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AIFA : vaccinazione ai primi di ottobre

Vaccini antinfluenzali. Ecco quelli indicati per la stagione 2020-2021.

La composizione di tutti i vaccini influenzali per la stagione 2020-2021 segue le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del Comitato per i Medicinali per Uso umano (CHMP) dell’EMA. Vista l’attuale situazione epidemiologica relativa alla circolazione di SARS-CoV-2, Aifa raccomanda di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire dall’inizio di ottobre e offrire la vaccinazione ai soggetti eleggibili in qualsiasi momento della stagione influenzale, anche se si presentano in ritardo per la vaccinazione. LA DETERMINA AIFA

Vaccino coronavirus, chi potrà averlo in Italia e quando? - Corriere.it

04 SET – È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Determina dell’AIFA che autorizza l’aggiornamento, per la stagione 2020-2021, della composizione dei vaccini influenzali autorizzati secondo procedura registrativa nazionale, di mutuo riconoscimento e decentrata (Determinazione AAM/PPA N° 478/2020).

Sono inoltre autorizzati i vaccini influenzali approvati secondo la procedura registrativa centralizzata coordinata dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

La composizione di tutti i vaccini influenzali per la stagione 2020-2021 segue le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e del Comitato per i Medicinali per Uso umano (CHMP) dell’EMA.

L’AIFA, in accordo alla Circolare del Ministero della Salute del 5 giugno 2020 (“Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2020-2021”), ricorda che, per la nostra situazione climatica e per l’andamento temporale mostrato dalle epidemie influenzali in Italia, il periodo destinato alla conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale è quello autunnale, generalmente a partire dalla metà di ottobre fino a fine dicembre.
Vista l’attuale situazione epidemiologica relativa alla circolazione di SARS-CoV-2, si raccomanda di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire dall’inizio di ottobre e offrire la vaccinazione ai soggetti eleggibili in qualsiasi momento della stagione influenzale, anche se si presentano in ritardo per la vaccinazione.

Sperimentazioni cliniche: da AIFA nuove linee di indirizzo per i consensi informati | AICE online

La protezione indotta dal vaccino comincia circa due settimane dopo la vaccinazione e perdura per un periodo di sei/otto mesi per poi decrescere. Per tale motivo, poiché i ceppi virali in circolazione possono mutare, è necessario sottoporsi a vaccinazione antinfluenzale all’inizio di ogni nuova stagione influenzale.

L’AIFA ricorda che, oltre alle misure di protezione e cura basate su vaccinazioni e all’eventuale uso di farmaci antivirali, una misura importante nel limitare la diffusione dell’influenza è rappresentata da una buona igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie (ad esempio lavare regolarmente e frequentemente le mani con acqua e sapone; coprire la bocca e il naso con un fazzoletto quando si tossisce e starnutisce e poi gettarlo nella spazzatura; aerare regolarmente le stanze in cui si soggiorna).

L’AIFA invita a segnalare le sospette reazioni avverse che si verificassero dopo la somministrazione di un vaccino, in quanto le segnalazioni contribuiscono al monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio dei vaccini come di ogni altro medicinale.

da http://www.quotidianosanita.it/

QUARANTENA DI 7 GIORNI IN FRANCIA

Il consiglio scientifico della Francia ha dato il via libera alla riduzione da quattordici a sette giorni della durata dell’isolamento per le persone risultate positive al coronavirus: è quanto annunciato dal ministro della Salute, Olivier Véran. La decisione verrà adottata in modo formale in occasione del «consiglio Difesa di venerdì», il che «ci darà un po’ di tempo per consultare altri esperti sull’attuazione della misura», ha aggiunto il ministro su France Inter.

«Siamo più contagiosi nei primi 5 giorni dopo l’apparizione dei sintomi o che seguono la positività di un tampone. In seguito – ha spiegato Véran – la contagiosità diminuisce in modo molto netto, e dopo una settimana resta ma molto debole». L’accorciamento della quarantena favorirà «una migliore adesione» alla regola – secondo il ministro – poiché oggi «registriamo che gran parte dei francesi non rispetta la quarantena». Il Consiglio di Difesa – composto da un gruppo ristretto di ministri – viene convocato dal presidente Emmanuel Macron all’Eliseo sempre più frequentemente dall’inizio della crisi del Coronavirus.

Da il giornale di brescia

TEMPORANEO STOP AL VACCINO ASTRA ZENECA

L’azienda farmaceutica AstraZeneca, che collabora con l’Università di Oxford, sospende la sperimentazione del vaccino anti-Covid per una reazione avversa che ha sviluppato un volontario in Gran Bretagna. Lo annuncia la società, sottolineando che lo stop è “un’azione di routine che si adotta durante i test nel caso ci si trovi davanti a una reazione inspiegata”. Questo, afferma AstraZeneca, per “assicurare l’integrità del processo dei test”.

IL VACCINO RUSSO SPUTNIK FUNZIONA SECONDO LANCET

04 settembre 2020

Da rainews

Il vaccino russo Sputnik anti-Covid produce anticorpi. Lo rivela la rivista  Lancet che ha pubblicato i primi dati. Secondo quanto riportato dal gruppo di Denis Logunov, dell’Istituto nazionale di ricerca epidemiologica Gamaleya di Mosca, il vaccino avrebbe prodotto una risposta immunitaria in tutti i 76 volontari, adulti sani tra i 18 e 60 anni, coinvolti nelle fasi 1 e 2 della sperimentazione.   I risultati, riferiti a due studi condotti tra il 18 giugno e 3 agosto, mostrano che il 100% dei partecipanti ha sviluppato anticorpi contro il virus SarsCov2, senza avere gravi effetti collaterali.   A novembre parte la produzione fuori dalla Russia Il vaccino Sputnik V sarà prodotto da novembre anche fuori dai confini russi. Lo ha dichiarato il capo del Fondo russo per gli investimenti diretti (Rdif) Kirill Dmitriyev, durante un incontro con la stampa. Dichiarazione riportata da Interfax.     “Abbiamo accordi con l’India, il Brasile e molti altri Paesi, perché siamo veramente concentrati sulla possibilità di esportare questo vaccino, prodotto al di fuori della Russia, sui mercati esteri già a novembre”. Una produzione ha aggiunto Dmitriyev “grazie alla meravigliosa tecnologia sviluppata dal Gamaleya Institute”.   “Le capacità della Russia di produrre lo Sputnik V sono completamente focalizzate sul mercato russo, pertanto, l’Rdif e gli esperti russi stanno negoziando con diversi Paesi per lanciare la produzione del vaccino all’estero” ha detto Dmitriyev, secondo il quale c’è una grande domanda per il vaccino all’estero. Circa 30-40, ha detto il capo del Fondo russo per gli investimenti, i paesi che sarebbero interessati all’acquisto del vaccino. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Coronavirus-Lancet-il-vaccino-russo-produce-anticorpi-8f77abcb-d7c3-410c-8d7a-ba2d7e310984.html

INAIL: COME GESTIRE UN FOCOLAIO A SCUOLA

Da Inail

Il presente rapporto è destinato alle istituzioni scolastiche e dei servizi educativi dell’infanzia nonché ai Dipartimenti di Prevenzione del Servizio Sanitario Nazionale e a tutti coloro che potrebbero essere coinvolti nella risposta a livello di salute pubblica ai possibili casi e focolai di Covid-19 in ambito scolastico e dei servizi educativi dell’infanzia.

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Fornire un supporto operativo per la gestione dei casi di bambini con segni/sintomi Covid-19 correlati e per la preparazione, il monitoraggio e la risposta a potenziali focolai da Covid-19 collegati all’ambito scolastico e dei servizi educativi dell’infanzia, adottando modalità basate su evidenze e/o buone pratiche di sanità pubblica, razionali, condivise e coerenti sul territorio nazionale, evitando così frammentazione e disomogeneità.
A questo documento saranno correlati elementi/iniziative di tipo informativo/comunicativo/formativo rivolti a vari target e strumenti di indagine volti a fronteggiare la mancanza di evidenze scientifiche e la relativa difficoltà di stimare il reale ruolo che possono avere le attività in presenza nelle scuole nella trasmissione di SARS-CoV-2.

Prodotto: Volume
Edizioni: Inail – 2020
Disponibilità: Consultabile solo in rete
Info: dcpianificazione-comunicazione@inail.it

RISCHI NELLA INDUSTRIA ESTRATTIVA E PETROLIFERA

Da oshonline.com

Il settore estrattivo del petrolio e del gas è sempre stato un settore ad alto rischio . Anche se grazie alla tecnologia tale rischio sia stato ridotto é difficile  ipotizzare  una riduzione assoluta dei pericoli. Qualsiasi attività che utilizzi macchinari pesanti come avrà  comunque sempre un rischio elevato.

Fortunatamente negli ultimi anni il settore ha compiuto enormi passi avanti per proteggere meglio i lavoratori di questo comparto, cosa che si riflette molto nel numero decrescente di decessi nel settore, anno dopo anno. Secondo il rapporto annuale 2019 di UK Oil & Gas, tra il 1996 e il 2007, ci sono stati 21 morti nel settore petrolifero britannico. Tra il 2007 e il 2018 sono stati solo cinque.

Le principali società  del settore sono costantemente alla ricerca di nuovi modi di incrementare gli standard di sicurezza..

. Un minor numero di incidenti si traduce invariabilmente anche in un minor numero di incidenti ambientali. L’industria petrolifera, tradizionalmente percepita dai massmedia  come uno dei settori che impattano maggiormente sull’inquinamento ambientale, sta cercando disperatamente di diventare più sostenibile dal punto di vista ambientale , e una riduzione degli incidenti certamente aiuta in tal senso.

Quali sono esattamente i rischi all’interno del settore?

Innanzitutto vale la pena esaminare più in dettaglio alcuni dei pericoli e dei rischi più comuni associati al settore.  La maggior parte delle persone penserà che la trivellazione petrolifera è l ‘attività piú pericolosa. Tuttavia, a un’analisi più approfondita, emergono rischi differenti:

La forma più comune di incidenti che si verificano in loco (sia a terra che in mare aperto) é costituita da:

Incidenti da segregazione. . Si verificano quando qualcuno rimane intrappolato o bloccato da parti in movimento dalle quali non possono districarsi facilmente. Uno degli esempi più comuni di pericoli coinvolti è l’abbigliamento di un perforatore che rimane intrappolato in parti rotanti / rotanti come l’albero motore di un rig.

Incidenti e collisioni  di veicoli. Le collisioni tra veicoli rappresentano il pericolo con maggiore frequenza statistica di  casi mortali del settore. Tuttavia questo rischio é sottostimato è nonpercepito nella sua gravità. . La fatica e la scarsa pianificazione preliminare sono tra le principali cause di questi incidenti stradali.

Esplosioni / incendi. Gas e sostanze chimiche infiammabili vengono manipolati e trattati ogni giorno in un sito petrolifero. Questi composti volatili presentano un enorme rischio di incendio. Anche la minima perdita, ad esempio, ha conseguenze potenzialmente catastrofiche.

Fortunatamente, almeno nel Regno Unito, dal disastro del Piper Alpha nel 1988 in cui sono morti tragicamente 167 uomini, una legislazione più proattiva ha fatto sì che gli incidenti con incendi ed esplosioni siano effettivamente diminuiti.

Cadute . L’industria della perforazione spesso richiede che i lavoratori accedano a macchinari e piattaforme  elevate da terra, esponendoli a un maggiore rischio di caduta.

Rischi indiretti (problemi di salute legati al lavoro, sia fisici che mentali). . Altrettanto pericoloso per i lavoratori dell’industria è il rischio di sviluppare problemi di salute fisica e mentale a causa dell ‘intenso sforzo psicofisico sul posto di lavoro. Le condizioni cardiache e gli alti tassi di suicidio sono emblematici del settore.

Come preservare la sicurezza e la salute dei lavoratori 

Riduzione degli incidenti e collisioni tra veicoli. Il più delle volte, gli incidenti di veicoli in collisione derivano dalla stanchezza del conducente. L’industria petrolifera necessita un numero enorme di componenti e di materiali di logistica diversi, di cui il trasporto a lunga distanza è uno dei principali. La posizione remota di molti siti di perforazione significa che guidare per lunghe distanze è semplicemente parte integrante del lavoro.

Per quanto semplice possa sembrare, uno dei modi migliori  di ridurre il rischio è attraverso una migliore istruzione e pianificazione del viaggio. Rendere il tuo personale consapevole dei vantaggi di un sonno adeguato  (e, al contrario, dei pericoli che derivano da una sua mancanza) e pianificare i viaggi che tengono conto delle potenziali soste di riposo sono fondamentali per ridurre il numero di incidenti sulla strada.

Tecnologie GPS. Recentemente, sono stati notevolmente aumentati gli sforzi per migliorare la comunicazione in loco. Molte aziende stanno fornendo ai propri lavoratori la tecnologia GPS , in modo da rendere più tempestivo il soccorso.

Tecnologia dei droni. Prevenire è meglio che curare, come dice un vecchio proverbio. La soluzione ideale per ogni compagnia petrolifera è prevenire in primo luogo gli incidenti. I droni aiutano a offrire una visione completa a volo d’uccello di un sito, identificando potenziali pericoli in tempo reale. Ad esempio, i droni vengono ora utilizzati nell’ispezione degli oleodotti, individuando le perdite e offrendo alle compagnie petrolifere una visione più precisa ed evitando di dover inviare dipendenti per ispezionare una situazione potenzialmente rischiosa.

Stress e rischi associati. I disturbi cardiaci sono frequenti nei lavoratori del settore  dell’industria petrolifera e del gas. Tra le cause principali di tali  problemi cardiaci  sicuramente gioca un ruolo importante lo stress psicofisico Molte compagnie petrolifere hanno adottato per questo motivo  defibrillatori  per le emergenze cardiache a tutti i livelli produttivi.

Salute mentale. Tradizionalmente la salute viene intesa più sul piano fisico che mentale. , i disturbi psichiatrici sono però attualmente sempre più attentamente presi in considerazione.

Lunghi periodi lontano da casa, sentimenti di isolamento e un lavoro molto stressante possono portare a una seri problemi psicologici per i lavoratori dell’industria petrolifera. È imperativo che le compagnie petrolifere  implementino il supporto e le procedure  per la salute mentale esattamente nello stesso modo in cui lo fanno fisico. È anche importante che le aziende siano proactive nel ricercare i segnali di disagio  sapendo che i lavoratori potrebbero essere meno inclini a farlo di propria volontà.

Intelligenza artificiale robotica. Una delle aree industriali più avanzate tecnologicamente  è il campo della robotica e le  sue potenziali applicazioni. Sono già in fase di sviluppo (e in uso, ma solo su piccola scala) robot in grado di svolgere lavori di manutenzione potenzialmente pericolosi, come il monitoraggio dei gas nocivi. Il deep learning e i sistemi di intelligenza artificiale incorporati dalle grandi compagnie petrolifere forniranno anche un quadro più completo e olistico dei dati che vengono forniti. Queste tecnologie potrebbero fare emergere  precocemente i rischi potenziali.

Conclusione

Le prospettive generali di safety del settore  sono positive . Secondo il rapporto sulla sicurezza 2019 dell’International Association of Oil & Gas Producers, i decessi nel settore in tutto il mondo sono diminuiti da 30 nel 2017 a 27 nel 2018. Ció a monte di un aumento del numero medio di ore lavorate oltre . Finché gli organi di governo del settore continueranno a spingere  per standard sempre più elevati, non c’è motivo per cui questa cifra non debba continuare a diminuire con il passare degli anni. L’obiettivo é naturalmente una diminuzione generale degli infortuni e delle malattie ogni anno.

la chiave per migliorare gli standard di sicurezza del settore è  comunque essere proattivi, anziché reattivi. Una migliore ispezione delle attrezzature, pianificazione del viaggio, comunicazione e istruzione sono tutti modi in cui è possibile identificare i potenziali pericoli prima che si trasformino in minacce tangibili per la sicurezza personale.

Circa l’autore

Henry Berry è un direttore di Tristone Holdings, esperto di safety  nell’industria petrolifera .

Liberamente tradotto ed adattato da Dott. Alessandro Guerri specialista in medicina del lavoro

LA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE RIDUCE IL RISCHIO COVID 19

Da ilsole24ore

Proteggersi dall’influenza. Sembra essere questa la parola d’ordine per la sanità pubblica mentre circola il virus Sars-CoV-2. E non solo per ridurre il rischio di co-circolazione di più virus assieme, con conseguente impatto sulla sanità pubblica e minor rischio di “misunderstanding” diagnostici in caso di sintomi comuni alle due infezione, oltre che sulla salute del singolo.

Indicazioni positive dagli studi

Le prime evidenze scientifiche, quantunque non definitive, sembrano indicare che la protezione dal virus stagionale e più in generale la prevenzione attraverso i vaccini, pur non agendo direttamente sul virus responsabile di Covid-19, possano avere un impatto positivo sui rischi correlati alla malattia.

Il problema è ancora controverso, ma i dati fino ad ora disponibili sembrano indirizzare in questo senso – spiega Giuseppe Remuzzi, direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri -. Per l’Italia, stiamo ancora valutando i risultati dello studio del nostro Istituto e del Policlinico di Milano su quanto avvenuto nei mesi scorsi tra persone vaccinate per l’influenza e non, in termini di possibilità di ammalarsi di Covid-19 e di gravità della malattia. Ma ci sono prove che dimostrano come non solo il vaccino anti-influenzale ma anche altri, ad esempio quello per lo pneumococco, per la poliomielite e per la tubercolosi, potrebbero avere un ruolo protettivo nello sviluppo di Covid-19. Si tratta di ricerche pubblicate sulla piattaforma medRxiv, quindi non ancora sottoposte a rivalutazioni di terzi. Ma si tratta comunque di dati incoraggianti».

In termini generali, tra le evidenze più significative occorre sicuramente citare quanto emerge da una ricerca condotta alla Mayo Clinic su oltre 137.000 persone sottoposte ad esami per sospetta infezione da Sars-CoV-2 e valutate anche sotto il profilo della prevenzione vaccinale generale.

Vaccini: vaccino influenzale

Si riduce il tasso di infezione

«Le vaccinazioni contro poliomelite, batterio Haemophilus influenzae di tipo B, morbillo-parotite-rosolia, varicella, pneumococco, epatite A e B, oltre ovviamente a quella per l’influenza nella popolazione anziana, somministrate negli ultimi uno, due e cinque anni sono risultate associate a una riduzione dei tassi di infezione da Sars-CoV-2, anche dopo aggiustamento delle analisi per incidenza di infezione da Sars-CoV-2 nell’area geografica considerata e incidenza di tamponi effettuati, parametri demografici, presenza di altre malattie e numero di altre vaccinazioni effettuate – segnala Remuzzi -. Ovviamente questi dati vanno confermati e soprattutto occorre comprendere i meccanismi immunologici che possono spiegare queste situazioni, ma si tratta di informazioni di grande interesse, considerando che, parlando di chi è si è vaccinato negli ultimi due anni rispetto ai non vaccinati, il rischio d’infezione da Sars-CoV-2 sarebbe ridotto del 43% dopo vaccinazione anti-polio del 47% in chi è protetto dall’Haemophilus influenzae, del 28% dopo vaccino anti-pneumococco. Il trend di riduzione del rischio, peraltro, si mantiene anche per chi si è vaccinato nei confronti di queste infezioni negli ultimi cinque anni».

I vaccini, insomma, potrebbero avere un ruolo significativo nei rischi di ammalarsi di Covid-19 e anche sul percorso della malattia. In questo senso, proprio le informazioni sull’influenza appaiono estremamente interessanti. Partendo dalla stessa analisi, infatti, si vede che la riduzione percentuale del rischio d’infezione da Sars-CoV-2 in chi si è sottoposto a vaccinazione nell’ultimo anno è del 26% negli over-65 e si attesta al 15% considerando ogni età, per scendere rispettivamente al 19 e 8% in chi si è protetto durante gli ultimi due anni.

Migliore risposta al Covid-19

«Inoltre, essere vaccinati per l’influenza potrebbe favorire una miglior risposta a Covid-19: lo fa pensare uno studio condotto in Brasile su più di 92.000 persone con infezione confermata da Sars-CoV-2 – riprende Remuzzi -. Chi si era vaccinato recentemente aveva un rischio ridotto dell’8% di finire in terapie intensiva e del 18% di necessitare di trattamento di assistenza respiratoria invasiva, rispetto ai non vaccinati. Non si possono trarre conclusioni definitive, ma comunque questi dati sono di grande interesse». Tra le ipotesi che potrebbero spiegare la situazione c’è uno studio di laboratorio dell’Università di Hong Kong pubblicato su The Lancet che dimostra come i virus influenzali potrebbero facilitare l’ingresso di Sars-CoV-2 nell’apparato respiratorio, attraverso una maggior “espressione” dei recettori Ace-2, punto d’aggancio per le “spikes” (ovvero le punte d’attacco) di Sars-CoV-2. Ma siamo solo all’inizio dei processi di conoscenza. Il tempo dirà quanto e come gli “altri” vaccini ci aiuteranno contro Covid-19.

COVID 19 E TRASMISSIONE INFEZIONE IN AEREO

Da il corriere della sera

Una giovane sudcoreana si è infettata in aereo con il virus Sars-Cov-2 «molto probabilmente» dopo aver utilizzato lo stesso bagno di un altro passeggero positivo. A raccontarlo sono gli esperti del Soonchunhyang University College of Medicine di Seoul in un articolo pubblicato sulla rivista Emerging Infectious Diseases, a cura dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie degli Stati Uniti. La 28enne era tra i 299 sudcoreani evacuati da Milano Malpensa il 30 marzo scorso, nel bel mezzo della pandemia.

Coronavirus, così una donna è stata infettata nel bagno dell'aereo partito da Milano durante il lockdown

Un Boeing 747 di Korean Air a Seul (foto di Leonard Berberi / Corriere)

La mascherina

I risultati fanno sostenere come la ragazza — che racconta di aver sempre indossato la mascherina per tutta la durata del volo, tranne che durante i pasti e l’utilizzo dei servizi igienici — potrebbe essere stata infettata proprio nella toilette. A rafforzare la tesi dei ricercatori, che comunque mantengono un margine d’incertezza, è il fatto che la 28enne ha raccontato di essere rimasta chiusa in casa in Italia (da sola) nelle tre settimane precedenti il volo e di non aver utilizzato i mezzi di trasporto pubblici per raggiungere l’aeroporto.

Il volo

Gli studiosi hanno preso in esame il volo di rimpatrio organizzato dal governo sudcoreano operato con un Boeing 747. Una tratta — viene scritto nella ricerca — dove i funzionari dei Centri per la prevenzione e il controllo delle malattie del Paese asiatico hanno «seguito le procedure rigide di controllo delle infezioni»: al loro arrivo al Terminal 2 di Malpensa i 310 passeggeri prenotati sono stati controllati e intervistati. Quindi è stata misurata la loro temperatura corporea prima dell’imbarco: 11 dei viaggiatori sono stati tenuti a terra perché presentavano i sintomi del coronavirus. Gli altri 299 — la maggior parte con mascherine filtranti N95 — sono stati fatti salire in aereo rispettando la distanza sociale di 2 metri al pre-imbarco. Dopo 11 ore di volo i viaggiatori sono stati sbarcati e mandati in una struttura governativa dove hanno trascorso la quarantena «separati gli uni dagli altri».

La quarantena

Durante le due settimane lo staff medico ha controllato i viaggiatori (età mediana 30 anni, il 44,1% di sesso maschile) due volte al giorno rilevando la temperatura corporea ed eventuali sintomi tipici del coronavirus. Tutti i passeggeri — spiega lo studio — «sono stati testati con la tecnica della reazione a catena della polimerasi inversa» il primo giorno della quarantena (2 aprile) e l’ultimo (15 aprile): già nel primo esame 6 di loro sono risultati positivi. Nel secondo, alla fine delle due settimane, aveva il Covid-19 soltanto la 28enne. La donna aveva usato lo stesso bagno di un viaggiatore (uno dei sei positivi al primo giorno della quarantena) asintomatico seduto tre file davanti ma con in mezzo i servizi igienici. Non avendo avuto contatti in Italia secondo gli esperti «è altamente probabile che l’infezione sia avvenuta in volo, in contatto indiretto con il soggetto».

L’analisi

«Questo studio rappresenterebbe la prima potenziale prova della possibilità che Sars-Cov-2 possa essere trasmesso in aereo». Gli autori aggiungono che «saranno necessari ulteriori studi per comprendere questo tipo di meccaniche epidemiologiche, ma in ogni caso consigliamo di mantenere sempre l’uso della mascherina in ambienti chiusi e una corretta igiene delle mani». In realtà i ricercatori non considerano altri fattori che potrebbero aver contribuito al contagio. Il soggetto asintomatico, per esempio, potrebbe aver toccato le superfici del sedile della 28enne durante la camminata per distendere le gambe: il contagio, insomma, potrebbe non essere avvenuto in bagno. E ancora: dal momento che altri 4 soggetti — tra i 6 positivi — sedevano alcune file dietro la giovane non si può escludere che sia stato uno di loro a rilasciare goccioline passeggiando in corridoio.

Pericolo basso

Il rischio di contagio per via aerea resta bassissimo in volo, come già scritto più volte dal Corriere (leggi qui). In una ricerca del Massachusetts Institute of Technology il professore di statistica Arnold Barnett ha calcolato che la probabilità di contrarre il coronavirus a bordo è una su 4.300, cioè 0,023%. A ridurre il pericolo è in particolare l’aria — dall’alto verso il basso, ricambiata ogni 2-3 minuti e purificata con filtri Hepa che catturano il 99,97% delle particelle in circolazione —. Mantenendo poi il posto centrale vuoto in una fila di tre poltrone il rischio scende a una probabilità su 7.700, lo 0,013%, nei voli di durata breve e media e a patto che tutti indossino la mascherina.

lberberi@corriere.it

IDROSSICLOROCHINA E COVID: LE ULTIME SCOPERTE

Da il giornale

L’idrossiclorochina è un farmaco antimalarico salito alla ribalta dopo che il presidente americano Donald Trump aveva dichiarato in una conferenza stampa di prenderlo da due settimane a scopo profilattico contro il coronavirus. L’annuncio del tycoon creò un terremoto imponente, tra chi credeva alle parole dell’inquilino della Casa Bianca e chi lo criticava, accusandolo di proporre soluzioni pericolosissime per la salute dei cittadini. La rivista Lancet, prendendo come riferimento uno studio condotto su 96mila ammalati positivi al Sars-CoV-2, scrisse che il farmaco usato da Trump causerbbe un aumento del rischio di sviluppare malattie cardiache e morte improvvisa.

L’ultima scoperta

A distanza di qualche mese un report ha rimesso tutto in discussione. Uno studio osservazionale multicentrico coordinato dall’I.R.C.C.S. Neuromed, con la partecipazione di 33 centri ospedalieri italiani, ha mostrato come l’utilizzo dell’idrossiclorochina riduca del 30% il rischio di morte nei pazienti ospedalizzati per infezione da coronavirus.

Scendendo nel dettaglio, lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica European Journal of Internal Medicine, ed è stato coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, in collaborazione con Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università di Pisa. I ricercatori hanno analizzato i dati relativi a 3.451 pazienti ricoverati per COVID-19. Nella ricerca sono stati presi in esame vari parametri, tra cui le patologie pregresse, le terapie che seguivano prima di essere colpiti dall’infezione e le terapie intraprese in ospedale specificamente per il trattamento del COVID-19.

Tutte queste informazioni sono state confrontate con l’evoluzione e l’esito finale dell’infezione. Ebbene, è emerso che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto tale trattamento (a parità delle condizioni valutate). “Abbiamo potuto osservare – ha spiegato Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed, attualmente presso Mediterranea Cardiocentro di Napoli – che i pazienti ai quali è stata somministrata idrossiclorochina hanno avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore del 30% rispetto a quelli che non avevano ricevuto questo trattamento”.

Come usare l’idrossiclorochina

L’idrossiclorochina non è certo il Santo Graal capace di sconfiggere una volta per tutte il nuovo coronavirus. Tuttavia il suo utilizzo, a dispetto di quanto alcuni sostenevano in un primo momento, ha mostrato segnali positivi. In particolare l’uso del farmaco si è rivelato particolarmente efficace in quei pazienti che, ricoverati, mostravano uno stato infiammatorio più evidente della norma.

Certo, saranno svolti altri studi e trial clinici per capire con esattezza il ruolo dell’idrossiclorochina e le sue modalità di somministrazione più adeguate. Intanto, però, la ricerca ha aggiunto un ulteriore tassello nella battaglia contro il virus. E in attesa di un vaccino non è roba da poco. Bisogna ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva raccomandato uno stop all’uso dell’idrossiclorochina, facendo affidamento a uno studio osservazionale poi ritirato dagli autori della stessa ricerca. I nuovi dati suggeriscono un approccio differente.

Idrossiclorochina

Solitamente il farmaco antimalarico viene usato per curare l’artrite rematoide e il lupus erimateoso sistemico. In un futuro non troppo lontano potrebbe rappresentare anche un valido alleato nella sfida al Covid. “In attesa di un vaccino, identificare terapie efficaci contro il COVID-19 rappresenta una priorità assoluta – ha dichiarato Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione di Neuromed e professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all’Università dell’Insubria a Varese – e siamo convinti che questa ricerca darà un contributo importante al dibattito internazionale sul ruolo dell’idrossiclorochina nella terapia dei pazienti ospedalizzati per coronavirus”.