pari passo con la produzione, in modo da mettersi avanti con i lavori per il momento dell’eventuale (e sperata) approvazione.

Capacità eradicante e sicurezza a confronto

Su questi due aspetti c’è ancora molta incertezza per entrambe le formulazioni. Sulla sicurezza al momento non sono state segnalate particolari criticità, a parte qualche effetto collaterale come stanchezza, dolori, eritema nell’area dell’iniezione, mal di testa e altri sintomi minori.

Restano invece aperte due importanti partite, probabilmente decisive per il prosieguo dell’emergenza sanitaria. Non è ancora chiaro, infatti, se i vaccini proteggano solo dallo sviluppo della malattia Covid-19 vera e propria o se tengano del tutto il virus fuori dal corpo. In quest’ultimo caso potrebbero scongiurare la trasmissione del virus da persona a persona e quindi portare più facilmente verso la fine della pandemia, mentre nel caso si possa comunque essere contagiosi la situazione sarebbe meno rosea. L’altro elemento è relativo alla durata della protezione: fa molta differenza, infatti, se gli anticorpi sviluppati sono permanenti, di lunga durata oppure destinati a scomparire nel giro di pochi mesi.

Un po’ di geopolitica vaccinale

Interessante che le prime due grandi aziende ad annunciare il vaccino siano entrambe statunitensi. Moderna è in un certo senso la più statunitense di tutte, perché non collabora con un’azienda europea come fa Pfizer coordinandosi con Biontech. Ma soprattutto è interessante notare che non si tratta di successi da attribuire solo al settore privato. Entrambe le imprese, infatti, fanno parte dell’operazione nordamericana Warp Speed, e per esempio Moderna ha ricevuto 2,4 miliardi di finanziamento del governo statunitense e ha condiviso la fase di sviluppo con il National Institutes of Health. La sola Biontech, poi, ha ricevuto 375 milioni di euro di finanziamento dal ministero tedesco per la ricerca.

Dal punto di vista del prezzo finale, il vaccino Moderna dovrebbe costare intorno ai 25 euro, comprensivi di un margine di profitto. Pfizer-Biontech, invece, dovrebbe assestarsi appena sotto i 20 dollari, e al momento si parla di 19,50. Sia Pfizer sia Moderna chiederanno l’approvazione per l’uso in emergenza alla Food and Drug Administration statunitense, e si avvarranno della rolling review per accorciare i tempi dell’approvazione all’Agenzia europea del farmaco.

Ma dove sono tutti gli altri?

Al di là del già citato vaccino russo, per il quale le informazioni sono frammentarie e confuse, per gli altri vaccini in fase 3 di sperimentazione la situazione potrebbe non essere così diversa dai due più chiacchierati. In diversi casi, non ultimo quello AstraZeneca/Oxford, ci si aspetta la conclusione della sperimentazione nel giro di poche settimane, dunque l’effettiva autorizzazione e immissione in commercio potrebbe non essere molto distante nel tempo rispetto a Moderna e Pfizer-Biontech.

L’annuncio mediatico ha in qualche modo rotto gli indugi e creato grande scompiglio, ma sarebbe sbagliato cantare vittoria prima di essere davvero arrivati al traguardo. Le alternative in fase avanzata di studio, peraltro, includono tecniche vaccinali più tradizionali come quella proteica, che potrebbero rappresentare un’alternativa complementare rispetto alle soluzioni a mRna, e magari più semplice da gestire dal punto di vista logistico. Tra i vaccini potenzialmente in arrivo a breve ci sono per esempio quelli di AstraZeneca/Oxford, Sinovac, Janssen, Cansino, Butantan, Novavax ed Elea Phoenix. Ed è ancora presto però per tirare conclusioni, fino a che non si avranno sotto mano le pubblicazioni scientifiche con tutti i dettagli

 

SICUREZZA SUL LAVORO PER COLF E BADANTI

È più probabile rimanere vittima di un incidente domestico piuttosto che di uno stradale: l’Istat nel 2018 ha quantificato in 3,2 milioni gli infortuni nelle case. Le categorie più colpite sono donne, anziani, bambini. Per ogni fascia d’età è poi possibile osservare l’incidenza di chi ha subito incidenti sulla popolazione di riferimento: l’incidenza media è del 13,4 per mille, ma cresce notevolmente tra le fasce più anziane (21,3 per mille tra i 75 e i 79 anni e 34,3 per mille tra gli over 80). Circa 300mila bambini, spesso sotto i cinque anni, sono vittima di incidenti in casa.

E i lavoratori domestici non ne sono immuni: l’Inail nel 2019 ha calcolato che ogni 10mila lavoratori domestici, si sono verificati 58,1 infortuni a colf e 38,2 a badanti. Più di 4.500 gli incidenti totali denunciati.

Questi e altri dati, elaborati dall’Osservatorio nazionale DOMINA con la collaborazione della Fondazione Moressa, saranno pubblicati a gennaio nel “Rapporto annuale 2020 sul lavoro domestico”.

Corrente elettrica, gas e scale tra i rischi principali. Le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati dei lavoratori – attraverso EBINCOLF, l’Ente bilaterale nazionale del comparto – hanno individuato i fattori di rischio per l’incolumità dei lavoratori e da anni insistono con programmi di informazione e formazione, per minimizzarli. Ecco i principali rischi elencati nei Quaderni dell’Ente: pulizia e igiene della casa, corrente elettrica, utilizzo di scale e sgabelli, uso del gas, movimentazione e sollevamento di carichi. La tutela della salute e della sicurezza sono alcuni degli elementi chiave anche per favorire la crescita e la professionalizzazione del settore.

Sicurezza ai tempi della pandemia. Ad aggravare la situazione sicurezza, la pandemia in corso. Il lavoro domestico, riconosciuto “essenziale” dal governo, è altamente esposto a rischi: le relazioni interpersonali necessarie tra badante e anziano o tra baby-sitter e bambino, per esempio, non possono assicurare il distanziamento previsto per cercare di evitare il contagio. Diventano indispensabili, allora, informazioni corrette, dispositivi di protezione e procedure di sanificazione degli ambienti e degli oggetti all’interno delle case.

“Nella prima fase dell’emergenza, le associazioni datoriali hanno avuto un ruolo fondamentale nel tentare di colmare il vuoto informativo in cui le famiglie si erano ritrovate”, ricorda Lorenzo Gasparrini, segretario generale di DOMINA (Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico). “La nostra organizzazione già all’inizio di marzo ha pubblicato un vademecum per famiglie e lavoratori sui comportamenti da tenere durante l’epidemia. E anche nella seconda fase continua a supportare migliaia di famiglie, affinché riescano a garantire condizioni di sicurezza per i lavoratori e per le persone assistite”.

Sicurezza e lavoro nero. La mancanza di sicurezza è spesso associata al lavoro irregolare che nel settore, secondo le stime DOMINA, supera il 57%: i controlli dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel corso del 2019, hanno accertato pratiche irregolari nel 58,4% dei casi controllati (in diminuzione rispetto al 2015, quando superavano il 72%) e lavoro nero nel 24% dei casi. Leonardo Alestra, direttore generale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, nel Rapporto annuale 2020 sul lavoro domestico, afferma: “L’assioma lavoro irregolare – lavoro insicuro è ampiamente confermato nell’ambito del lavoro domestico, laddove gli infortuni sono all’ordine del giorno, sebbene non balzino frequentemente agli onori della cronaca”.

Da politicamentecorretto.com

 

MENO INQUINAMENTO CON UN PO’ DI VERDE

Candele, solventi, profumi. Finiture di mobili, parquet. Processi di cottura. Tutti questi elementi fanno parte della nostra quotidianità, ma favoriscono anche un elevato grado di inquinamento indoor. Un problema di cui si parla ancora poco, ma che esiste. E che adesso, con l’emergenza coronavirus che ci costringe a trascorrere più tempo in casa, comincia a farsi sentire con maggiore forza. Per combatterlo esistono appositi dispositivi. Tra questi è degno di nota quello ideato dallo studio di design milanese Urban Symbiosis Design. Per capire il perché e per scoprire qualcosa di più, idealista/news ha rivolto qualche domanda al designer e creativo Pietro Follini.

La Cleaning Station Mini IQ, di Urban Symbiosis Design, è un modulo da parete che sfrutta le proprietà di biofiltrazione naturale delle Bromeliacee per purificare l’aria degli appartamenti. Tali piante non hanno bisogno di vivere a contatto con il terreno, poiché traggono nutrimento direttamente dalle particelle sospese nell’aria. In questo modo, trattenendo le sostanze nocive, le eliminano dagli ambienti interni della casa. Obiettivo della Cleaning Station Mini IQ, che racchiude in sé design e sostenibilità, è combattere l’inquinamento indoor, una problematica che in questo momento storico, con la diffusione del Covid-19, è ancora più rilevante. A lanciare il dispositivo, attraverso un crowdfunding, la piattaforma Kickstarter. Ma ecco cosa ha spiegato Pietro Follini.

Urban Symbiosis Design

Che cos’è e a cosa serve Mini IQ?

“Mini IQ è composto di due parole: ‘Mini’ indica la struttura in alluminio e caucciù che ospita le Bromeliacee; ‘IQ’ invece si riferisce alla componente tecnologica, uno strumento di rilevamento dell’inquinamento indoor sviluppato dal nostro partner, la start-up di Milano ‘Nuvap’, che a sua volta è uno spin-off dell’Università di Pisa. Mini IQ è uno strumento non solo in grado di contribuire a migliorare la qualità dell’aria indoor, ma permette anche di controllare tutta una serie di elementi che potrebbero essere problematici all’interno della casa. Verifica essenzialmente tre valori: polveri sottili, VOCs (Volatile Organic Compounds) e CO2”.

Quando si parla di inquinamento indoor a cosa ci si riferisce esattamente?

“Ormai praticamente tutte le ricerche confermano che l’inquinamento indoor può essere mediamente superiore all’inquinamento outdoor da 1 a 5, anche 6, volte. In presenza di vento o pioggia l’inquinamento outdoor tende a precipitare verso il basso, ma queste condizioni non esistono all’interno di una casa. In un’abitazione la necessità di ricambio d’aria è costante, ma si tende a non tenere le finestre aperte più di tanto, inoltre ci sono elementi che continuano a generare problematiche. Basta pensare alla formaldeide, che si genera dagli incollaggi all’interno della casa, dai mobili ai parquet di ultima generazione. Ma anche i prodotti utilizzati per la pulizia, a meno che non siano a base vegetale, rilasciano una componente gassosa che sale all’interno della casa. Tutti elementi che restano costantemente in sospensione”.

Piano piano si inizia a considerare anche l’inquinamento indoor e cominciano a diffondersi prodotti per purificare l’aria in casa. In cosa si distingue Mini IQ?

“Noi ci posizioniamo in una situazione anomala rispetto al mercato, che offre tutta una serie di materiali di supporto e di motori, di device tecnologici, che assorbono e hanno dei filtri, i famosi filtri EPA. Da una parte ci sono questi strumenti tecnologici che assorbono la parte di polveri sottili, i particulate matter (dal PM1 o 2,5 fino al PM10); dall’altra parte ci sono degli esperimenti, come quello del noto scienziato Stefano Mancuso.

Il botanico, accademico e saggista, qualche mese fa ha realizzato nella Manifattura Tabacchi di Firenze la ‘Fabbrica dell’Aria’: una installazione solo di piante, con radici e terra, chiuse in una sorta di box di vetro al cui interno viene fatta entrare dell’aria, di cui le piante in questione trattengono la parte gassosa espellendo dell’aria pulita dal punto di vista dei gas.

Noi ci troviamo in una situazione intermedia. Le piante che proponiamo, della famiglia delle Bromeliacee, sono le uniche piante che non vivono nella terra. Queste piante vivono di tutto quello che si appoggia sulle loro foglie. E’ naturale dunque che, poste all’interno di un’abitazione, vadano ad assorbire la formaldeide e tutta una serie di gas quotidianamente presenti all’interno delle abitazioni stesse. Per vivere purificano l’aria della casa.

Il nome della nostra società, Urban Symbiosis Design, si ispira proprio a questo principio: al fatto che queste piante hanno una relazione simbiotica completa con l’uomo, in quanto assorbono delle componenti per lui nocive. Si tratta di una simbiosi perfetta, completa. Il problema vero è che deve essere sviluppata la componente educativa, altrimenti il problema rimane e continua l’atteggiamento sbagliato nei confronti della propria casa e di se stessi”.

L’attuale emergenza sanitaria porterà a una maggiore attenzione alla vita in casa e quindi anche a una maggiore sensibilizzazione verso l’inquinamento indoor?

“Quando si deve costruire una casa ci si pone essenzialmente un problema di tipo urbanistico ed estetico. Non ci si pone il problema di quali elementi vengono portati in casa. Purtroppo, è complicato recuperare informazioni e scardinare determinate abitudini.

Il problema dell’inquinamento outdoor è stato supportato dal punto di vista ufficiale. E’ un problema che si ha a cuore. C’è già in atto un percorso non perfetto, ma attivo. Di conseguenza, le persone hanno in qualche modo accettato che si sia istituzionalizzato. Per l’inquinamento indoor questo salto non è stato fatto.

In questa fase storica, in cui ad esempio lo smart working costringe tante persone in casa, c’è la possibilità di cambiare abitudini e fare più attenzione alla qualità dell’ambiente interno della propria abitazione”.

Quali sono le peculiarità del dispositivo che proponete?

“Il nostro partner Nuvap sta mettendo a punto il dispositivo ProSystem N2 Smart, che lavora sul monitoraggio ambientale. Si tratta di un dispositivo che porta con sé tutta la tecnologia utilizzata nei prodotti di alta gamma Nuvap. Quindi, in un oggetto più piccolo, concentrato, a un costo molto contenuto, è possibile trovare dei sensori di alta gamma. Poi ci sono algoritmi per la razionalizzazione, elaborazione e validazione dei dati raccolti.

Questo consente di arrivare al Nuvap Index, che permette di identificare in modo rapido ed efficace il livello di salubrità degli ambienti indoor, che si leggono attraverso una App. Il rilevamento è in tempo reale, attraverso la App si può verificare qual è la condizione della propria casa in un determinato momento. I parametri monitorati da ProSystem N2 sono la temperatura, l’umidità, l’anidride carbonica, i composti volatili organici, le polveri sottili.

Per quanto riguarda la base green, costituita dall’infrastruttura vegetale, bisogna menzionare l’altro nostro partner tecnico, l’Università di Bari, che fa riferimento al team del prof. Gianluigi DeGennaro. E’ il gruppo del prof. DeGennaro, insieme all’Università di Bologna e di Trieste, ad aver parlato, a febbraio-marzo del 2020, della possibilità che il Covid potesse resistere all’interno di un ambiente appoggiandosi sull’inquinamento. Loro sono i nostri referenti e coloro che fanno per noi gli esperimenti.

Nello specifico, è stato fatto un esperimento sull’assorbimento di formaldeide con questa infrastruttura vegetale e con le Bromeliacee e i risultati sono stati estremamente incoraggianti. Si tratta di piante molto collaborative, anche molto affamate, e che possono essere curate facilmente, senza alcuno sforzo.

Proponiamo due prodotti: Mini IQ e Mini Green, che è l’oggetto di design con infrastruttura vegetale senza la parte tecnologica”.

Da idealista.it

MODIFICATO IL TU 81/08 SUGLI AGENTI BIOLOGICI

Da Puntosicuro.it

Ecco le ultime modifiche del Tu81/08 relative al titolo sugli agenti biologici.

Nel Titolo X (Esposizioni ad agenti biologici) del D.Lgs. 81/2008 si indica (art. 268) che gli agenti biologici possono essere ripartiti nei seguenti gruppi a seconda del rischio di infezione:

  • agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
  • agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
  • agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche

 

Inoltre l’art. 274 (Misure specifiche per strutture sanitarie e veterinarie) indica che il datore di lavoro, nelle strutture sanitarie e veterinarie, “in sede di valutazione dei rischi, presta particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell’organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta”. E sottolinea che nelle strutture di isolamento “che ospitano pazienti od animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 2, 3 o 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono scelte tra quelle indicate nell’allegato XLVII in funzione delle modalità di trasmissione dell’agente biologico”.

 

Anche l’art. 275 (Misure specifiche per i laboratori e gli stabulari) indica che “fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XLVI, punto 6, nei laboratori comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 a fini di ricerca, didattici o diagnostici, e nei locali destinati ad animali da laboratorio deliberatamente contaminati con tali agenti, il datore di lavoro adotta idonee misure di contenimento in conformità all’allegato XLVII”.

Ad esempio il datore di lavoro assicura che l’uso di agenti biologici sia eseguito “in aree di lavoro corrispondenti almeno al terzo livello di contenimento, se l’agente appartiene al gruppo 3”.

 

Infine l’art. 276 (Misure specifiche per i processi industriali) riporta che “fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XLVII, punto 6, nei processi industriali comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4, il datore di lavoro adotta misure opportunamente scelte tra quelle elencate nell’allegato XLVIII, tenendo anche conto dei criteri di cui all’articolo 275”.

Ricordiamo anche che la Direttiva (UE) 2020/739 della Commissione del 3 giugno 2020 ha modificato l’allegato III della direttiva 2000/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda l’inserimento del SARS-CoV-2 nell’elenco degli agenti biologici di cui è noto che possono causare malattie infettive nell’uomo.

 

Le modifiche del decreto-legge n. 149 del 9 novembre 2020

Come indicato in premessa il Decreto-Legge 9 novembre 2020 n. 149 modifica, con l’articolo 17, il Testo Unico indicando che “gli allegati XLVII e XLVIII di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono sostituiti” da due nuovi allegati.

 

Riprendiamo, a titolo esemplificativo, il contenuto del nuovo allegato XLVII (Indicazioni su misure e livelli di contenimento).

 

Si indica che “le misure previste nel presente allegato devono essere applicate secondo la natura delle attività, la valutazione del rischio per i lavoratori e la natura dell’agente biologico in questione”. E nella tabella, «raccomandato» significa “che le misure dovrebbero essere applicate in linea di principio, a meno che i risultati della valutazione del rischio non indichino il contrario”.

 

Questa è la tabella:

 

 

Segnaliamo, infine, che nel nuovo Allegato XLVIII (Contenimento per processi industriali) si indica che:

  • Agenti biologici del gruppo 1: per le attività con agenti biologici del gruppo 1, compresi i vaccini vivi attenuati, devono essere rispettati i principi in materia di sicurezza ed igiene del lavoro.
  • Agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4: può essere opportuno selezionare e combinare le prescrizioni di contenimento delle diverse categorie indicate nella tabella in base ad una valutazione del rischio connesso ad un particolare processo o a una sua parte”.

Rimandiamo all’articolo 17 del Decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149 e alla lettura completa delle due tabelle corrispondenti che riportano le varie misure di contenimento da adottare.

 

 

Tiziano Menduto

 

ANTICORPI MONOCLONALI CONTRO IL COVID

Dal sito sifoweb.it

La Food and Drug Adrministration autorizza l’uso del farmaco sperimentale bamlanivimab, anticorpo monoclonale per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderata entità.

Bamlanivimab è un anticorpo monoclonale IgG1 neutralizzante che si lega al dominio di legame del recettore della proteina spike della SARS-CoV-2. E’ autorizzato per il trattamento di COVID-19 da lieve a moderata entità, in pazienti dai 12 anni che sono ad alto rischio di progredire verso una forma più grave e/o di essere ricoverati in ospedale. Diversamente, non sono stati dimostrati benefici per i pazienti ospedalizzati con COVID-19 che richiedono ossigeno ad alto flusso o ventilazione meccanica, per i quali, quindi, non è autorizzato il trattamento.

La decisione dell’FDA si basa sui risultati preliminari dello studio di fase II BLAZE-1 (studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo) che hanno dimostrato come il bamlanivimab, somministrato per singola infusione endovenosa entro 10 giorni dall’insorgenza della sintomotologia, porti ad una riduzione della carica virale, dei tassi dei sintomi e di ospedalizzazione.

Nell’ambito dello studio clinico, sono stati arruolati 465 adulti non ospedalizzati con sintomi COVID-19 da lievi a moderati. Di questi pazienti, 101 hanno ricevuto una dose di bamlanivimab di 700 milligrammi, 107 hanno ricevuto una dose di 2.800 milligrammi, 101 hanno ricevuto una dose di 7.000 milligrammi e 156 hanno ricevuto un placebo entro tre giorni dall’ottenimento del campione clinico per il primo test virale SARS-CoV-2 positivo.

Principalmente si è assistito al cambiamento della carica virale dal basale all’undicesimo giorno per il bamlanivimab rispetto al placebo, con eliminazione del virus nella maggior parte dei pazienti, compresi quelli che hanno ricevuto il placebo. Inoltre, nel 3% dei pazienti trattati con bamlanivimab si è verificata una riduzione dei ricoveri e delle visite al pronto soccorso, rispetto al 10% dei pazienti trattati con placebo. Gli effetti sulla carica virale e sulla riduzione dei ricoveri e delle visite al pronto soccorso, nonché sulla sicurezza, sono stati sovrapponibili nei pazienti che hanno ricevuto una qualsiasi delle tre dosi di bamlanivimab.

Bamlanivimab Teco milano

Per ulteriori informazioni:
Bamlanivimab EUA Letter of Authorization
Frequently Asked Questions on the Emergency Use Authorization for Bamlanivimab
Emergency Use Authorization: Therapeutics
Coronavirus Disease (COVID-19)

 

Fonte: www.fda.gov

VISIONE E POSTURA A RISCHIO DI SMART WORKING

Lavorare da casa ha i suoi vantaggi: nessun tragitto giornaliero per arrivare in ufficio, nessun dress code, la possibilità di svegliarsi più tardi…e fin qui tutto bene. Ma come tutte la cose ha anche degli svantaggi: poco movimento, perdita della cognizione del tempo, più ore davanti al computer in posizioni non propriamente idonee alla colonna vertebrale e che affaticano la vista.

Questo cambiamento nel nostro stile di vita quanto sta incidendo sulla salute di schiena e occhi? L’ho chiesto all’osteopata dott. Francesco Bini e al dott. Fabrizio Camesasca, Team Leader Clinico di Oculistica di Humanitas Medical Care, per capire come possiamo rimediare a tante cattive abitudini che sono entrate a far parte della routine quotidiana durante quest’ultimo anno.

“Lo smart working è stato introdotto per proteggere la salute dei lavoratori, ma col tempo ci si sta rivoltando contro – spiega il dottor Bini -. Postura scorretta, assenza di movimento e orari sballati stanno portando sempre più persone a lamentare problemi al tratto cervicale, fastidi alla schiena e mal di testa. Questo perché, quando casa nostra diventa anche il nostro ufficio, si passa dalla posizione supina direttamente a quella seduta, saltando tutta quella routine a cui eravamo abituati quando uscivamo per andare a lavoro, come vestirsi, prepararsi, prendere i mezzi per raggiungere l’ufficio. Tutte azioni che implicano movimento e che con il lavoro da casa è stato praticamente azzerato. Il corpo umano soffre la sedentarietà e la posizione seduta fa malissimo se mantenuta a lungo nell’arco della giornata, soprattutto se la nostra postazione di lavoro non prevede sedie ergonomiche e se non facciamo delle pause per riattivare le gambe. Lavorare tante ore di fila in un ambiente poco idoneo a questo tipo di attività, come il tavolo da cucina, il divano o addirittura il letto, può provocare emicranie da tensione cervicale, lombalgie spesso dovute a posture scorrette su sedie che comprimono in maniera eccessiva le vertebre lombari e infine le cervicalgie che provocano intorpidimento e formicolio al collo”.

Per prevenire questo tipo di problematiche Il dottor Bini consiglia:

Fare delle pause: Fare una pausa di 3 o 4 minuti almeno ogni 30 minuti, muovendosi in giro per la casa: è fondamentale per evitare una stasi muscolare legata a prolungati periodi di inattività.Utilizzare sedie ergonomiche adeguate al tratto lombare: l’ideale sarebbe utilizzare una sedia da ufficio, ma se non ne abbiamo una a disposizione basterà rialzare la seduta con cuscini in modo da allineare le vertebre e prevenire posture scorrette. Postura: Una giusta postura prevede gomiti e avambracci appoggiati al tavolo, schiena dritta, sedere il più possibile vicino allo schienale per sfruttare l’appoggio lombare e occhi all’altezza del lato superiore del monitor. Essendo una posizione difficile da tenere per tanto tempo quello che consiglio a molti miei pazienti è di utilizzare una Fitball, la classica palla da fitness, al posto delle normali sedute, questa solleverà il bacino rispetto alle ginocchia donando una posizione decisamente più naturale alla nostra colonna. E nei momenti di pausa può diventare un ottimo strumento per fare qualche esercizio. Routine mattutina: Creare una routine mattutina prima di posizionarsi davanti al computer: è consigliabile mantenere ritmi e orari regolari, fare un po’ di risveglio muscolare attraverso esercizi di stretching, seguire un regime alimentare sano ed equilibrato, evitando andirivieni dal frigorifero, e assicurarsi la giusta idratazione.Attività fisica: Ultimo consiglio, ma forse il più importante, è prevedere almeno mezz’ora al giorno di attività fisica, meglio se a orari prestabiliti, che sia anche una camminata sul tapis roulant, yoga, pilates, qualsiasi cosa in grado di tenere il corpo in movimento.Un’altra “vittima” dello smart working è la vista. Praticamente i nostri occhi fissano schermi tutto il giorno: per controllare i messaggi sullo smartphone di prima mattina, studiare con la didattica online o per lavorare al pc, o semplicemente per guardare la tv. Ma anche per fare sport in casa con il personal trainer online, per fare yoga e per seguire le ricette che hanno alleviato la quarantena tra pane e pizza al forno. Ma cosa succede ai nostri occhi quando passiamo troppo tempo davanti al computer?

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“L’utilizzo del computer, negli ultimi 30 anni, ha introdotto una terza distanza visiva, intermedia tra quella per lontano e quella per lettura, propria del lavoro al pc – spiega il dott. Fabrizio Camesasca, Team Leader Clinico di Oculistica Oculistica di Humanitas Medical Care -. Le attività al computer attirano costantemente l’attenzione della persona, riducendo la frequenza con cui vengono chiuse le palpebre, la cosiddetta frequenza di ammiccamento. Ciò comporta una maggiore evaporazione delle lacrime, compromettendo la loro funzione protettiva e lubrificante, e inducendo la sensazione di secchezza oculare. Inoltre, una lacrimazione disturbata riduce anche la qualità visiva, dato che la regolare distribuzione della lacrima sulla cornea, prima lente dell’occhio, ne esalta le proprietà ottiche. Una superficie lacrimale irregolare, interrotta, riduce la qualità delle immagini, comporta fastidio e sensazione di bruciore e di corpo estraneo oculari. Restare davanti a un computer per troppe ore in ambienti non adeguatamente illuminati può generare affaticamento, come risposta ad uno sforzo muscolare – accomodativo o di messa a fuoco –  eccessivamente protratto degli occhi.

Normalmente si manifesta con una sensazione di stanchezza, con arrossamento oculare, ma può anche capitare che l’affaticamento oculare generi emicranie e, combinato con una postura incorretta, dolori cervicali. Se poi è presente un difetto visivo – miopia, ipermetropia, astigmatismo, presbiopia – non ben corretto, l’affaticamento arriva prima. Anche l’età conta molto: è dimostrato che il lavoro visivo per vicino protratto per molte ore, al di sotto dei 21-22 anni di età, aumenta la miopia e la fa progredire. Dunque, per proteggere gli occhi quando si lavora al pc dovremmo:

Fare delle pause: L’essere umano non è stato progettato per guardare da vicino ore ed ore: la prima cosa da fare quando si lavora al pc è dosare la durata dell’attività visiva, cercando di fare pause a intervalli regolari – es. ogni 1 o 2 ore – guardando in distanza per rilassare la messa a fuoco. Consultare uno specialista: molto importante, nel caso di discomfort oculare frequente, effettuare una visita da un Medico Oculista, per l’identificazione e la correzione di eventuali difetti visivi (miopia, ipermetropia, astigmatismo, presbiopia), di disfunzioni della lacrimazione o di altre patologie.

Curare l’illuminazione: L’illuminazione sia dello schermo del computer che dell’ambiente di lavoro stesso è molto importante. Oltre a regolare la luce dello schermo, è importante disporre di un’adeguata illuminazione ambientale. L’ideale sarebbe di disporre sempre di una luce naturale, ma se si deve ricorrere alla luce artificiale, questa dovrebbe essere il più simile possibile alla luce naturale, evitando riflessi e contrasti eccessivi sullo schermo. Evitare tassativamente riflessi di luce sullo schermo del PC, dunque. Gli ambenti scuri possono affaticare gli occhi e rendere difficile la concentrazione.

Dispositivi di protezione: Circa l’utilizzo di filtri o lenti per schermare la luce del computer e la cosiddetta luce blu, al momento non vi sono evidenze scientifiche che ne attestino realmente l’efficacia. Usare lubrificanti: Se è dimostrata la presenza di una disfunzione o riduzione delle lacrime, l’utilizzo di un lubrificante può aiutare efficacemente. Anche qui spetta al Medico Oculista identificare quello più adatto, usualmente privo di farmaci od altre sostanze che, invece di essere lenitive, possono peggiorare la situazione lacrimale o indurre reazioni allergiche.

Da Tiscali.it

TAMPONE RAPIDO O MOLECOLARE:LE LINEE GUIDA

Da dott33.it

Il tampone molecolare va fatto sempre per un caso sospetto che presenti dei sintomi così come per chiunque abbia un ricovero programmato in ospedale o in Rsa. Mentre il test rapido antigenico è la prima scelta nel caso di chi ha pochi sintomi e non ha avuto contatti con positivi. A chiarire quali test fare a seconda dei diversi contesti, così da permettere «un uso razionale e sostenibile delle risorse» è il documento “Test di laboratorio per Sars-CoV-2 e loro uso in sanità pubblica”, realizzato da ministero della Salute e Istituto superiore di sanità. Alla luce della necessità di garantire risultati in tempi compatibili con le esigenze di salute pubblica «è fondamentale una scelta appropriata tra i test disponibili», si legge nel testo. Sebbene i test molecolari siano quelli di riferimento per sensibilità e specificità, infatti, «in molte circostanze si può ricorrere ai test antigenici rapidi che, oltre essere meno laboriosi e costosi, possono fornire i risultati in meno di mezz’ora e sono eseguibili anche in modo delocalizzato e consentono se c’è link epidemiologico di accelerare le misure previste». In ogni caso, proseguono gli esperti, «rimane essenziale la rapidità di diagnosi nei soggetti con sospetto clinico o sintomatici e dei contatti per controllare il focolaio». Il documento precisa caso per caso quale tipo di test prescrivere per portare avanti «un’attività di sorveglianza che sia sostenibile», ovvero che permetta di evitare dispendi inutili di tempo e di sforzi da parte di cittadini e operatori sanitari.

Per i contatti stretti di casi positivi ci sono due corsie: tampone molecolare se si frequentano regolarmente soggetti fragili a rischio complicanze e test antigenico, in caso contrario. Il tampone molecolare, naturalmente, resta lo standard per la conferma di guarigione di chi è in isolamento perché è stato trovato positivo. Mentre il test rapido antigenico è indicato per gli screening di comunità, ovvero per la ricerca di possibili positivi in grandi gruppi di persone, così come per asintomatici che effettuano il test su base volontaria in quanto loro richiesto per motivi di lavoro o di viaggio. In caso di positività, serve la conferma del tampone e scatta l’isolamento della persona interessata, oltre alla quarantena per i contatti stretti. I test antigenici rapidi salivari «sono attualmente in fase di sperimentazione ma andranno considerati come alternativa ai test antigenici rapidi su tampone oro-naso faringeo o nasali se le validazioni e le esperienze pilota oggi in corso in Italia, daranno risultati che ne indicano un uso anche nella routine di sanità pubblica. Si sottolinea – avverte l’Iss – che i sistemi di raccolta della saliva tipo “salivette” non appaiono al momento adeguati, per modalità di svolgimento, per i soggetti non collaboranti a causa del rischio di ingestione del dispositivo di raccolta».
«È un momento di sovraccarico di richieste dei test sia per fini clinici che di sanità pubblica, quindi è importante indicare l’uso dei test molecolari per le situazioni in cui la certezza della diagnosi prevale sulla tempestività per difendere le situazioni a maggiore fragilità mentre si apre all’uso dei test rapidi laddove un intervento di controllo precoce può ottenere una riduzione della trasmissione». Lo spiega Paolo D’Ancona, epidemiologo dell’Istituto superiore di sanità (Iss), a corredo dell’approfondimento pubblicato dall’Iss sul documento. A segnalare la forte richiesta dei tamponi ai medici di medicina generale è, ad esempio, l’Ats di Milano. «Una forte sofferenza nella possibilità di prenotare ed eseguire in tempi adeguati il tampone per la ricerca dell’Rna virale, nonostante i laboratori abbiano raddoppiato la produzione nell’ultimo mese». Succede nel capoluogo lombardo dove il sistema dei tamponi è in crisi, schiacciato dai numeri dei contagi in impennata da giorni. L’Ats chiede la collaborazione dei camici chiami bianchi, chiedendo di «spiegare agli assistiti che per il momento è opportuno sospendere l’esecuzione del tampone per i contatti stretti». Oltre allo stop ai tamponi per i contatti stretti nel decimo giorno di quarantena, serve «dare priorità a tamponi per casi sospetti», e ancora «evitare nel modo più assoluto che il paziente si rechi negli ambulatori ad accesso diretto, anche se con impegnativa. L’accesso diretto è infatti riservato ai soli casi sospetti segnalati in ambiente scolastico, e il mancato rispetto di questa indicazione è la principale causa delle code nei punti prelievi».

HI-TECH E START UP DELLA SICUREZZA

Da Wired

Tra coloro a cui l’attenzione alla sicurezza sui luoghi di lavoro sembra non mancare c’è il mondo dell’innovazione e delle startup, come dimostrano molti progetti nati di recente. Fra gli ultimi in ordine di tempo, quello di Audiosafety,un’app realizzata da Sicurezza 4.0, startup nata all’interno della facoltà di Ingegneria dell’università La Sapienza di Roma proprio per creare applicazioni che aumentino il livello di tutela dei lavoratori.

(Foto: screenshot di un video di presentazione di Audiosafety)

Il ruolo delle startup

Audiosafety è una banca dati che comprende circa cinquemila istruzioni di lavoro in sicurezza, relative a ogni tipo di attrezzatura, di attività, di sostanza chimica, di primo soccorso ed emergenza, accompagnate da illustrazioni esplicative e video tutorial e costantemente aggiornate. I dipendenti le possono consultare direttamente dal proprio smartphone, mentre un server registra le visualizzazioni, certificando l’adempimento dell’obbligo d’informazione sugli aspetti di sicurezza che è in capo al datore di lavoro. “Abbiamo immaginato un’app dove ricevere le istruzioni per tutti i settori economici, e anche per uffici e attività̀ amministrative, per lo smart working, le trasferte all’estero, la guida sicura e la casa sicura” spiega uno dei fondatori dell’azienda, Gonzalo Fogliati: “Pochi minuti allo smartphone a leggere e/o ascoltare prima di iniziare la propria attività̀ in sicurezza”.

Sempre dal punto di vista della formazione, va segnalato anche un altro progetto nato in Calabria nel 2017: si chiama Alteredu ed è una piattaforma che propone un catalogo di oltre 200 corsi di formazione online in diverse materie, dalla programmazione web ai master di perfezionamento per docenti e personale ata. Da marzo la startup è stata inserita dal governo nel programma Solidarietà digitale’, e ha erogato oltre mille corsi gratuiti sui temi dell’adeguamento alle normative privacy, del controllo sulle lavorazioni degli alimenti (Haccp) e della sicurezza sul lavoro.

Spazi e affollamenti

Arriva invece da Udine un’altra app, pensata per gestire il tracciamento dei lavoratori all’interno delle aziende o nei cantieri, segnalare possibili affollamenti e monitorare l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (Covid e non), grazie all’utilizzo di sensori basati sulle tecnologie beacon, Nfc e Rfid. A svilupparla, la startup Safe Chain Tech, che da luglio scorso è diventata socia di Confindustria Udine e ha già conquistato molti clienti tra le aziende del Nordest. “Con una soluzione facile ed economica per il Covid-19 – ha detto Filippo Veronese, uno dei fondatori e amministratore dell’azienda – in pochi mesi abbiamo conquistato molte importanti realtà produttive, ma fin da subito gli imprenditori hanno intuito che con l’Iot si può veramente rivoluzionare il modo di lavorare portando efficienza, controllo e sicurezza. Così sono già partite diverse sperimentazioni, per esempio sul monitoraggio di tutti gli asset aziendali tracciandone la posizione, l’utilizzo, e prevedendone le manutenzioni”.

Sempre per controllare al meglio tutti gli aspetti relativi a salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, nel 2016 la software house veronese E-time ha sviluppato il progetto – poi diventato un’azienda a sé – di 4hse, un software gestionale in cloud che si rivolge alle imprese, ai responsabili della sicurezza nominati dai datori di lavoro e alle aziende di consulenza. Si tratta di un programma saas (software as a service) che non richiede installazione e permette di organizzare le sostanze e le attrezzature presenti in azienda, di effettuare valutazioni di rischio, di gestire le procedure di manutenzione, i corsi di aggiornamento professionale, le visite mediche periodiche e il registro degli eventi (incidenti, infortuni ecc.).

Tecnologia da indossare

Parlando di sicurezza, non potevano mancare i progetti che sfruttano le tecnologie wearable per offrire maggior comfort e protezione ai lavoratori. Uno degli esperimenti più interessanti in questo senso è Workair, il giubbotto realizzato da D-Air Lab, la startup creata da Lino Dainese dopo la cessione dell’azienda che porta il suo nome e che è diventata il punto di riferimento per le giacche protettive per motociclisti. Sviluppato in collaborazione con Enel, Workair è un corpetto con airbag integrato che protegge schiena e torace in caso di cadute da più di 1,2 metri di altezza, riducendo del 60 per cento la forza trasmessa, e dando immediatamente l’allarme in caso di incidente attraverso un chip integrato.

(Foto: D-Air Lab)

Un dispositivo che al suo debutto, nel 2015, è stato considerato rivoluzionario è poi il lettore di codici a barre indossabile Mark (ora arrivato alla versione 2), ideato dai bavaresi di ProGlove. Collocato su una fascia da mettere al polso, l’apparecchio consente di velocizzare anche del 50 per cento i tempi di scansione e di ridurre fino a un terzo gli errori, oltre ad essere meno a rischio di cadere o causare incidenti. Sperimentato inizialmente nel settore automobilistico – la prima azienda ad utilizzarlo è stata Bmw – il dispositivo è ora utilizzato da imprese che lavorano nei campi della logistica, della manifattura e anche delle vendite al dettaglio. Inoltre, quest’anno ProGlove ha lanciato un’ulteriore novità, il Mark Display: dotato di uno schermo e-ink (come quelli degli e-reader), consente al lavoratore di accedere a informazioni che prima avrebbe potuto trovare solo su un altro dispositivo, smartphone o pc.

(Foto: screenshot di un video di presentazione di ProGlove)

Pensato per la protezione del personale, invece, è il robot Cobalt, progettato dall’omonima startup californiana nata nel 2016. L’apparecchio, dotato di intelligenza artificiale ed equipaggiato con le stesse tecnologie delle vetture a guida autonoma, è capace di muoversi su percorsi predeterminati e grazie ai suoi sensori, accoppiati con degli algoritmi di machine learning, è in grado di rilevare eventuali problemi o minacce, inviando una segnalazione a degli operatori che decideranno come procedere. Il robot, inoltre, è anche in grado di interagire con gli esseri umani, verificando attraverso la tecnologia Rfid i badge o i documenti dei dipendenti rimasti in ufficio o in fabbrica dopo l’orario di chiusura. In seguito all’emergenza Covid, poi, l’azienda ha integrato nei robot una termocamera in grado di misurare accuratamente la temperatura corporea, sviluppato le procedure per identificare i dipendenti che indossano dispositivi di protezione e quelle di monitoraggio del distanziamento fisico.

Da Wired.it